Ipotesi sul funzionamento cerebrale nella psicoterapia con l’Immaginario

image_pdfimage_print
Immaginario: studi e ricercheManuel Marcon, Paola Piquet

“Per comprendere l’altro, cioè per imitare i suoi sentimenti in noi stessi, noi ci mettiamo in prospettiva di imitazione interna che in qualche modo fa sorgere dei sentimenti in noi analoghi, in virtù di un’antica associazione tra movimento e sensazione”
Tratto da “Aurora” di Nietzche.
Il motivo che ci ha portato ad approfondire il funzionamento cerebrale nella psicoterapia dell’Immaginario ha origine dall’esigenza odierna di operare in parallelo  con le neuroscienze che, attraverso metodiche avanzate, permettono di mostrare il cervello in attività. Di conseguenza,  la finalità è quella di dimostrare l’efficacia della Psicoterapia Immaginativa che è la tecnica che noi utilizziamo. Negli incontri ITP si genera un complesso rapporto tra colloquio, imagerie (nella quale si svolge prima il rilassamento e poi la visualizzazione) e sogni fatti durante l’intervallo tra le sedute e lo psicoterapeuta segue, nel loro significato, tutti questi elementi nei complessi rapporti che si stabiliscono e mette in campo degli interventi giustificati e proporzionati alla situazione. L’Imagerie mentale si sviluppa in uno stato di modificata vigilanza che risulta attenuata e di presenza di coscienza. La tecnica di rilassamento usata nell’ITP  si basa infatti su meccanismi fisiologici di inibizione muscolare ed è ottenuta privilegiando l’attenzione sulle afferenze quali sensazioni tattili, di contatto e di posizione. Inoltre il soggetto verrà invitato a sentirsi nel suo corpo immaginario e a sperimentare tutte le sensazioni sia a livello tattile che visivo, uditivo, olfattivo, gustativo; si tratta quindi di un’immagine non visiva ma vissuta. Nell’esperienza sensoriale il primo senso ad essere attivato è il tatto cui segue il gusto, l’udito, l’odorato e la vista.  L’immaginazione conserva le immagini ricevute dai sensi, sotto forma di immagini mentali e le può giocare in modo da formare costruzioni immaginarie infinitamente varie. La regressione al tatto ha un carattere fondativo poiché riporta ad uno stadio di base, del quale è possibile ripescare una traccia nella memoria corporea. Tale regressione diventa veramente ristrutturante,  nel momento in cui il soggetto, gratificato, in modo necessario e sufficiente, sente il desiderio di riappropriarsi di tutta la sua immagine corporea. Il desiderio, ma anche la motivazione, diventa sinonimo di movimento ovvero di crescita e maturazione. Le parole “emozione” e “motivazione” hanno la stessa origine etimologica, entrambe derivano dal “motus” ovvero dal movimento. Da ciò ne deriva che nei processi immaginativi interagiscono: attenzione, memoria, categorizzazione  ovvero tutto il cervello è coinvolto nell’attività di immaginazione. Freeman, neurofisiologo americano, nel 1986 e nel 2000 ha compiuto degli esperimenti che riguardano le oscillazioni di potenziale elettrico nel sistema olfattivo dei mammiferi Mediante piccole matrici di elettrodi poste a contatto con alcune aree dell’asse anatomico-funzionale formata dalla sequenza bulbo, corteccia, e nuclei olfattivi, corteccia entorinale. Dedusse  che i patterns  memorizzati dal sistema olfattivo non codificano rappresentazioni di odori (se così fosse, essi risulterebbero uguali a quelli che si formano in assenza di rinforzo) ma codificano i significati emotivi che quegli odori hanno per l’animale. Successivamente scoprì che in corrispondenza ad ogni processo di memorizzazione, non cambiava solo il pattern usualmente eccitato dall’odore in assenza di rinforzo, ma anche tutti gli altri pattern caratteristici degli odori memorizzati in precedenza. Ciò porta a concludere che l’attivazione di uno stato emotivo non solo interviene nella struttura dei dati memorizzati, caricando di significati propri i modi di risposta delle