Zanola Gabriele medico psicoterapeuta ITP
Il professor Leopoldo Rigo incontrò nel 1° Congresso Internazionale Tecniche di Imagerie Mentale a Ginevra,nel 1968 ,dove fu presidente Virel , il dr Thomas ,vicepresidente come lui nell’occasione. Questo psichiatra era il responsabile del Centro Prevenzione suicidio di Berlino (Ovest). Il latore della notizia mi dice che a quella struttura affluivano 15\20.000 pazienti. Il dr Thomas, nel corso del Convegno, dichiarò che il 50% dei nevrotici ha pensieri o tendenze suicide e, per la cronaca, fu ringraziato da un paziente giovane per averlo salvato con una serie di colloqui. Thomas ,che curava con l’imagerie descriveva alcuni strumenti simbolici che utilizzava: per esempio mi riferiscono che un paziente immaginava di portare con sé un bastone nella mano destra che utilizzava all’occasione per difendersi contro improvvisi attacchi; a sinistra aveva un anello per illuminare la scena. Era dell’idea che se apparivano nell’immaginario figure angoscianti (animali o altro) bisognava aiutare il paziente a farle a pezzi, utilizzando l’aggressività.
Più prudente mi sembra l’atteggiamento di Rigo che suggeriva di depotenziare il fantasma pericoloso : per esempio se sei nella foresta immagina di salire su un albero alto e osservare gli animali sottostanti in arrivo (es. tigre o leone). Lasciando poi che si allontanassero o se doveva affrontarle suggeriva di dargli da mangiare abbondantemente per ammansirli. Si può usare come modello Cerbero, il cagnaccio mostruoso che, nell’Eneide, Virgilio ammansisce gettandogli la focaccia soporifera con miele e farina drogata; più precisamente, nella Commedia, Virgilio gli getta due pugni di fango così Dante propone di calmarlo. Anche Leuner, coevo di Thomas, proponeva di sfamare gli istinti aggressivi, dar da mangiare alle figure conflittuali, da cui possono venire attacchi all’Io troppo debole.
Ma tutta la psicoterapia di Rigo può indirizzare alla prevenzione. Facciamo un excursus breve.
Secondo un autore della scuola psicoanalitica, W.Fairbairn, di Edimburgo, l’aggressività è una reazione alla frustrazione o alla deprivazione. Il bimbo frustrato scinde, diciamo così, la figura materna in buona e cattiva; interiorizza l’oggetto materno cattivo e lo scinde in eccitante e rifiutante. E’ quindi preda di istanze negative e distruttive. Fairbairn lo definisce Io antilibidico o sabotatore interno. Questo crea una scissione difficilmente controllabile, che genera nevrosi e aggressività . Come uscirne, se il soggetto si trova davanti a una pasticceria con i vetri chiusi e inaccessibile? Rigo, semplificando, se il soggetto si trova nella fase Ristrutturante suggerisce semplicemente che apra le porte della pasticceria, dando soddisfazioni orali, e anche fetali, intense che rafforzano con gradualità l’Io. Fa diventare più buona la figura materna, che così offre gratificazioni. Diminuisce la forza dei fantasmi, mentre le istanze aggressive diventano più malleabili. L’azione si rafforza nelle fasi successive: conflittuale, archetipica, stati luce. L’Io, man mano procede il lavoro di cura, domina lo Scenario interiore, depotenziando il cosiddetto sabotatore di Fairbairn che altrimenti lo porterebbe all’autodistruzione o alla aggressività paranoica verso gli altri.
Caso A.
Il paziente A, aveva 30 anni, i genitori mi chiamarono quando il figlio ebbe il primo incidente. Aveva urtato frontalmente un muro in paese, a bassa velocità, con notevole danno dell’automobile, mentre rientrava a casa la sera tardi, dopo la discoteca. Alcool? Non era il problema principale. In Pronto soccorso, dove fu accompagnato dopo il fatto dagli amici, i medici evidenziarono presenza nelle urine di derivati della cocaina. Ne usava da tempo, ma teneva ben nascosta l’abitudine. Tutto avveniva in poco tempo, usciva dal lavoro alle 18. Alle 18.30 era in paese, sniffava la sostanza e stava mezz’ora o 1 ora da solo. Poi andava dalla morosa allegro e usciva con lei. Oppure passava da casa, in cascina, mangiava qualcosa di fretta ed usciva con gli “amici” nel vicino paese, il nostro, di 12.000 abitanti. Ragazzo di pochissime parole e molto tempo fuori casa.
