Jo un bambino difficile.


Sono stata sollecitata dai contenuti delle relazioni  a proposito di quanto detto sull’incontro  autentico e il contatto comunicativo profondo così mi è tornato alla mente  un piccolo paziente di 9 anni del quale vorrei riportare solo qualche elemento che potrebbe essere chiarificatore dell’approccio terapeutico che valorizza le immagini vissute che caratterizza la nostra psicoterapia e di quanto sia vicino e nutrito dalla formazione e contributo teorico dei docenti J.Burgos e  J.M.Barthelemy.   Jo un bambino difficile, ha problemi di comportamento, è chiuso, ritirato o  aggressivo con i coetanei. Discontinuo in ogni attività che intraprende che finisce con l’annoiarlo. Imbronciato, musone, ha varie somatizzazioni.  Vive male la separazione dei genitori, che hanno un approccio educativo e una visione delle sua personalità  e delle sue difficoltà molto diversi.  Il padre magrebino lo  vorrebbe iscrivere a una gestione  controllata e neutralizzata delle sue debolezze e dei suoi insuccessi attraverso un governo repressivo con esaltazione della forza fisica e la competizione.  La madre veneta  lo mantiene in una condizione di impietosita protezione e collusione che lo spinge a dominarla e tiranneggiarla, anche per il senso di debolezza e frustrazione dell’immagine di sé che in questo legame  riceve.  Il disegno che  realizza può permetterci di rimettere  ”in gioco” alcune delle cose che sono state  dette sulla relazione terapeutica – luogo umano e affettivo- nella quale si innesta l’atto creativo di cui tante volte ci ha parlato il prof. Burgos, che  consiste nel far venire all’esistenza  con l’atto del fare, del rendere  reale… Accanto a  questo bambino ho ritrovato l’eco delle parole di J. M Bartelemy ”nel qui ed ora(tempo /spazio) della relazione terapeutica con l’aggiustarsi a piccoli tocchi adattivi nell’avvicinamento (movimento).” e nell’incontro  tra intersoggettivo e intrasoggettivo   Jo svolge  alcune sedute  silenzioso con soldatini e mezzi da combattimento predispone con accuratezza uno scenario di guerra che resta lì lì per scatenarsi senza un nemico e con tutto nemico a 360°. Questo tempo fermo diventa tempo  dell’attesa di quella  sospensione che  dispone al nuovo che sta per emergere . Di questo proprio ci siamo occupati nel seminario di 2 anni fa. ”Silenzio, attesa, assenza”. Jo sembra  sempre poco curante della mia presenza, accanto a lui, se non per incaricarmi di fornirgli qualche  materiale  di gioco  senza concedermi nessun altro agire né verbale né manuale.  Rassicurata dal semplice, “non semplicistico”, compito nel quale mi identifica decido di prendere l’iniziativa,  di cominciare in un piccolo spazio al limite del suo, che era rimasto libero, a disporre pochi  elementi di un villaggio che lui guarda  con simulata indifferenza e noncuranza. Gli propongo di disegnare. Il disegno  diventa la rappresentazione della nostra stessa relazione lo spazio dell’incontro e del contatto con la realtà interiore.  Il professor J Burgos nel seminario  del 2004   diceva che L’Immaginario in quanto “incrocio di scambi è il luogo della manifestazione e della realizzazione dei possibili o dell’avvio di questa realizzazione, scambio permanente di forze vive in cui il mondo del soggetto e il mondo dell’oggetto si nutrono l’uno dell’altro affrontandosi, si trasformano l’uno attraverso l’altro; è qui che originano le potenzialità inscritte in ogni situazione presente, qui comincia la possibilità di creare” (Vedi il disegno campo militare in slide) Jo accuratamente disegna il suo campo militare e con un filo spinato divide a metà lo spazio disponibile e mi incarica di raffigurare nell’altra metà il villaggio che avevo iniziato nel gioco. Accetto  e coloro un paio di casette  e gli dico che la base militare (che sembra una difensiva autorappresentazione parziale del Sè), avrà bisogno di acqua di cibo legna, attrezzi e cose che  qui nel villaggio di contadini e allevatori si possono trovare.  Allora  lui diviene attento e sollecito, si sposta in questo lato del foglio  alla ricerca dei suoi sostentamenti trasferendosi  e disegnando, dando così vita alla creazione di un villaggio composto  che a lungo nelle sedute verrà arricchito potentemente e progressivamente di forze naturali animali e umane. (vedi il disegno intero). Questo spazio  immaginativo, in  fase iniziale della terapia, distinto ma non disunito, è diventato per un buon periodo, la scena teatrale di tanti giochi in cui continui andirivieni da un lato all’altro del foglio corrispondevano all’incontro comunicativo che tra di noi si era avviato  e alla relazione di scambio  sempre più profondo tra i due lati della sua personalità  e della relazione che intrattiene con i genitori.  Così nel succedersi di scene giocate iniziano a integrarsi immagini di Sé  più vitali, flessibili, aperte e dinamiche. Più integrate anche del maschile e del femminile.