aree sensoriali, ma produce anche la ristrutturazione dell’intero assetto della memoria, riorganizzando l’intero sistema di significati. Quindi le configurazioni del sistema sono uniche come la storia dell’individuo, poiché derivano dall’esperienza passata che ha modellato le connessioni sinaptiche. Per quanto riguarda gli aspetti storici degli studi elettrofisiologici,  nel 1929 H.Berger scopre il ritmo alfa ovvero l’attività elettrica cerebrale caratteristica delle regioni posteriori dell’encefalo che si presenta alla chiusura degli occhi e nel soggetto sveglio in stato di rilassamento psicosensoriale. Il ritmo alfa sarebbe il risultato del funzionamento auto-ritmico di anelli chiusi stabili tra neuroni della corteccia e neuroni del talamo. L’autoritmicità endogena che caratterizza questo ritmo alfa tradurrebbe una specie di funzionamento rilassato della corteccia. Il ritmo alfa corrisponde ad un livello di attivazione cerebrale specifico caratteristico dello stato ipovigile, equivalente ad uno stato di veglia abbassato differente dal sonno. Tale stato ipovigile si accompagna ad una profonda distensione psicosensoriale e al sopraggiungere di imagerie affettivamente vissute. Virel (i cui contributi riguardano la presentazione del suo metodo nel 1968 sull’oniroterapia e l’approfondimento sugli aspetti elettrofisiologici sottesi allo stato di rilassamento.)  ha denominato tale stato di disponibilità mentale : stato di decentrazione. Egli afferma inoltre che non è tanto la natura apparente del contenuto della coscienza che si trascrive con il tracciato EEG quanto la qualità dell’affetto che ritma l’attività. Lasciate venire ciò che viene dal vostro corpo e non ciò che viene dalla vostra mente.Alla povertà dell’alfa corrisponde:

  • difficoltà o impossibilità di raggiugere lo stato di rilassamento psicosensoriale.
  • povertà o assenza di immagini spontanee o indotte.
  • povertà dell’attività onirica nel corso della veglia come nel sonno.

Nell’ITP si assiste già a delle modifiche fisiologiche durante la fase del rilassamento, sia come messa in condizione necessaria per favorire l’inserimento dell’Io Corporeo Immaginario (I.C.I.), sia come momento terapeutico. Sottolineiamo come durante questa fase molti pazienti ansiosi trovano beneficio nel gestire in qualche modo l’ansia. Le modificazioni organiche sono:

  • rallentamento della frequenza respiratoria e regolarizzazione dei cicli respiratori (“…si accorgerà che durante il rilassamento il respiro si fa più lento, profondo e regolare…”)
  • riduzione del consumo di ossigeno a livello globale
  • rallentamento della frequenza cardiaca
  • aumento della resistenza cutanea
  • diminuzione del tono muscolare
  • vasodilatazione periferica (calore)
  • aumento delle onde alfa

Durante l’attività terapeutica si nota come di frequente nei pazienti che iniziano le sedute di rilassamento comincino ad attivarsi i sogni. Esistono alcuni studi sulla meditazione sui quali si potrebbero trovare collegamenti per quanto riguarda il rilassamento. Meditare significa osservare il susseguirsi dei nostri pensieri, senza stress  e senza esprimere giudizi, “riprendere i sensi per stare nel presente” “Basta provare per scoprire che è difficile persino soffermarci su una cosa semplice come il ritmo del nostro  respiro”. Varie ricerche dimostrano che la pratica della meditazione attiva specifiche aree cerebrali. In uno studio realizzato nel 2000 da Sara Lazar del Dipartimento di Psichiatria della Harvard Medical School usando la risonanza magnetica funzionale (fMRI), si è visto che le aree cerebrali attive durante la meditazione sono quelle legate all’attenzione e al controllo del sistema nervoso autonomo: corteccia dorso laterale prefrontale e parietale, ippocampo, lobo temporale, corteccia cingolata anteriore e corpo striato. (sempre di più si parla del sistema autonomo come sistema che l’uomo può controllare