Scoperto l’abuso prolungato, perde la relazione con la ragazza e viene indirizzato al SERT del vicino Distretto per tentare di iniziare un percorso, ma ci va poco e riprende l’abuso. Successivo incidente e sospensione patente di guida. Rifiuta comunità e rinviato al SERT. Lo affianco a un volontario che lo accompagna al SERT e si fa raccontare la sua storia. A, è collegato con una rete locale di abusers, di cui conosco e curo come paziente uno dei capi, poi deceduto per AIDS come altri della rete. Questo bel tipo, sornione e intelligente, vantava un credito di 4 mln di lire verso di lui. A mi racconta che per chiudere la partita gli ha proposto un viaggetto Spagna-Francia con autocarro che trasporta anche altro. Alla frontiera una segnalazione anonima fa perquisire il camion e lui viene arrestato in Spagna, poi scarcerato perché risultò non responsabile del trasporto.
Smise un anno la dipendenza, riprese il lavoro. Ma alla ricaduta una overdose(probabilmente volontaria?) lo portò all’arresto cardiaco. La sofferenza dei suoi fu grave, la madre ,di fatto capo-famiglia, il padre, contadino, simpatico ma chiuso, non espresse mai il dolore e continuò l’abuso di alcool cronico per anni, finché fu ricoverato per cirrosi epatica e poi HCC.
La vita di questo ragazzo è sempre stata impostata sul passaggio all’atto, senza forme di condivisione, pur essendo tipo cordiale e generoso, manteneva un segreto, impenetrabile fino all’ultimo, come fosse ineluttabile. Anche il padre era così e continuò vivaci discussioni su questo argomento con la moglie fino alla fine, ormai malato.
Caso B.
Questo è un caso misterioso, per le poche notizie a ridosso dell’evento, e doloroso, per la personalità in precedenza mite e positiva del soggetto. B, Infermiere professionale 33 enne, con notevole e qualificata esperienza clinica, aveva tentato anche un’attività di volontariato, ma venne ostacolato da collaboratori, anche economicamente. Quindi lasciò l’ospedale dove si era affermato: stress lavorativo, o problemi economici, oppure cattivo rapporto con colleghi? Viveva solo, ma provvedeva a un figlio piccolo, che viveva con la moglie, dalla quale egli si era separato.
Un grave episodio 3 anni prima potrebbe aver avuto un ruolo non marginale (oltre all’aspetto della familiarità psichiatrica): mi telefonò la domenica per avvisarmi del suicidio del padre 70enne che viveva altrove. All’incontro successivo mi spiegò l’antefatto: negli ultimi giorni ci sarebbe stato uno scontro inaspettato con parenti. Del tutto ignaro, secondo il racconto di B, il padre era stato accusato di comportamento scorretto a danno di una parente giovane. La ragazza, poco stabile emotivamente da sempre, avrebbe riferito alla madre di attenzioni particolari (non specificate) manifestate in un incontro casuale in casa. La madre, preoccupata, avrebbe accusato il parente con attacco aperto, respinto da questi, che si sentì però profondamente e insopportabilmente umiliato di fronte alla famiglia. Il padre della ragazza era ignaro di tutto come anche la famiglia del 70enne. Questi, per reazione alle accuse, sarebbe andato in campagna per farla finita e così venne trovato dai Carabinieri avvertiti da passanti. La ragazza fu inviata a psicologa, non ci fu denuncia. B, nell’occasione molto dispiaciuto era comunque sintonico e tranquillo: nulla avrebbe fatto pensare alla sua evoluzione successiva. Vedeva il fatto in modo pacato e voleva parlare con i parenti per contrastare le accuse.
Seppi dalla madre, 3 anni dopo la dipartita del padre, del gesto di B eseguito a casa propria. B era molto alterato per il conflitto apertosi con la ex moglie e aveva annunciato che, se fosse capitato a lui qualcosa di grave, sapeva come fare ad uscirne, lucido e deciso come era nella sua natura .
Anamnesi pregressa: qualche anno prima si era fatto ricoverare per obesità grave, dopo infruttuosi trattamenti dietologici e farmacologici in ospedale di altra città per resezione parziale gastrica restrittiva. Nei 3 anni successivi lo stress cui era sottoposto a livello familiare e lavorativo trasformò una persona apparentemente serena e sicura nelle vicende professionali delicate in un’altra persona, angosciata e turbata , come lo vide poco tempo prima la madre, ma non riuscì a far nulla per fermarlo. Lei sentiva a livello profondo una forte inquietudine per l’animo del figlio e per la sua situazione generale, ma non poteva esprimerla data la tendenza figlio a dominare le situazioni e la scarsa propensione a condividere pensieri e sentimenti con qualcuno.