L’interpretazione nell’ITP

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Psicoterapia con l’ITPIvana Zanetti

Leopoldo Rigo: “Il compito dello psicoterapeuta, una volta avviato il processo fantastico, è simile a quello di un buon compagno di gita in montagna, che fa osservare aspetti interessanti del panorama, certi particolari, dando una mano nelle situazioni difficili”.

 

Il tipo  di esperienza proprio dell’ITP     

Per riflettere sull’interpretazione nell’ITP, penso di partire da quanto dice Rigo  a proposito dell’esperienza con l’ITP e del terapeuta, della sua funzione e dei suoi interventi. La funzione del terapeuta è molto importante nell’ITP, essendo questa una terapia immaginativa di tipo ”dialogato”, in quanto il terapeuta dialoga con il paziente durante la fase onirodrammatica.

Rigo dice (“Maya”, n.1) che l’esperienza con l’ITP non è di tipo razionale o che comporta una comprensione razionale, o di ampliamento del conscio rispetto all’inconscio sulla base di una comprensione delle proprie difficoltà o dell’origine delle stesse, ma è del tipo ontologico-esperienziale: ”va e prova”.

Nel Quaderno “Verso le radici dell’anima”, Rigo dice che l’esplorazione della personalità  con l’ITP finisce con lo svelare in modo diretto i suoi livelli e i suoi dinamismi al terapeuta, “che segue, con attenzione esperta”, l’andamento delle imagerie.

“Lo psicoterapista, nella cura con l’ITP, opera stimolando adeguatamente il colloqui, facendo sentire la sua presenza durante l’imagerie, suggerendo, specialmente nelle imagerie iniziali, interventi volti a risolvere positivamente la situazione, aiutando con discrezione il concludersi della vicenda immaginativa” (“Verso le radici dell’anima”, pag.5).

La funzione del terapeuta si configura come quella di “guida molto discreta”.

“Il compito dello psicoterapeuta una volta avviato il processo fantastico è simile a quello di un buon compagno di gita in montagna, che fa osservare aspetti interessanti del panorama, certi particolari, dando una mano nelle situazioni difficili” (“L’Imagerie Mentale”, settembre 1973).

Abbiamo qui già molti aspetti su cui soffermarci. Che cosa significa questo ruolo apparentemente minimale del terapeuta che segue, che ha attenzione esperta e dà una mano?

Dobbiamo ricordare quanto per Rigo sia importante la coerenza tra visione dell’uomo, metodo della cura e di conseguenza funzione e, aspetto non meno importante, personalità del terapeuta. Rigo cerca una coerenza tra la finalità della psicoterapia e il procedimento psicoterapico, tra l’ esigenza di maturazione del soggetto (a partire del superamento delle sue nevrosi) e un metodo non direttivo, “non addottrinante, e che possa favorire quindi lo sviluppo dell’autonomia del soggetto”. Per questo egli dice, quando si confronta con Desoille, che “la distinzione di fondo – tra sé e Desoille – consiste nell’assenza di direttività, nella mancanza di sedute interpretative e nel sistema di riferimento teorico, per cui anche il rapporto con il terapeuta è completamente diverso” (si riferisce qui al suo concetto di fantasma e al suo concetto di transfert).

Rigo rivendica la sua distanza dall’interpretazione, rispetto ai metodi psicoanalitici classici, anzi rivendica “l’abolizione dell’interpretazione o il suo uso eccezionale, indicato in casi rari da particolari situazioni terapeutiche”. Rivendica che la sua sia un’innovazione rivoluzionaria, in un’epoca in cui si “credeva generalmente che la risoluzione dei conflitti psichici fosse  basata sulla loro comprensione” (Rigo, 1973,  pag. 4).