con la sua volontà). Altri studi, come quello realizzato nel 2003 da Richard Davidson all’Università del Wisconsin indicano che la pratica della meditazione è legata ad un incremento nell’attività della corteccia prefrontale sinistra, associata alla concentrazione e più in generale alle emozioni positive (alcuni studi mettono in relazione una ridotta attività in quest’area con ansia e disturbi dell’umore). Si è visto inoltre che la meditazione contribuisce a rafforzare il sistema immunitario. Uno studio realizzato presso il Massachusetts General Hospital e presentato nel novembre 2005 alla Società americana di neuroscienze mostra che una pratica regolare della meditazione può modificare in modo permanente la struttura dell’encefalo, aumentando lo spessore delle aree della corteccia cerebrale connesse con i processi dell’attenzione e con l’integrazione tra processi emozionali e cognitivi. A tal proposito la dott.ssa Chinaglia, in un precedente seminario, aveva mostrato  che l’aumento di spessore interessava due zone corticali, ovvero la corteccia pre-frontale e la corteccia insulare. La meditazione, quindi, favorirebbe una riorganizzazione delle cellule neuronali. La meditazione sembra avere un effetto protettivo sul sistema cardiovascolare: secondo uno studio su 212 in soggetti anziani ipertesi, pubblicato nel 2005 dall’ “American Journal of Cardiology”, la meditazione trascendentale ridurrebbe del 23 per cento il rischio di morte. Un altro recente studio riferisce sull’ “American Journal of Hypertension” che una pratica quotidiana di meditazione trascendentale (15 minuti due volte al giorno) è risultata sufficiente a regolarizzare la pressione sanguigna di un gruppo di adolescenti con problemi di ipertensione. Diverse ricerche sull’attività neuroelettrica del cervello durante la meditazione, tra cui una recentissima realizzata all’Università della California a San Diego, mostrano un aumento delle onde theta e alfa.  Uno studio realizzato su un gruppo di monaci buddisti con lunga esperienza di meditazione mostra una produzione particolarmente intensa e coordinata di onde gamma, rare e difficilmente rilevabili, associate a una maggiore interazione tra i diversi circuiti cerebrali. Un cambiamento che sembra essere permanente, dato che i monaci hanno fatto registrare una produzione di onde gamma maggiore rispetto al gruppo di controllo anche quando non erano impegnati nella meditazione. Nell’ITP, proprio durante la fase di rilassamento, la terminologia linguistica che viene utilizzata, acquista una notevole  importanza. Infatti il terapeuta addestrato all’utilizzo di questa tecnica, con il paziente userà locuzioni verbali quali “cosa sente?” per favorire il rilassamento e quindi il diffondersi delle onde alfa che migrano dalla corteccia occipitale. Non viene mai usata la locuzione “Si concentri” in quanto indicherebbe uno sforzo a livello cognitivo e in particolar modo delle aree pre-frontali dalle quali hanno origine le onde beta. Teniamo inoltre a precisare che Rigo aveva chiamato il rilassamento III stato, che lo distingueva dallo stato di veglia e dallo stato di sonno (stati di vigilanza).  Anche la meditazione viene tutt’oggi considerata uno stato a sé, un terzo stato. Si è accennato all’effetto di rinforzo  sul sistema immunitario che sembra avere la meditazione. A questo proposito attualmente si parla di PNEI che è la sigla di psiconeuroendocrinoimmunologia branca della biologia che studia le relazioni tra sistema nervoso, sistema endocrino, sistema immunitario e stati mentali; si occupa quindi dell’influenza delle emozioni, degli eventi di vita e dei fattori psicologici sui processi normali e patologici dell’organismo. La neurofisiologia ha studiato le endorfine e un vasto numero di neuropeptidi, molecole di natura proteica, evidenziandone il ruolo di mediatori, non solo delle informazione ma anche delle emozioni, e rilevandone la