Immaginando l'Infinito


Da Apollinaire, “Les fenétres”:

                                                               “La finestra si apre come un’arancia

incantevole frutto della luce”.

 

Il  G.I.T.I.M. (Gruppo Italiano Tecniche Imagerie Mentale) intendeva chiamare “Maya” questa Rivista, in ricordo del Prof  Leopoldo Rigo. Il fondatore della Scuola I.T.P. (Tecnica Immaginativa del Profondo), aveva dato proprio questo nome al primo numero della Rivista, apparso nel Giugno del 1972. In noi, gruppo attuale del G.I.T.I.M., è prevalso il desiderio di confrontarci con i tempi attuali e il nome scelto è stato “Rivista di Psicoterapia Immaginativa – I.T.P.”.

Maya  ci rinvia  sia alla mitologia greca, sia a quella  indiana ed è a quest’ultima che Leopoldo Rigo si riferiva.

Maya secondo la mitologia greca era una ninfa delle Pleiadi, figlia di Atlante, il gigante condannato a reggere il mondo sulle spalle, e di Pleione, anche lei una ninfa oceanina. Lei e Zeus diedero vita a Ermes, il romano Mercurio. Secondo la leggenda fu anche la nutrice di Arcade, il figlio di Zeus e della ninfa Callisto; da Arcade prese nome l’Arcadia, terra di suggestioni letterarie infinite. L’etimologia fa risalire il significato a “nutrice, levatrice, madre, forza creatrice, dono della vita”. La leggenda narra anche che le Pleiadi, di cui Maya era la più bella, mentre stavano fuggendo dal gigante e cacciatore Orione, vennero trasformate prima in colombe e poi in stelle, immortalate in una costellazione.

In India, nella religione Indù, Maya è il velo, che si frappone tra la divinità e il mondo, è percepito come “illusione”. Nei versi  dei Veda datati intorno ai 5000 a.C., Maya, dopo aver creato la terra, la ricoprì con un velo, tale da impedire agli uomini di conoscere la vera natura della realtà.

Così è scritto nei versi dei Veda 5000 anni fa: “Maya è il velo dell’illusione, che ottenebra le pupille mortali e fa vedere loro un mondo di cui non si può dire né che esista né che non esista; il mondo, infatti, è simile ad un sogno, allo scintillio della luce solare sulla sabbia che il viaggiatore scambia da lontano per acqua, oppure alla corda buttata per terra che egli prende per un serpente”. Maya quindi richiama aspetti umani che sono l’illusione, l’allucinazione, il sogno, le paure.

Dobbiamo ringraziare Maya perché, con il suo velo, ci protegge e ci aiuta ad avvicinarci alla realtà/verità senza però mai raggiungerla. Il suo è un atto di pietas, che, in quanto tale, non si limita e non ci limita a nascondere la realtà ultima, la “cosa in sé”, ma ci aiuta a vivere, pena la nostra stessa distruzione psichica/mentale.

Senza il velo di Maya saremmo esposti all’orrore del reale. Esso quindi non può essere squarciato, perforato, ma certamente superato. Esso è simile allo scudo di Perseo, senza il quale egli non avrebbe potuto affrontare la Gorgone. Esso è sia una difesa, sia un tramite attraverso il quale possiamo entrare, come nelle fiabe arabe sopra un tappeto volante, nella vita immaginaria, nell’inconscio creativo, con l’effetto di produrre una in noi, nelle parti più intime della nostra Struttura, delle trasformazioni che ci rendono Soggetti, che ci aiutano a procedere nel lungo percorso dell’individuazione. Il tutto, il ritorno, sarà poi compiuto senza parole, ovvero rimarrà solo un vissuto intenso, i cui residui chiamiamo immagini fuggevoli, ma intense.

Gli psicoterapeuti che lavorano con i pazienti, si rendono conto di quanto importante sia riattivare e, alcune volte ricostruire, questo velo, il sensorio,  per aiutare a vivere la quotidianità, per procedere lungo il percorso degli spazi dell’Immaginario e della vita. Il sensorio, nella nostra tecnica, viene riattivato in particolare tramite il rilassamento, divenendo Schermo e pellicola per il sogno e l’immaginazione. Una volta ricostruito e riattivato il sensorio, è possibile andare oltre ed entrare nei territori dell’Inconscio, fino a superare i limiti e sperimentare l’uscita dall’Immaginario.

Perché una Rivista?