Certamente la psicoanalisi ha avuto un’enorme evoluzione in autori originali e interessantissimi – Bion, Ogden, Searles, Ferro – sul tema dell’ “interpretazione”. Per tutti riferisco quanto dice Winnicott “… a  proposito della quantità di cambiamento profondo che lui stesso aveva impedito a causa del proprio personale bisogno di interpretare, e di come gioisse ormai nel favorire la creatività del paziente più che dalla sensazione di essere stato intelligente nel proporre interpretazioni” (tratto da: A. Ferro, ”La psicoanalisi come letteratura e terapia”, Raffaello Cortina Editore, pag.27).

Rigo spiega che lui cerca una strada diretta, senza mediazioni, e questa è la soluzione dei conflitti o la riparazione delle carenze con l’elaborazione delle situazioni immaginative fortemente partecipate a livello psicocorporeo e cariche emotivamente, che appaiono nelle imagerie. Fondamentale è “l’attivazione dell’Io”, che vive situazioni di scacco nella vicenda immaginativa, come in tutti i sogni preoccupanti e che non si concludono. Ma forse questo è troppo poco …

Si tratta di prender contatto con l’inconscio creativo, di metterlo in moto, cosa che succede spontaneamente nel sogno, ma in modo più libero e attivo nella situazione di rilassamento, un particolare stato in cui inconscio, preconscio e conscio sono in comunicazione-osmosi continua. Lo scopo è uno (“Maya”, n.5, pag. 30), cioè mettere in atto l’autocura e l’autosviluppo, una tendenza innata dell’uomo a progredire nel proprio sviluppo, come da un seme si genera una pianta. Potremmo avvicinarla – dice Rigo – al processo di individuazione di Jung. Funzione biologica dell’immaginario (Burgos) e tendenza innata al divenire, definita “autocura e autosviluppo” nella visione di Rigo. Widmann, molto similmente, dice che “… la dimensione più propria della creatività riguarda la missione che ciascuno si porta addosso: quella di risolvere le antinomie psichiche, di inventare soluzioni possibili fra istanze incompatibili della psiche”.

Rigo è molto chiaro, dunque, nel dirci che gli elementi curativi fondamentali per il superamento delle difficoltà sono due: la tendenza all’autocura e la presenza del terapeuta.

La tendenza all’autocura e all’autosviluppo, il grande motore insito nell’uomo, si vede (“Maya”, n. 5) nelle soluzioni “a livello immaginario spontanee del soggetto nelle situazioni difficili che frequentemente si hanno nelle imagerie “conflittuali”, in cui il soggetto è in difficoltà” (questo avviene del resto anche nel sogno, in cui il sognatore cerca una soluzione, più o meno riuscita, dei suoi problemi).

L’autocura è dunque  il  fenomeno principale, che di conseguenza definisce il ruolo del terapeuta e, per quello che oggi ci interessa, il ruolo dell’interpretazione. Il ruolo del terapeuta è dunque delineato: favorire la tendenza naturale, bloccata. L’interpretazione può allora situarsi solo in questa prospettiva, ma è ciò che serve veramente?

 

L’autocura e i fattori di cura

Se l’autocura e l’autosviluppo sono bloccati, spetta al terapeuta rimetterli in moto. Come? Grazie allo stato di rilassamento profondo, e grazie agli intervento e alla presenza stessa del terapeuta.

a)      Il rilassamento profondo consente il funzionamento a livello dell’Io Corporeo Immaginario; è lo stato particolare che consente l’apertura all’inconscio, una dimensione fluttuante tra inconscio e conscio,  che permette l’apertura all’inconscio.

b)      La presenza del terapeuta è importante nell’ITP, tecnica Immaginativa dialogata e non autogena, in cui però “il terapeuta deve garantire una comunicazione profonda, che lo metta al livello del paziente” (Rigo, “Analisi del profondo e psicoterapia”, pag. 23). Ma cosa si intende per comunicazione profonda?