presenza in tutte le cellule del corpo. I tre sistemi nervoso, endocrino e immunitario producono i neuropeptidi  che vengono liberati in risposta ad uno stimolo. Tali molecole vengono considerate “ psichiche” in quanto non veicolano solo informazioni ormonali e metaboliche, ma anche “emozioni” e segnali psicofisici: per mezzo di essi viene trasmesso nel corpo ogni stato emotivo (amore, piacere, paura, dolore, ansia, ira) articolato dalle complesse sfumature che chiamiamo sentimenti. Inoltre, neurotrasmettitori e ormoni che sono entrambi categorie di neuropeptidi  sono rinvenuti insieme ai loro recettori in ogni parte dell’organismo, non unicamente nel sistema nervoso. Questo significa che l’intero corpo “pensa”, che ogni cellula “sente”, prova “emozioni”, riceve informazioni psicofisiche e le trasmette al resto dell’organismo attraverso una fitta rete di interconnessioni di estrema varietà comunicativa, elabora strategie metaboliche per il benessere globale. Le nuove scoperte della PNEI riguardano la connessione tra cervello e immunità ovvero le cellule immunitarie possono ricevere e comprendere i messaggi che provengono dal sistema nervoso autonomo e, per suo tramite, dal cervello. Le vie di comunicazione che collegano il sistema immunitario sono le “Fibre del sistema nervoso autonomo” che fuoriescono dal midollo spinale e, tramite il sistema simpatico, vanno a innervare il timo, il midollo osseo, la milza, i linfonodi, il tessuto linfoide dell’intestino. Le fibre si allargano e vanno a unirsi ai linfociti. Si formano così delle sinapsi chiamate “giunzioni neuroimmunitarie”. Una seconda via di comunicazione è quella ormonale e riguarda la produzione di cortisolo, in particolare, da parte delle ghiandole surrenali e rappresenta l’evento fondamentale  e finale della risposta allo stress. Un lutto, una separazione, problemi di lavoro o affettivi, attivano l’asse ipotalamo, ipofisi, surrene. Anche un’infezione o un’infiammazione, producono una reazione immunitaria che è in grado di comunicare, in forma diretta o mediata con il cervello. Stress significa soppressione della risposta immunitaria; alti livelli di cortisolo significano maggior esposizione alle infezioni e forse fenomeni degenerativi del cervello. Bassi livelli significa esporsi a malattie infiammatorie autoimmuni, perché manca la quantità di ormone in grado di spegnere le reazioni immunitarie. Inoltre la PNEI descrive il sistema immunitario come un organo di senso deputato al riconoscimento di stimoli come virus, batteri, tossine, chiamati “non cognitivi” per distinguerli da quelli cognitivi riconosciuti dal sistema nervoso. Non solo quest’ultimo ha un contatto diretto con il sistema immunitario nel momento in cui penetra negli organi linfoidi, in quelle strutture del corpo, come la milza e i linfonodi, che garantiscono lo stoccaggio e la circolazione delle cellule immunitarie, ma queste ultime, a loro volta, tramite la loro spettacolare capacità di produrre svariate e potenti molecole, che superano la barriera ematocefalica, entrano in comunicazione anche con la parte superiore del sistema nervoso centrale: direttamente con il cervello. Per noi che lavoriamo sull’effetto delle immagini e della parola e sulle emozioni che vengono scambiate nella relazione psicoterapeutica,  tutto ciò ci fa comprendere quanto ampia sia la interrelazione  tra mente e corpo. Inizialmente si è parlato di “desiderio” quale sinonimo di movimento interno che permette la crescita dell’individuo . Per noi che applichiamo l’ITP è fondamentale che l’individuo senta il desiderio di riappropriarsi di tutta la sua immagine corporea. Se ciò avviene la regressione diventa veramente ristrutturante .   