Ivana Zanetti


Zanetti Ivana psicoteraputa ITP

 

Quando ci si avvicina  al tema del suicidio anche attraverso un Convegno, che si è avvalso di vari e diversi contributi nel campo della testimonianza e della competenza di figure professionali che hanno a che fare con il disagio psichico (psicologi, psicoterapeuti, medici, psichiatri, nonché sacerdoti) si è sempre mossi dalla speranza di poter comprendere sempre di più in questo fenomeno sconcertante. Fondamentale è  anche  la speranza di individuare sempre meglio  i fattori di rischio che possano aiutarci in una prevenzione difficile e certamente mai afferrabile e definibile del tutto.

In questa direzione va questo mio contributo. Mi riferisco ad un lavoro di Michelle Carr (ricercatrice allo  ‘Swansea University Sleep Laboratory’) pubblicato online sul blog di ‘Scientific American MIND’ in ottobre 2016, di cui allego il link:

https://blogs.scientificamerican.com/mind-guest-blog/can-treating-nightmares-prevent-suicides/ .

Ho trovato interessanti non solo gli studi, ma anche la proposta di intervento, ed è venuto spontaneo il confronto con le Tecniche immaginative che pratica il Gruppo GITIM, utilizzando la tecnica immaginativa ITP di  Leopoldo Rigo. Ne emergono interessanti somiglianze e divergenze .

Lo studio, ripreso in sintesi nel numero di gennaio 2017 della rivista ‘Scientific American MIND’:

https://www.scientificamerican.com/article/nightmares-may-signal-increased-risk-of-suicide/

tratta degli incubi notturni e del loro rapporto con i comportamenti suicidari, e riferisce varie e documentate ricerche effettuate sia in USA che in Europa.

Nello studio si afferma che nel 2016, oltre 40.000 decessi negli Stati Uniti sono stati dovuti a suicidio, e si osserva che il tasso di suicidi è aumentato di oltre il 20 per cento negli ultimi 10 anni. Per ogni suicidio, è da considerare inoltre che vi sono stati  ben altri 25 tentativi di suicidio.

Queste statistiche indicano una cosa: che gli interventi attuali non stanno funzionando e che c’è bisogno di nuovi metodi per impedire alle persone di perdere la propria vita. Ma da dove cominciare?

Michael R. Nadorff, direttore dello ‘Sleep, Suicide, and Aging Laboratory’ alla ‘Mississippi State University’, sostiene che c’è un fattore di rischio curabile, nascosto nel buio: sono gli incubi.

Come viene riferito nell’articolo,  la ricerca di Nadorff  effettuata negli ultimi cinque anni ha dimostrato che gli incubi sono associati ad un  alto rischio di suicidio. L’autore stesso sostiene che gli incubi si possono tuttavia trattare, e questo può essere un approccio innovativo per prevenire il suicidio.

In termini scientifici, il rischio di suicidio è misurato da tre elementi: i pensieri di suicidio, i comportamenti suicidari, e la probabilità con cui una persona crede che morirà per suicidio. In uno studio del 2011, pubblicato sulla rivista ‘Sleep’,  Nadorff ed i suoi colleghi hanno valutato il rischio di suicidio in 583 studenti universitari, e quindi hanno esaminato sintomi quali l’ansia, la depressione e gli incubi notturni, in relazione al rischio suicidario. Semplice dire cosa abbiano trovato: più severi erano gli indicatori e più alto era il rischio di suicidio. Tuttavia, quando si osservò più da vicino l’effetto degli incubi, si vide che il valore predittivo di questo elemento era più significativo di altri fattori. È proprio questo che stupisce, non solo che gli incubi sono connessi al suicidio, ma soprattutto che il loro valore predittivo sia più alto di altri fattori.

Nadorff ha ampliato queste scoperte nel 2013, in uno studio sul comportamento suicidario in cui ha mostrato l’importanza della durata di tempo effettiva in cui una persona sperimenta incubi notturni. In altre parole: più a lungo si hanno i brutti sogni, più alto è il rischio di suicidio.

Nel 2014, in un articolo pubblicato sul ‘Journal of Affective Disorders’, Nadorff ha continuato a osservare come gli incubi siano collegati ad un numero elevato di tentativi di suicidio. Anche in questo caso, ha voluto vedere come tutti i diversi fattori di rischio siano relazionati. Se qualcuno ha già tentato il suicidio, quali fattori permettono di distinguere chi si ferma a un tentativo e chi cercherà di nuovo il suicidio? La depressione e l’ansia non sono discriminanti, osserva Nadorff. Al contrario gli incubi aumentato il rischio di ritentare il suicidio, “di un fattore quattro”.

Altri ricercatori hanno trovato risultati simili in altri paesi. Il ‘National FINRISK Study’  ha effettuato  una serie di indagini sulla salute della popolazione adulta finlandese, riproponendole ogni cinque anni nel periodo 1972/2012, per un totale di 76,071 intervistati. I ricercatori dell’Università di Turku hanno analizzato dati provenienti da questo ampio studio, e hanno scoperto che la popolazione a rischio suicidario che ha frequenti incubi presenta un maggior rischio di morte per suicidio, “più del doppio”. Le informazioni sono  ottenute tramite il ‘Death Register’ nazionale finlandese.

Presso l’Università di Gothenburg in Svezia, uno studio longitudinale pubblicato in ‘Psychiatric Researc’ ha rilevato che, in un campione di individui che avevano tentato il suicidio, chi soffriva di incubi era a maggior rischio di ritentare il suicidio nel corso dei successivi due anni. Infine una meta-analisi di 14 studi pubblicati sul ‘Journal of Clinical Psychiatry’ ha concluso che coloro che soffrono di incubi hanno 2,61 volte più probabilità di mostrare comportamenti suicidari  rispetto agli individui che non hanno incubi.