Rigo ci sollecita a partire dall’accettazione. Ecco come ne parla: L’accettazione dell’altro, di cui tanto parla la psicologia, con un termine forse mal scelto perché dà l’impressione di una asimmetria del rapporto a vantaggio dell’ascoltatore (terapeuta), è una delle condizioni preliminari anche se insufficienti … ogni pretesa, non solo di potere, ma anche di progetto, impedisce in modo fatale l’incontro e lo falsa … è la tendenza all’autocura e all’autosviluppo che deve rivelarsi, e di cui chi ascolta non è che il catalizzatore, e talora il portavoce …”. Ancora dei termini che minimizzano il terapeuta, che diventa nientemeno che “il portavoce”.

La presenza discreta si manifesta pur tuttavia negli interventi nella vicenda immaginativa. Essi sono determinati dalle immagini simboliche, che rimandano – dice Rigo – al livello del soggetto, e si occupano di questo, e devono essere in armonia con il livello in cui si trova il paziente.

Lo psicoterapeuta ITP deve saper entrare nel flusso immaginativo con competenza e discrezione; la sua guida nell’Imagerie non è determinata solo dal contenuto delle immagini emergenti, ma dalla sua partecipazione intensa emotiva, e capace di porsi in modo dialettico con la vicenda immaginaria del paziente. A volte la guida è quasi istintiva, corporea, priva della distanza della riflessione, partecipata e anche sofferta.

Gli interventi – dice Rigo – non devono derivare da un processo razionale, ma dall’insight diretto relativo alla situazione, e da un movimento spontaneo proveniente dall’inconscio creativo. Bisogna cogliere i bisogni anche primari per poter “riparare”, come dice Rigo, ad esempio con le “realizzazioni simboliche”, importantissima originale metodologia-scoperta che Rigo ricava da quella splendida esperienza fatta e descritta da Schehaye, che cura la regressione all’oralità della giovane schizofrenica con degli elementi simbolici (mele come seno, mele che soddisfano al posto del seno: una cura metaforica). Il terapeuta presto si accorge che deve scontrarsi con i conflitti che perpetuano le situazioni di sconfitta e di carenza sperimentate dall’Io  infantile. Deve entrare nella dimensione del fantasma e deve diventare egli stesso attivo, affiancarsi ma talora sollecitare, anche incalzare, per far sentire al paziente che non è contagiato dalla sua paura-esitazione-difesa. Bisogna sollecitare talora il confronto con le figure portatrici dei fantasmi che sono alla base dei conflitti.

Il terapeuta deve saper cogliere, e in questo deve saper comprendere e interpretare il livello del soggetto, diventa “coautore dell’immagine”.

Diversamente dal sogno, in cui tutto è già compiuto quando il paziente lo narra, nell’ITP vi è un andamento dinamico: c’è un preannuncio dei segni che avvertono il terapeuta, ma non solo, il terapeuta partecipa alla costruzione del simbolo. Rigo ribadisce che il simbolo nel sogno ha un carattere autistico-narcisistico, prodotto nell’ambito della personalità del soggetto dall’interazione conscio-inconscio, mentre nell’Imagerie è interpersonale, prodotto dall’interazione a livello profondo tra inconscio del paziente e inconscio del terapeuta.

Il terapeuta aiuta a delineare uno scenario o un personaggio, richiama le sensazioni e gli elementi dinamici,  è coautore nel creare gli oggetti, consente e suggerisce le esperienze ristrutturanti attraverso la cenestesia. Con la sua presenza e con la sua forza fiduciosa  garantisce che il soggetto sia abbastanza forte.

Secondo Rigo (“Maya”, n. 5, pag. 35), nel simbolo prodotto nell’Imagerie Mentale è presente l’elemento positivo dato dalla presenza del terapeuta: “la presenza del terapista, agente a livello del nascere dei simboli, permette anche l’evoluzione del simbolo stesso nella direzione risolvente-ristrutturante, ed essendo il simbolo un mezzo efficace di trasformazione di energia psichica (psicourgia), si va nel senso del miglioramento del soggetto”. Rigo più avanti ribadisce: “il simbolo è prodotto e vissuto insieme, anche se il terapista non parla, dal paziente e dal terapista, mentre gli indizi e le emozioni del paziente avvertono il terapista sul significato dell’andamento dell’Imagerie, e quindi lo preparano in tempo per gli eventuali interventi necessari”.

