L’archetipo della caverna: una lettura del suo significato simbolico in ambito psicologico.


Il simbolo della caverna.

Il simbolo della caverna può essere analizzato in chiave psicologica alla luce dei contributi multidisciplinari  sul significato dell’immagine stessa. L’immagine della caverna come simbolo e al tempo stesso archetipo universale è presente in diversi ambiti, come nella simbologia sacra e nella filosofia oltre che nella psicologia. La caverna racchiude in sé molteplici significati, con connotazioni particolari  e differenti tra loro: ‘regressus ad uterum’, discesa agli inferi per giungere ad una nuova nascita, abisso da cui emergono pericoli ed imprevisti, e, ancora, morte, sepolcro, Inconscio primordiale, rappresentazione del mondo (la caverna infatti racchiude in sé cielo e terra), riparo naturale, cavità uterina, ambiente amniotico, ma anche abitazione, casa, espressioni queste che rimandano tuttavia ad un significato più grande e trasversale, ovvero una cavità, matrice e madre.

Grazie ai nuovi contributi di L. Rigo, il simbolo della caverna può emergere in ambito psicologico e psicoterapico come Immagine che porta con sé caratteristiche ‘individuali’ quando il soggetto si trova ad intraprendere un percorso psicoterapico, grazie alla relazione con il terapeuta e alla ‘messa in condizione’ caratteristica imprescindibile della tecnica ITP. Poiché  l’ITP prevede la possibilità di adattare la tecnica alle esigenze dei bambini, modificando la metodologia e mantenendo gli stessi principi e parametri, vengono qui di seguito descritte come esemplificazione, una seduta di gioco e una di psicoterapia di due bambini, a rendere evidente la potenzialità del simbolo della caverna, le molteplici immagini attraverso le quali si può manifestare, e come la caverna può essere rappresentata o percepita in relazione alle fasi terapeutiche caratteristiche della tecnica immaginativa. Tali immagini possono infatti modificarsi, a seconda della fase terapeutica che il soggetto sta attraversando.     L’originalità del metodo di Rigo rispetto ad altre tecniche immaginative sta nel vissuto che il paziente sperimenta nella seduta di Imagerie Mentale, dove viene data un’importanza fondamentale alla partecipazione attiva del soggetto, che diventa attivo e autore rispetto al proprio Inconscio.

Anche con i bambini il setting e la struttura della seduta sono fondamentali: viene mantenuto i colloquio vis a vis, mentre lo Schermo su cui il bambino può proiettare il suo mondo interno diventa qui, nella prima seduta, il tappeto di gioco, nella seconda è il foglio su cui dare vita alla storia ‘immaginata’. In entrambe le sedute i bambini possono partecipare in modo attivo sperimentando l’identificazione con i protagonisti delle loro storie (drammatizzate e disegnate).

 Caso clinico M.

M. è un bambino di 10 anni, che giunge a consultazione per problemi di alopecia, difficoltà di relazione con i pari, frequenti episodi di rabbia. Nel corso della valutazione emergono ambivalenza nei confronti della figura materna, verso cui M. mostra, soprattutto al test proiettivo ‘Blacky Pictures’ rabbia e al tempo stesso desiderio di un rapporto fusionale, mentre emerge un rapporto più positivo con il padre, da cui si sente più compreso e coccolato. M. esprime solo in questa fase diagnostica i suoi bisogni di contatto e vicinanza, di attenzione e la sua profonda tristezza e solitudine, mentre nei colloqui non racconta nulla dei suoi problemi, anzi dice che va tutto bene e non parla mai dei suoi sentimenti e delle sue emozioni.   Nei primi incontri quando parla si mordicchia le mani e usa una voce da bambino più piccolo della sua età. È un bambino con un livello intellettivo molto buono, che gioca quasi esclusivamente da solo ed è molto impegnato nella lettura. Il protagonista dei suoi fumetti è molto sfortunato (come di tanto in tanto riferisce di essere M. stesso). In una seduta di gioco con le marionette, seduta che precede un percorso psicoterapico, prende spontaneamente un contenitore concavo e lo utilizza facendo finta che sia una grotta, che però, nel corso dell’incontro, chiama a volte caverna, altre burrone. Il protagonista di questa drammatizzazione è lo stesso personaggio dei fumetti, P., sfortunato e sempre alle prese con delle sventure. Diviene infatti prigioniero di una strega e uno stregone che escono dalla grotta e lo addormentano con un incantesimo. Vittima del sortilegio entra nella caverna e lì rimane in attesa che qualcuno lo liberi. Sarà il cane lupo suo amico e compagno di viaggio (sin dai fumetti) ad aiutarlo, su suggerimento dell’operatore, ma la soluzione non è definitiva. P. si trova a combattere con queste figure ‘più forti’ di lui e di nuovo ritorna vittima dei sortilegi dei maghi cattivi. Su un altro suggerimento dell’operatore P. recupera un dono che il padre gli aveva fatto (nei fumetti), un cappello magico che conferisce poteri a chi lo indossa, e lo mette sia sulla sua testa sia su quella del cane e della sorella che viaggia con lui. Nella seduta successiva M. ripropone la storia aggiungendo la figura di un mago buono, che aiuta il protagonista e la sua famiglia ad uscire dalla caverna dove sono finiti tutti, vittime degli stregoni. La seduta rappresenta un esempio di caverna percepita simbolicamente come contenitore, antro che riporta ai contenuti pericolosi, alla cavità che non rassicura, ma nasconde figure minacciose che sovrastano l’individuo, ovvero i vissuti di profonda rabbia, tristezza e solitudine che M. sperimenta quotidianamente e che non accenna mai nei colloqui, che emergono invece liberamente nella drammatizzazione.

Caso clinico D.

