Immaginario: l’insegnamento di Jean Burgos


Immaginario: l’insegnamento di Jean Burgos

 

Per affrontare il pensiero di Burgos, quando ci riferiamo a concetti come tempo e spazio, bisogna tralasciare il modo di pensare convenzionale di tipo aristotelico, in altre parole, dovremmo spostare la nostra mente su un’altra logica, la logica dell’Immaginario.

Il tempo in Burgos non è un tempo lineare, poiché egli dà molta più importanza all’attimo, agli infiniti possibili contenuti nell’istante. Lo spazio perde così la sua continuità. Entrambi, spazio e tempo, se presi poi all’interno del processo creativo perdono la loro componente di prevedibilità.

Gli elementi fondamentali presi in considerazione da Burgos nel suo discorso intorno all’Immaginario sono: lo Spazio, il Tempo, la Creatività, la Trasformazione, la Materia.

 

Piccolo lessico

Cerchiamo di equipaggiarci prima di entrare nelle discussioni che riguardano l’Immaginario e i suoi prodotti, costruendo un piccolo lessico che ci aiuterà ad orientarci.

L’Immaginario può essere definito come punto di incrocio, dove avvengono degli scambi fra le pressioni dell’esterno e le pulsioni profonde dell’individuo. È luogo di manifestazione e di realizzazione dei possibili in un divenire. È una Funzione, simile alla respirazione e quindi è una Funzione biologica. Funziona in ogni caso, sempre, anche se ha le sue perversioni o patologie o distorsioni, in questi casi l’Immaginario contiene delle costanti. Per cui, se volessimo matematizzare l’Immaginario, è come se potessimo applicare una formula, introducendo una costante affianco al tipo di Immagine. Ad esempio nella schizofrenia la costante si dovrebbe riferire alla fissità dell’Immagine; nel senso che dovrebbe cercare di cogliere l’istante e congelarlo.

L’Immaginazione, suggerisce Gaston Bachelard, è una facoltà che deforma le immagini o che regola la metamorfosi incessante dei materiali dell’Immaginario.

L’Immagine è traccia ed attivatrice dell’Immaginario. Non è rappresentazione, ma presentazione e si definisce attraverso la plasticità e i suoi caratteri d’immediatezza.

Il gioco dei possibili, che sono da intendersi come la possibilità di cambiare, innovare, inventare, creare.

 

La logica e la pedagogia dell’Immaginario

Burgos non vuole entrare nella diatriba tra l’Immaginario ed il pensiero[1] razionale. Anche quest’ultimo esiste, senza alcun dubbio, ma le loro logiche ed i loro obiettivi sono molto diversi. L’Immaginario ha una sua propria logica.

Secondo Burgos è possibile osservare e sperimentare l’Immaginario, non solo, egli parla di una pedagogia dell’Immaginario.

Quando Burgos si riferisce alla creazione, egli intende usare questo termine in un senso ampio, ovvero come l’emergere di nuova realtà. Ma affinché questo emergere di nuova realtà avvenga, si deve provocare una rottura con quello che chiamiamo solitamente la realtà data. La creazione è un abbandonare tutte le certezze, per accogliere un sovrappiù di realtà, quello che gli economisti chiamano un plusvalore. È, simile all’avventura di Cristoforo Colombo, un perdere per lasciar spazio alla scoperta.

Quello della creazione è un processo che riguarda ciascuno di noi, non è dato a pochi illuminati esseri umani, anzi tutta la natura possiede, tutti i viventi possiedono questa capacità.

Il passaggio fondamentale è anche la posizione che deve assumere il creatore (poeta, pittore, matematico, architetto), che è quella di accogliere una novità, non la novità, ma una novità qualsiasi essa sia, senza preconcetti o pregiudizi (= pensiero razionale). Questo conduce il creatore dall’identità all’alterità, cioè supera se stesso, i propri limiti conosciuti e sicuri, per altri lidi, per altre spiagge.

Questa posizione di disponibilità implica, almeno per un breve periodo di tempo, accettare l’eventuale sconvolgimento della nostra logica, significa abbandonare i principi normativi.

I greci chiamavano “poiéin” (ποιεῖν) il fare creatore. Burgos usa volentieri questo termine “poietica” per indicare i processi in azione, in movimento continuo in un luogo, in uno spazio ed in un tempo – che egli chiama istante – determinati, capaci di sfociare nell’emergere di una realtà nuova. Le caratteristiche di questo spazio e tempo sono quindi: l’istantaneità, la determinazione, la puntualità.