In psicologia dello sport si è visto che immaginare il movimento produce risposte fisiologiche simili a quelle che si hanno durante il movimento reale. Durante l’immagine motoria interna l’individuo “sente se stesso” come se eseguisse l’azione, percependo le proprietà cinestesiche e dinamiche del movimento. Attraverso la misura del flusso ematico cerebrale, si vede che durante l’esecuzione reale del movimento si ha l’attivazione nell’area motoria primaria controlaterale e nell’area supplementare motoria mentre durante l’immaginazione si attiva l’area supplementare motoria. A conferma che l’azione immaginata e quella eseguita condividono gli stessi substrati neurali, viene dimostrata nei pazienti con morbo di Parkinson la cui esecuzione motoria  è lenta e l’immaginazione dei movimenti presenta lo stesso rallentamento. Abbiamo poi le ricerche sui neuroni specchio che dimostrano come gli stessi circuiti neurali attivati nel soggetto che esegue azioni, esprime emozioni e prova sensazioni vengano automaticamente attivati anche nel soggetto che attiva queste azioni, emozioni, sensazioni. Questa attivazione condivisa suggerisce un meccanismo funzionale di “simulazione incarnata” che consiste nella simulazione automatica e inconscia nell’osservatore delle azioni, emozioni e sensazioni agite o provate dall’osservato. Va detto che la scoperta dei “neuroni specchio” ha valorizzato il  concetto di movimento. Se prima l’atto motorio era inteso come un semplice canale esecutivo che si attivava dopo l’analisi di una sensazione, ora il movimento può essere considerato un canale sensoriale, come il tatto, il gusto, l’olfatto, la vista e l’udito. Le neuroscienze hanno dimostrato ciò che è stato in parte anticipato clinicamente ed intuitivamente dall’ITP, ovvero che è il movimento a consentire alle percezioni di essere percepite. Un recente studio di fMRI, in cui i soggetti umani adulti sani osservavano filmati in cui azioni bucco-facciali erano eseguite rispettivamente da uomini, scimmie e cani rinforza l’ipotesi del ruolo del sistema dei neuroni specchio nella comunicazione sociale. L’osservazione di azioni comunicative induceva l’attivazione di regioni corticali diverse al variare della specie che le eseguiva: l’osservazione del  parlare attivava la parte premotoria della regione di Broca; l’osservazione del movimento ritmico delle labbra con valenza affiliativa da parte della scimmia attivava una porzione più ristretta della stessa regione bilateralmente. Infine, l’osservazione del cane che abbaia attivava solo le aree visive. L’osservazione di azioni comunicative che appartengono al repertorio comportamentale umano, oppure non se ne discostano molto come nel caso della scimmia, inducevano l’attivazione di regioni del sistema motorio  dell’osservatore che mediano l’esecuzione di quelle stesse azioni o di azioni analoghe. Azioni comunicative che invece esulano dal repertorio comportamentale umano (come abbaiare) erano mappate e quindi categorizzate sulla base delle caratteristiche percettive visive, senza indurre alcun fenomeno di risonanza motoria nel cervello dell’osservatore. Ciò ci porta a riflettere sulle implicazioni di tali ricerche sull’azione terapeutica. E’ stato inoltre dimostrato sempre attraverso studi di fMRI che la lettura silenziosa o l’ascolto di parole o frasi che descrivono azioni della bocca, della mano o del piede attiva differenti settori della corteccia motoria e premotoria che controllano queste stesse azioni. Quindi il sistema dei neuroni specchio si attiverebbe anche durante la comprensione di espressioni linguistiche descriventi le stesse azioni. Per noi che usiamo l’ITP ciò risulta molto interessante. In molte visualizzazioni o Imagerie suggeriamo dei “movimenti” del corpo in particolare degli arti. Ad esempio nelle fasi ristrutturanti e non solo possiamo invitare il paziente ad immaginare di cogliere un frutto con la mano e di portarlo alla bocca per assaporarne il gusto. Come è noto, per Kohut (1984) l’empatia non è solo uno strumento di conoscenza ma anche un importante strumento terapeutico, nel senso che la esposizione ripetuta