La seconda seduta riportata riguarda una seduta psicoterapica di un bambino di 11 anni che elabora attraverso una storia immaginata nel corso della 92esima seduta di psicoterapia. Si tratta di un bambino la cui dimissione è prossima. D. è  stato seguito per un disturbo nevrotico di personalità, con difficoltà nell’elaborazione del processo di separazione-individuazione, un rapporto ambivalente con la madre e un Edipo non risolto. Questa seduta si può considerare, oltre che nel suo significato particolare (del momento), anche un riassunto della ‘strada’ che il bambino ha percorso in questi anni e le sue conquiste adesso stabili. D. decide di raccontare la storia di uno scalatore che vuole affrontare una cima molto alta (la più alta del mondo); in realtà si tratta di una spedizione e pertanto, nel corso del racconto, a lui si aggiungono altri due compagni (parti di sé). D. nei disegni specifica il tempo che gli scalatori impiegano  a portare a termine il loro compito (la fine della spedizione coincide con la fine della terapia, a giugno). Il percorso è fatto di tappe intermedie, ma non può prescindere da una buona base e una attrezzatura conforme alle necessità del viaggio. Viene quindi costruita una tenda, che D. nomina ‘la base’ e talvolta ‘la baita’. La tendabasemadre da cui far partire le proprie radici, ma dalla quale staccarsi per andare avanti, viene rappresentata da una tenda che, al suo interno, è molto ben strutturata e testimonia sia l’elaborazione dell’immagine femminile materna sia una buona  differenziazione e quindi ‘costruzione’ di Sé. La base da cui D. parte è ben ancorata alla roccia, è sicura, stabile perché poggia su una superficie solida, è rappresentata in modo articolato, su più piani, con elementi posti in rilievo degni di attenzione: il pavimento è in legno, c’è una TV (possibilità di comunicazione dalla quale ricevere informazioni utili alla spedizione), c’è un bagno e ci sono delle scale che portano al piano superiore, dove si trovano dei letti. Il protagonista, quindi, inizia il suo viaggio lasciando la base, portando con sé una slitta e delle racchette per l’arrampicata, che appare ripida. In cielo c’è ancora il sole, ma è coperto da una foschia la cui presenza oltre, forse ad anticipare la difficoltà del percorso successivo, ci parla anche dei timori, della confusione, dell’incertezza e della scarsa comprensione che ci coglie sempre all’inizio di un viaggio. Davanti a sé, all’interno della montagna c’è una base, scavata dal precedente scalatore, dove eventualmente il soggetto può ritrovare gli elementi materni rassicuranti lasciati, qualora ne avesse bisogno, in quanto ora interiorizzati e quindi accessibili. Il percorso ora prosegue in un cunicolo scavato all’interno della montagna, che risulta più difficile rispetto al tragitto più chiaro, sulla parte esterna della cima, ma D. non si sottrae alle eventuali difficoltà e affronta l’interno della montagna, che appare sempre in salita. Ci sono due compagni di viaggio che iniziano con lui il percorso, ma, mentre D. continua il suo viaggio verso la cima, un compagno si fa male alla gamba, e non può proseguire nella spedizione, l’altro è invece più lento e rimane in svantaggio, finchè rinuncia (i due compagni di viaggio potrebbero essere le parti di sé che deve lasciare, da cui si è staccato per poter evolvere, immagine di un sé più debole, impedito dai suoi fantasmi anche corporei). Ora l’interno della montagna e quindi la ‘caverna’ non è più piena di mostri, ma è una semplice via, cunicolo, strada. D. intanto prosegue, e porta con sé una bandiera da mettere in cima come riconoscimento della sua impresa. Ora il sole risplende e, dall’alto si vede un elicottero che lo raggiungerà quando avrà bisogno di scendere dalla cima. D. ha raggiunto la meta, si trova in cima alla vetta, sul monte più alto in centro all’Africa e da qui vede il mondo. Tutto è chiaro, ora, limpido e, mentre disegna,  D. esprime anche il vissuto del protagonista: “è così bello e commuovente che viene da piangere”. La storia immaginata mette qui in luce oltre all’evoluzione personale, l’universalità dei temi che trascendono l’individuo e confermano la potenza dell’archetipo che diviene significato all’interno del percorso di crescita di ciascuno di noi. La tenda, o base o baita, possono essere altresì associate al simbolo della caverna, che ora appare ‘ristrutturata’, ben differenziata e un riparo accogliente, quindi una madre ‘sufficientemente buona’, ovvero una base sicura, nella quale si può stare bene e dalla quale si può staccarsi e uscire. Le immagini qui riportate mettono quindi in luce oltre all’evoluzione personale, l’universalità dei temi che trascendono l’individuo e confermano la potenza dell’archetipo che diviene significativo all’interno del percorso di crescita di ciascuno di noi.

Conclusioni.

Alla luce del significato simbolico universale dell’Immagine della caverna, contenitore primordiale, cavità uterina, matrice e madre, possiamo dire che l’evoluzione dell’essere umano non può prescindere da questo contenitore e che la potenza dell’archetipo, superando le limitazioni sociali e i confini culturali, conferisce a questo simbolo un valore vitale comune a tutti gli uomini.

La tecnica ITP in quanto ‘Analisi  e ristrutturazione del Profondo’, può quindi favorire il recupero delle qualità positive e la forza energetica dell’archetipo della caverna, come base da cui partire per rinascere all’interno di uno spazio intimo e fondativo, per poi poter uscire  più evoluti.  La forma accogliente del simbolo permette al soggetto di sentirsi fisicamente e psichicamente dentro, condizione indispensabile per sperimentare un contenimento autentico.

 La caverna si ritrova  quindi nell’Inconscio individuale e collettivo.