Egli però su questo emergere della realtà nuova afferma che l’accento non deve essere posto su ciò che è, ma su quello che potrebbe essere, nel seno che vi è cioè una probabilità di esistenza. Ne deriva che la poietica avrà per oggetto di studio le potenzialità inscritte in ogni situazione presente. Platone nel Cratilo definisce pothos, il desiderio struggente per un oggetto distante, che non può essere raggiunto, ma non per questo meno importante, poiché esso possiede una Funzione essenziale, quella di dirigere la nostra curiosità verso la scoperta. Alessandro Magno, si racconta, quando guardava lontano veniva come spinto ad andare oltre. Lo spazio, come distanza, liberava il suo pothos, in altre parole il suo desiderio per qualcosa che era sempre altro. L’altro è un’Immagine che di fatto può essere raggiunta solo attraverso l’Immaginazione. Durante una terapia con l’ITP l’immaginazione, l’Imagerie provoca il movimento, equivalente ad un viaggio nello spazio interiore, alla ricerca dell’altro perduto o mancante.

La logica dell’Immaginario richiede quindi uno spazio virtuale. Ne deriva che l’Immaginario è simile ad un continuum che va dall’azione, movimento continuo, operazione attuale, verso (non la completezza dell’azione in sé) l’abbozzo di una realtà nuova. Non è importante che la realtà sia completa, anzi. L’importante è che sia incompleta, mancante, questo perché c’è di mezzo il desiderio[2]. Questo avviene perché quando c’è movimento si genera la liberazione dei possibili. Ricordo che l’Immagine in sé, in quanto dinamica, ha sempre movimento, non è mai fissa; pena una forma di patologia dell’Immagine stessa, di fissità, o di ripetitività fine a se stessa come avviene nei flash back dei soggetti con PTSD (Sindrome Post Traumatica da Stress).

L’Immaginario si manifesta in un tempo particolare e cioè nella immediatezza, nell’istante, diviene una realtà nuova che si presenta al soggetto creatore ancor prima di essere pensata. Il terapeuta ITP ben conosce questa caratteristica e presta attenzione affinché nella seduta i pensieri non interferiscano con l’imagerie.

Questo avviene perché, di fatto, il soggetto creatore, ma in definitiva noi tutti, ci troviamo sempre in un incrocio di scambi o scontro. Qui Burgos si riferisce all’incrocio tra le pulsioni del soggetto e le pressioni dell’oggetto, della materia, degli eventi piccoli o grandi della vita. Durante questi momenti l’Immaginario diventa spazio, luogo di incontri fugaci; in questo spazio gli elementi cessano di appartenere o al soggetto o all’oggetto, si compenetrano, si perdono l’uno nell’altro e la traccia che lasciano nell’individuo forse germoglierà. Allora, egli dice, l’Immaginario ci costringe ad incontrare questa realtà che è, nello stesso tempo, concreta, effimera, virtuale, ma provoca, se sappiamo coglierla, un rinnovamento dell’essere.

In un certo qual senso allora effettivamente si può parlare anche di pedagogia dell’Immaginario, nel senso che noi dovremmo attrezzarci, preparaci per poter cogliere questi eventi, che avvengono sempre in tutti, poeti e non poeti.

Burgos afferma che, di fatto, noi conosciamo male i poteri e l’uso dell’Immaginario.

Il pensiero riflessivo tende a ritornare sempre alla realtà che già conosciamo e si può verificare. L’Immaginario ci offre la possibilità di andare oltre e potrebbe aggiungere realtà alla realtà. Aprire la porta ad un’altra cosa che si chiama novità.

 

Quali sono le logiche ed i paradossi dell’Immaginario?

L’Immaginario ci permette di uscire dal campo del conosciuto, verso una realtà altra, non ancora riconosciuta dal pensiero. È una realtà particolare che ritroviamo nell’istante vissuto. È una realtà che cogliamo nel momento in cui emerge. È una realtà che in sé ha delle potenzialità.

L’Immaginario si manifesta all’incrocio di due mondi, quello del soggetto e quello dell’oggetto, che quando s’incontrano si mettono a significare l’uno per l’altro.

L’Immaginario ci pone nella condizione di accogliere l’altro. L’altro inteso come ciò che è diverso, la novità, l’insolito. Proprio per queste sue caratteristiche l’altro, ovvero la novità, ci può disturbare e allora chiudiamo.