a esperienze di comprensione empatica da parte dell’analista serve a riparare i “difetti del Sé” del paziente. In che modo questo avverrebbe? Kohut non lo spiega, limitandosi a vaghi riferimenti a una progressiva crescita o strutturazione psichica. A livello di ipotesi, si può pensare ad un meccanismo per cui la risposta accuratamente sintonizzata al paziente viene da lui automaticamente simulata e rinforza la sua sensazione di essere in connessione con l’altro, dandogli anche la possibilità di chiarire e articolare meglio i propri sentimenti, il che contribuisce a rafforzare il suo senso di sé . Si tratta di  un andirivieni continuo di simulazioni incarnate: la risposta sintonizzata del terapeuta al paziente, che in se stessa è basata sulla simulazione delle emozioni di quest’ultimo, stimola a sua volta nel paziente la simulazione della risposta del terapeuta. Questo processo aiuta il paziente a “vedere”, nella risposta del terapeuta, i propri stati mentali come pure l’esperienza di modulazione e di contenimento di questi stati. Più in generale, come suggeriscono Fonagy et al. (2002), il paziente esperisce se stesso rappresentato con sicurezza nella mente del terapeuta, il che non solo lo aiuta a scoprire se stesso ma, forse in modo più importante, a scoprire se stesso nella mente dell’altro. Vi è qui una ovvia analogia tra il rispecchiamento tra madre e bambino e quello tra terapeuta e paziente. La madre, come abbiamo visto, funziona da “biofeedback sociale” (Gergely & Watson, 1996) per il bambino, ma il terapeuta, in più, può anche fare esplicite interpretazioni sugli stati mentali del paziente. L’interazione tra il bambino e la madre , sotto questa luce, può essere così descritta: (1) Il bambino ha una determinata sensazione o uno stato mentale; (2) La madre reagisce al bambino; (3) Il bambino osserva e reagisce alla reazione della madre nei suoi confronti; (4) L’osservazione da parte del bambino della reazione della madre attiva in lui una simulazione automatica del comportamento della madre; (5) Se la reazione della madre al bambino (punto 2) è in sintonia con lo stato mentale del bambino (punto 1), allora la simulazione stimolata automaticamente in lui (punto 4) durante la sua osservazione della reazione della madre nei suoi confronti sarà congruente con il suo stato mentale iniziale (punto 1). Questo non solo migliora il senso di connessione del bambino con la madre, ma influenza positivamente anche lo sviluppo del senso del Sé del bambino contribuendo alla continuità e alla coerenza dei suoi stati mentali; (6) Se la reazione della madre al bambino (punto 2) non è in sintonia con il vissuto iniziale del bambino (punto 1), allora il processo di simulazione stimolato automaticamente nel bambino (punto 4) quando osservava la reazione della madre della madre verso di lui sarà incongruente col suo stato iniziale. Ciò significa che vi sarà una disgiunzione tra lo stato iniziale del bambino (punto 1) e la sua internalizzazione (cioè la simulazione stimolata nel bambino) della reazione della madre. Si può speculare che questa disgiunzione minacci la integrità del Sé contribuendo allo sviluppo di quello che Winnicott (1960) chiama “falso Sé” e Fonagy et al. (2002) chiamano “Sé alieno” (il cui significato è molto vicino al concetto di “oggetto internalizzato” di Fairbairn [1952]). Questi tre concetti (“falso Sé, “Sé alieno” e “oggetto internalizzato”) hanno in comune l’idea che il bambino tramite il rispecchiamento ha “importato” nella struttura del Sé reazioni dell’altro che sono incongruenti col suo stato mentale iniziale “vero” e biologicamente fondato; (7) Se però la madre rispecchia o imita fedelmente il comportamento del bambino, è probabile che non faciliti la sua crescita e la sua capacità di regolazione affettiva e di assegnare significati ai propri stati mentali. Il rispecchiamento  deve aggiungere qualcosa allo stato precedente. Con