 

Quale interpretazione

Quando parla degli interventi, Rigo dice  anche che questi sono ”su base interpretativa”. Esiste dunque l’interpretazione? Sì, esiste per il terapeuta, nel senso che il terapeuta dovrebbe capire qual è il livello dei bisogni, quali conflitti sono in gioco (a livello orale, anale, edipico, nell’universo freudiano-kleiniano …). Rigo non elimina i riferimenti simbolici, quando presenta i suoi casi: la galleria come regressione o il delfino quale animale connesso al ciclo delle rinascite (animale psicopompo), la caverna come utero materno, o lo scontro con immagini simboliche riferibili “alla madre cattiva”, come il lupo portatore dell’avidità orale o il ragno che intrappola, la piovra che ingloba, o la palude assorbente, secondo un vocabolario kleiniano. Precisa però che “tutte queste ipotesi interpretativa hanno poca importanza”, “ne può tener conto lo psicoterapista come indicazione”. Nella pratica, “nessuna interpretazione è data”, il paziente “deve solo sperimentare quell’insieme di sensazioni tattili, visive, uditive, piacevoli”. “E’ questo lo scopo dell’esperienza, che si concludano con una cenestesia profondamente gratificante”.

Nel libro “Analisi del profondo”, Rigo spiega la particolare presenza e il particolare tipo di transfert nell’ITP: “Il transfert nell’ITP è l’espressione di una particolare situazione inconscia, e una sollecitazione che il paziente fa al terapista di assumere un particolare ruolo, ad esempio materno”. Aggiunge che l’imagerie “è una domanda che il paziente  fa  per colmare carenze, superare conflitti, ridurre l’ansia”. La risposta del terapeuta, che poggia sul controtransfert, consiste, come abbiamo visto, negli interventi. Tuttavia Rigo sottolinea che spesso, non meno importante è anche la semplice presenza partecipante che il terapeuta mette in atto (“Maya”, n. 5, pag. 59). Egli stesso ci tiene a precisare (“Maya”, n. 5, pag. 72-73): “E’ da osservare come l’l’imagerie è assolutamente spontanea, in quanto mi limito a far sentire la mia presenza e a far approfondire le sensazioni piacevoli”. Con il proseguire della terapia (“La Psicoterapia con l’ITP”, pag. 1875), si lascia sempre di più l’iniziativa; anzi la cura è finita quando il terapeuta convalida semplicemente.

Non sembri da poco l’intervento dello psicoterapeuta, nonostante questo ruolo apparentemente minimale; in realtà la messa in moto dell’autocura richiede una profonda partecipazione un dialogo inconscio che  è quello delle madri dotate di empatia che sanno come dice Rigo sintonizzarsi sui bisogni. Come una buona madre deve porre particolare attenzione alle variazioni del tono di voce ai segni di irrequietezza alle pause per accorgersi per tempo delle situazioni immaginarie impegnative o pericolose Rigo quando riferisce le imagerie dei casi trattati  esplicita spesso al lettore, il tipo di rapporto tra il paziente e il terapeuta, che spesso è proprio per indirizzo del paziente di tipo materno. Il  terapeuta deve intuire: quando il paziente ha bisogno di protezione, quando ha bisogno di indipendenza, quando ha bisogno di essere sollecitato e sostenuto spinto soprattutto quando ha paura di affrontare i suoi fantasmi e il terapeuta deve sostenere la sua paura e dolcemente sospingerlo.