L’Immaginario ci aiuta ad abbattere le divisioni tra l’Io ed il mondo, tra l’Io e l’Universo. Non solo, ci aiuta ad abbattere le frontiere tra le diverse forme di conoscenza, tra le diverse discipline. Perché tutte si nutrono di questa logica, poiché ogni scoperta implica l’accesso all’Immaginario.

L’Immaginario ci insegna che non c’è esperienza del mondo che di fatto non sia esperienza di Sé. In altri termini le vere strade della conoscenza del mondo e degli altri passano prima dall’interno. Novalis affermava che non c’è autentico sapere che non sia segnato dal vissuto. Trovare è simile a trovarsi, così che né l’uno né l’altro non sono più dopo, quello che erano prima. Sia il soggetto che l’oggetto quando c’è incontro e scambio si modificano.

Questa possibilità di trasformazione la chiama anche creatività. Possibilità di far emergere qualche realtà supplementare nell’individuo o nel gruppo. Ogni creazione è anche un tentativo di risposta all’angoscia dell’uomo davanti al tempo, un tentativo di superamento della chiusura. Questo si può chiamare salute. Però la creatività può rimanere semplice Immagine se non è investita da qualcuno capace di occuparsene e di metterla in opera effettivamente. Per questo è necessario un apprendistato, un esercizio della creatività, una pedagogia dell’Immaginario.

La pedagogia dell’Immaginario implica il lasciare deformare le immagini fornite dalle percezioni. La stimolazione dell’Immaginario che mette in opera la creatività inscritta in ciascuno, avvia una vera strategia dello sviluppo. Ci vogliono delle condizioni e certi livelli di stimolazione. Ci deve essere un distacco dalla realtà prima ed in particolare un distacco dal pensiero razionale.

Che cosa far apprendere per attivare l’Immaginario?

Apprendere ad abitare l’istante, imparare ad incontrare il presente e tutto ciò che lo riempie. Infatti, è nell’istante che si operano gli scambi.

Apprendere ad essere, liberare delle potenzialità, lasciar intravedere più lontano.

Apprendere a volgersi alla materia prima e alle sue manifestazioni più elementari, alle sensazioni. Sono le sensazioni che stabiliscono i ponti, che ci permettono di sentir battere il cuore del mondo. È alle sensazioni che bisogna domandare l’impressione decisiva di appartenenza a questa realtà. Sarà questa impressione che genererà la scoperta della sua trasformazione. La sensazione infatti rivela di colpo potenzialità, possibilità dell’emergere di realtà nuove. È l’essere intero che dovrebbe avviare l’acquisizione di ogni sapere. Si deve imparare che l’essere non si dissocia dal mondo, né il tempo dallo spazio.

Apprendere ad essere disponibile, a tollerare l’istante che sta divenendo, cambiando, trasformando. Si tratta di far maturare nell’individuo la tendenza ad accogliere ogni cambiamento, la novità.

Apprendere a sentire, ad osservare, imparare ad iscriversi in un divenire, dove l’Io ed il mondo sono coinvolti in uno stesso gioco dei possibili, dove spazio e tempo coesistono, si compenetrano.

Apprendere ad uscire da sé per prolungarsi in terre sconosciute, essere più lontano senza tuttavia lasciare il qui. Abitare il tempo.

Cessare di opporre oggetto e soggetto, poiché sono complementari.

Accettare ed apprendere che le potenzialità che si liberano possiedono una loro logica, si articolano, si attirano, si deformano, si trasformano, seguendo un altro ordine, che non è razionale.

 

Lo spazio dell’Immagine

Burgos afferma che non è possibile dare una definizione al termine Immagine, sia utilizzando la relazione tra imago ed il verbo imitare, sia utilizzando le parole greche eikόn (εἰκών – copia, che assomiglia) e eίdos (εἶδος – forma, che si vede).

L’Immagine non accetta di essere circoscritta in uno spazio, poiché è sempre questo o quello, qui e altrove.

L’Immagine quindi è ambigua per natura. Non si può nemmeno ricorrere al concetto di Immagine come rappresentazione di qualcosa. Nell’Immaginario non c’è rappresentazione di qualcosa, perché quando questo qualcosa vi entra si determina un fenomeno di deformazione, di trasformazione.

Le caratteristiche principali dell’Immagine sono la complessità ed il suo dinamismo interno.