Possiamo immaginare questa Rivista come una porta/finestra da dove entrano ed escono Immagini, parole, riflessioni, ricerche, dibattiti, confronti. Uno spazio che accoglie un flusso, sia verso l’interno sia verso l’esterno, come un respiro che si espande, per dare voce e materialità al nostro Immaginario in continuo, incessante divenire. In continuo, incessante creazione di infiniti.

La Rivista si confronta con l’atto di scrittura, con la poiesis, ovvero l’atto creativo. La scrittura in sé,  intesa solo come segno grafico o elemento stampato, è niente senza il processo Immaginativo che essa, di fatto, mette in movimento, mette in scena, producendo/creando qualcosa di nuovo, come ogni atto creativo.

L’atto di scrittura è simile all’atto di parola e all’atto di immaginare. Esso libera energia e si fissa in un prodotto finale che è lo scritto. L’atto di scrittura è sempre un’invenzione quando ci lasciamo andare o anche quando lo utilizziamo, per ordinare le nostre fantasie, i nostri pensieri. Nel mentre si scrive ci si inventa come Soggetto, nel senso che una realtà diversa si crea e ci crea, contemporaneamente. In un certo qual senso è l’atto di scrittura che rende Soggetto.

Scrivere e avere un luogo dove scrivere, la Rivista per l’appunto, quindi è una grande opportunità di vivere o ri-vivere o ri-vedere. Forse è proprio questo il vero significato di ogni Ri-vista. Un atto immaginativo di tipo visivo che avviene attraverso l’atto di scrittura. Un movimento in divenire.

Gli obiettivi.

Nella domanda rivolta all’Ordine dei Giornalisti abbiamo specificato quanto segue: “Con la Rivista si vuol dare voce ad una esperienza specifica di un gruppo di psicologi-psicoterapeuti che cercano di trasmettere ad altri psicologi in formazione una tecnica psicoterapica denominata ITP e i suoi riflessi culturali e filosofici.

La Rivista telematica avrà una struttura interna suddivisa in aree specifiche:

1. La psicoterapia con l’ITP. 2. Studi e ricerche in merito all’Immaginario. 3. Recensioni di seminari. 4. Sintesi di Tesi degli allievi della Scuola di Psicoterapia. 5. Ambiti/tematiche affrontate nelle lezioni e contributi culturali.”

La Rivista vuol essere una occasione di scambio di pensieri con psicoterapeuti di Scuole affini, ma anche una opportunità di creare legami nuovi con chi non conosce questa pratica e i suoi aspetti originali.

È significativo come per una persona qualsiasi un percorso psicoterapico con l’ITP abbia delle conseguenze importanti non solo a livello dei sintomi, ma anche sul piano della filosofia di vita di ciascuno e della qualità di vita di ciascuno. Questo forse avviene perché scuote con gentilezza l’individuo nelle fondamenta del suo Essere, stimolando/attivando domande fondamentali che sono racchiuse nelle profondità. Sono domande che concernono l’essere, la vita, il loro Significato esistenziale. Ecco la Rivista vuol protendersi anche verso questi altri spazi: la quotidianità, la semplice vita, il semplice vivere, ma anche l’arte e la filosofia, la ricerca scientifica e la creatività dei bambini.

Immaginario e altro ancora.

Siamo molto grati a Leopoldo Rigo per la sua semplicità e altrettanto grati a Jean Burgos per la sua complessità. Il primo psicoterapeuta, il secondo critico d’arte; il primo italiano e trevigiano, il secondo francese. Ma in questo abbozzo di geografia umana, di fatto, l’Immaginario dimostra che non esistono confini, perché gli spazi  dell’Immaginario non sono più spazi euclidei, geometrici, geografici; e i luoghi, pur partendo da un punto carico di affettività/fenomenologico, tendono ad espandersi verso l’infinito. E l’Immaginario è anche questo: spazi che via via , in una esperienza di psicoterapia, ma non solo, diventano infiniti.

Il focus del nostro discorso nella Rivista sarà quindi l’esperienza con/nell’Immaginario, ovvero dar voce all’Immaginario, che di fatto non appartiene a qualcuno, o a qualche gruppo, o categoria professionale specifica; bensì esiste o pre-esiste in ogni individuo e gruppo umano.

Piccolo lessico.

Vorrei proporre già da subito un piccolo lessico, certo non esaustivo, tale però che ci possa permettere di comprendere e comunicare, perché comunque noi utilizziamo parole per divulgare le nostre idee e le nostre scoperte:

Queste definizioni che sono come dei granelli di sabbia, dei punti nell’infinito, ci possono aiutare per iniziare ad orientarci nella Selva Oscura.