Non vi è una presenza interpretativa intesa in senso “classico”, ma la possibilità di rispondere in modo adeguato e sul piano simbolico è la conseguenza migliore possibile di una interpretazione così intesa. Nell’ITP Rigo dice che “non è necessario capire del tutto il significato dei simboli per intervenire efficacemente”. La guida più sicura sono le emozioni del soggetto. L’importante – dice Rigo – è che il soggetto superi e domini l’immagine sovrastante e angosciante ed è importante che integri l’immagine gratificante. Sempre a proposito di interpretazione, Rigo dice (“Maya”, n. 5) che “l’interpretazione può essere sbagliata o prematura. Nessuna interpretazione è significativa se non si verifica un insight – intuizione profonda e trasformativa”. Inoltre – nota Rigo – nei casi di carenze precoci, la presa di coscienza può essere dannosa  e può provocare una specie di “rassegnazione”.

 

Interpretazione-comunicazione

Poiché secondo Rigo molti problemi derivano da “difetti di comunicazione”, si tratta in definitiva di stabilire una comunicazione appropriata, che avviene su due piani, quello infantile dei bisogni sul piano simbolico, e quella di livello più adulto (colloquio tra adulti), durante il colloquio verbale. Ebbene, il terapeuta deve sapersi muovere su entrambi, riconoscendo anzitutto il “livello dei bisogni” o meglio il livello in cui si muove il paziente, per saper fare non delle interpretazioni al paziente, ma una comprensione della situazione adeguata e pertanto sentita come “vera”.

Il soggetto non deve esser messo al corrente del significato dei simboli; quando ha superato la problematica generalmente capisce a livello protocoscienziale. E’ frequente che un paziente dica, una volta conquistato un livello di benessere e serenità, “Non so come ci sono arrivato, ma sento questo, si è prodotto come un click”. “Non è più come prima, non so cosa sia successo … ma è cosi”. Si può ben dire che nell’ITP i passaggi interessanti sono contrassegnati da una comprensione profonda e per niente razionale come l’insight.

L’interpretazione è un momento di presa di coscienza importante, a cui alcune persone sono particolarmente interessate, e doveroso per i futuri terapeuti, che hanno bisogno anche di questo livello di comprensione.

Rigo spiega come la comunicazione nell’ITP possa essere veramente profonda, empatica e talora telepatica. Questo appare di frequente: quando il paziente sente come adeguato l’intervento, o sente che il terapeuta lo anticipa o egli stesso anticipa l’intervento  prima che il terapeuta abbia parlato. Vi sono, a questo proposito, delle esperienze veramente interessanti e anche sorprendenti.

Poi nell’ITP si hanno spesso intuizioni profonde, come la percezione profonda dei centri interni del corpo sentiti come luminosi o di colore diverso, che hanno una collocazione: ventre, centro del petto, cuore e capo, che sono collegati tra di loro, centri che presentano delle analogie con i centri dello yoga. Altre intuizioni avvengono anche ad una dimensione più elevata, di tipo prettamente spirituale.

 

Conclusione

Vediamo quindi quanto siano diventate dense di significato queste parole: “presenza”, “dare una mano”, “buon compagno”, “accettazione”, “attenzione esperta”; quanto sia in effetti impegnativo questo ruolo del terapeuta, apparentemente silenzioso ed esile, che poco o per niente si manifesta con l’interpretazione, gioco di intelligenza e perspicacia.

Il terapeuta si mantiene così apparentemente discosto, di lato, così come si pone nella posizione “dietro, un po’ di lato” rispetto alla poltrona dove avviene la vicenda immaginativa del “vivente”, per usare ancora una volta questa parola così cara al nostro assente-presente Jean Burgos.

 

Bibliografia

Leopoldo Rigo – “Su alcuni fenomeni parapsicologici che si manifestano nel corso delle sedute di psicoterapia con tecniche di imagerie mentale” – Rivista sperimentale di Freniatria, 1972.

Leopoldo Rigo -  “L’Imagerie Mentale”, 1973.

Leopoldo Rigo – “Verso le radici dell’anima” – Edizioni Studium Christi, 1979.

Leopoldo Rigo – “Maya” – Quaderni ad uso interno del GITIM.

Thomas H. Ogden – “Riscoprire la psicoanalisi” – CIS editore, 2010.