Jung aveva osservato che l’Immagine è complessa e si manifesta alla coscienza in maniera più o meno repentina, come visione od allucinazione, senza averne tuttavia carattere patologico. In altri termini l’Immagine non è la semplice copia dell’oggetto esterno, ma è proprio il prodotto di un’attività specifica. L’Immagine non è un puro agglomerato di materiali diversi, ma un prodotto che ha la sua unità intrinseca e il suo senso particolare. L’Immagine veicola materiali provenienti dalle profondità della coscienza dell’individuo, ma anche della collettività (sociale, economico, culturale, ideologico). Le radici dell’Immagine sono quindi duplici. Le radici provengono dall’inconscio dell’essere e dal mondo. E’ dalla congiunzione dei due processi e dall’incontro delle due serie di materiali che l’Immagine prende vita.

L’Immagine, ogni Immagine in sé, contiene un suo proprio dinamismo, che si può incontrare nel momento in cui si osserva che essa si impone all’individuo. Non è come il pensiero che deve essere elaborato nel suo percorso, l’Immagine invece si impone e indica all’individuo le strade che deve intraprendere. Essendo dinamica l’Immagine allora non può essere circoscritta, non possiede uno spazio preciso, nel momento in cui appare è già oltre e porta con sé anche la persona.

L’Immagine si crea all’interno del soggetto e si proietta all’esterno, ad esempio in un quadro o nello spazio del foglio. In questo meccanismo di proiezione vi è una ulteriore trasformazione dell’Immagine. Nel soggetto schizofrenico vi è la tendenza a fissare l’attimo di apparizione dell’Immagine; simile al lavoro della macchina fotografica.

 

Che cos’è l’Immaginario

Qual è il rapporto tra Immagine ed Immaginario? Tra Immagine e processo Immaginario?

L’Immagine è traccia, prodotto mai definito, attivatore dell’Immaginario.

L’Immaginario è il punto d’incrocio le pulsioni del soggetto ed il mondo degli oggetti, della materia. È uno spazio che di fatto, come sosteneva Bachelard, è sempre aperto, verso l’alto o verso il basso.

Il fatto che esista questo punto d’incrocio fa sì che l’aspetto importante del tempo, quello che viene preso in considerazione, è l’istante. L’istante dà il carattere di immediatezza dell’Immagine; ma anche il suo carattere di incompiutezza. La questione dell’istante richiama altri aspetti essenziali che sono poi utilizzati in ambito di seduta psicoterapica, come l’insight, la comprensione empatica.

Il carattere simbolico dell’Immagine è dovuto al fatto che l’Immagine rinvia sempre a qualcosa di assente, che tra l’altro non può essere mai raggiunto. Per tali motivi l’Immagine possiede una temporalità che disorienta il soggetto.

La realtà dell’Immagine, Jung la definiva come la realtà dell’Immagine realtà viva, qualunque ne sia la pregnanza, non prende il posto del reale e, per quanto questa Immagine sia vicina all’allucinazione in certi momenti, il soggetto la distingue normalmente dal reale sensoriale.

Si potrebbe concludere con le parole/immagini di Apollinaire (“Les fenétres”): “La finestra si apre come un’arancia, incantevole frutto della luce”.

L’Immaginario è l’atto dell’immaginare, è come la buccia di un’arancia che si apre ed aprendosi si apre al mondo, si apre alla luce, diviene atto creativo, grazie anche all’effrazione. L’oggetto a sua volta è il prodotto della luce, del colore della luce …



[1] Anche Jung nel suo “Simboli della trasformazione” sosteneva: “Esistono due forme del pensare: il pensiero indirizzato e il sognare o fantasticare. Il primo, operando con gli elementi del linguaggio, serve a comunicare ed è faticoso e sfibrante. Il secondo, per contro, opera senza sforzo, spontaneamente diremmo, con contenuti già belli e pronti e guidati da motivi inconsci. Il primo crea acquisizioni nuove, adattamenti, imita la realtà e cerca di influire su di essa. Il secondo invece volge le spalle alla realtà, mette in libertà tendenze soggettive ed è, per quel che concerne l’adattamento, improduttivo (improduttivo, cioè inadeguato e di conseguenza inefficace ai fini dell’utilizzazione pratica; ma alla lunga il gioco della fantasia finisce, al pari dei sogni, con il rilevare forze e contenuti creativi …)”.

 

[2] Il desiderio lo possiamo definire come qualcosa al cui centro manca.