tutta probabilità il processo che abbiamo descritto avviene anche in terapia, dove idealmente il terapeuta non rispecchia letteralmente gli stati mentali del paziente ma dà risposte empatiche congruenti che gli permettono di trovare se stesso e nel contempo lo facilitano a riflettere e a trasformare l’esperienza. Possiamo anche speculare – come abbiamo accennato prima – che il cambiamento terapeutico è possibile solo quando la differenza “quantitativa” tra i due stati (quello originario e quello internalizzato) è sufficientemente piccola da non destabilizzare l’identità del paziente. Vogliamo sottolineare nuovamente che, quando il paziente internalizza le risposte del terapeuta, quello che viene internalizzato non è mai una replica del suo comportamento, ma già una sua trasformazione, e questo è un aspetto fondamentale del processo terapeutico.   Un  ultimo accenno riguarda un’osservazione sulla memoria implicita ed esplicita: il ricordo esplicito ( la cui memoria è localizzata in una recente area cerebrale nella neocorteccia) è dichiarativo, strutturato episodicamente, racchiude soprattutto la cronaca dei fatti. E’ immagazzinato a livello verbale e immaginativo, e i contenuti possono essere richiamati o ricordati in parte consapevolmente, in parte sono esperienze episodiche immagazzinate a livello inconscio e di cui siamo parzialmente o integralmente consapevoli. L’inconscio della memoria esplicita ha una forma concettuale, arriva a una simbolizzazione, e alla capacità di espressioni linguistiche con una valenza simbolica. I contenuti della memoria esplicita costruiscono nella loro struttura episodica le basi per il ricordo autobiografico. La memoria implicita  è non-dichiarativa, procedurale, non episodica né strutturata e racchiude originarie conoscenze affettive, regola le emozioni, gli “schemi di relazione” e gli schemi inconsci per l’acquisizione di abilità (parlare, camminare). Essa non è codificata né linguisticamente né a livello immaginario, ma lo è a livello senso-motorio e in forma di enunciati modelli pre-verbali di interazione. Quindi i contenuti inconsci non sono richiamabili intenzionalmente, ma solo rappresentabili in forma di “Enactments” interpersonali che si mettono in scena. Tali esperienze originarie procurano immagini che non sono mai state pensate. Ne derivano stretti collegamenti con la teoria della formazione di simboli di Bion (1962-63), che ha postulato che un bambino piccolo non è in grado di mentalizzare né di rappresentare con delle immagini le esperienze psichiche, i cosiddetti Beta-elementi, che devono manifestarsi, con l’aiuto dell’Alfa-funzione della madre e della sua reverie per diventare le basi di costruzione del pensiero. Queste pietre miliari possono creare in seguito la materia per sogni e immaginazioni, cioè simboli maturi. L’attivazione processuale significa che attraverso esperienze emozionali nel  (processo terapeutico) vengono toccati e rivisitati vecchi schemi emozionali del passato, e con ciò attivati nella memoria implicita. Il ricordo del passato dipende fortemente dal fatto che il cervello al momento del ricordo si trova nello stesso stato EEG del momento dell’immagazzinamento. La capacità del ricordo è dunque dipendente dal contesto cui appartengono spazi, ambiente, comportamento e apparenza persone, impressioni sensoriali ma soprattutto gli stati affettivi e gli stati d’animo. Nel qui ed ora del rapporto terapeutico  diventano possibili esperienze simili al contesto. Per concludere vogliamo fare riferimento ad Oliver Sack e al suo libro “Musicofilia” nel quale cerca di spiegare la creazione di immagini musicali e al contempo di immagini che compaiono improvvisamente nella mente di ciascuno quando ad esempio una musica sollecita uno stato emotivo che produce delle immagini e anche dei ricordi. Questo confermerebbe il legame tra la  sensazione e la  memoria in tutte le sue forme.