 

È giusto chiederci: perché?

Perché? Perché avere incubi notturni è in relazione a un comportamento suicidario?

La risposta probabilmente è ancora da trovare. Nell’articolo si dice che la prima cosa da notare è il contesto situazionale in cui si ha un incubo. Il risveglio notturno  da un brutto sogno è un’esperienza fortemente dolorosa e travolgente. Il soggetto ha un risveglio improvviso  dal sonno a causa di immagini disturbanti e giace da solo al buio con il cuore in gola. Vari possono essere i contenuti degli incubi: forse ha sognato un contrasto con l’ex-moglie, la recente morte di una persona cara, o di perdere il lavoro … o di essere minacciato. Nella notte è solo, ed è intrappolato in questo stato ansioso, incapace di riaddormentarsi, e rimugina sui problemi emotivi che probabilmente preferirebbe evitare.

In uno studio pubblicato nel 2014, condotto presso la ‘University of Pennsylvania’, i ricercatori hanno trovato prove riguardo al fatto che è più probabile che il suicidio si verifichi di notte, in particolare tra mezzanotte e le 6 del mattino, con un forte picco tra le 2 e le 3. In un documento pubblicato su ‘Sleep Medicine Review’ nel 2016, gli stessi ricercatori ipotizzano che il solo fatto di essere svegli di notte aumenti il rischio di suicidio, e suggeriscono di incorporare nei programmi di prevenzione del suicidio un trattamento mirato per incubi ed insonnia.

Purtroppo, chi soffre di incubi difficilmente lo segnala agli addetti ai servizi sanitari, che a loro volta in genere non sondano i pazienti circa gli incubi notturni, come riportato da Nadorff e colleghi in un documento pubblicato nel 2015 sul ‘Journal of Clinical Sleep Medicine’.

Per fortuna, riporta l’articolo di Michelle Carr, ci sono trattamenti efficaci per gli incubi, e il più comune negli Stati Uniti è la ‘Imagery Rehearsal Therapy (IRT)’, che si concentra sulla modifica dell’incubo attraverso la visualizzazione. Il primo passo è quello di immaginare l’incubo e scriverlo, per poi riscrivere la storia con un finale più desiderabile. Questa versione “a lieto fine” dell’incubo viene poi visualizzata e provata per 10-20 minuti durante il giorno. L’IRT è ben tollerata dai pazienti, e riduce significativamente la frequenza e la gravità dell’incubo, a lungo termine. Nadorff dice che, trattando gli incubi, si ha un effetto benefico anche sulla depressione e sull’ansia.

Secondo gli autori questa tecnica è efficace nel trattamento degli incubi anche con poche sessioni di terapia, anche se ritengono necessari ulteriori studi longitudinali per valutare il grado di efficacia nell’ambito del trattamento del rischio suicidario.

Leggendo questo articolo, viene spontanea l’associazione con le Terapie Immaginative e in particolare con  la Terapia ITP di Leopoldo Rigo, praticata dal GITIM. Vorremmo sottolineare le analogie, ma anche le differenze, secondo noi significative.

È frequente e significativo nell’ITP l’utilizzo, nel corso del trattamento, del sogno  e soprattutto del sogno angoscioso, dell’incubo o del sogno “non concluso”. Nell’ITP, la seduta immaginativa avviene in un contesto ben definito, all’interno di un setting, di una relazione terapeutica, di un tranfert accettante e materno e ben consolidato, elemento questo estremamente significativo. La seduta immaginativa avviene inoltre  in uno stato di rilassamento ottenuto con una tecnica specifica, che porta il soggetto in uno stato particolare di abbassamento della vigilanza e di maggior “apertura” all’inconscio che si manifesta anche e particolarmente nell’Incubo notturno. In questo “stato”, meno difeso e più aperto, viene proposto al soggetto di riprendere il sogno angoscioso  precedentemente narrato al terapeuta. L’inconscio quindi e l’incubo viene avvicinato meglio e in un modo più partecipato, rispetto a quello che può avvenire in un “racconto”, che usa solo il tramite verbale.

Nella Tecnica ITP, infatti, il sogno viene precedentemente “narrato” verbalmente ad un terapeuta accogliente e rassicurante, e viene “sgonfiato“; già il racconto ha così un effetto catartico. Rigo sottolinea molto l’effetto catartico del racconto, soprattutto se viene spesso anche ripetuto. Naturalmente il sogno non viene “interpretato”, eventualmente solo “ventilato” nel senso che il soggetto parla attorno ad esso ed esprime le sue emozioni.

Il sogno viene successivamente proposto nella seduta immaginativa, che avviene nelle condizioni su esposte brevemente (tranfert e rilassamento). L’incubo o il sogno viene rivissuto; la presenza del terapeuta e i suoi interventi sostengono tuttavia il paziente quando prova emozioni negative molto forti e disturbanti. Il terapeuta fornisce suggerimenti, strumenti trasformativi dei vissuti spiacevoli, e aiuta il paziente a mettere in moto difese e “soluzioni”, naturalmente utilizzando le immagini, che si calano in modo appropriato al contesto dell’incubo e soprattutto sono in sintonia con il paziente. Il tal modo il paziente, opportunamente sostenuto, vive attraverso le immagini simboliche esperienze alternative ai vissuti spiacevoli che si condensano in immagini distruttive o autodistruttive. Il terapeuta aiuta anche in questo caso a trovare un “lieto fine” al sogno o all’incubo, ma non si tratta e non si deve trattare di una operazione solamente cognitiva/intellettuale, bensì soprattutto di una messa in moto di stati d’animo ed emozioni, vissute con tutta la sensorialità del soggetto che portano spesso a esperienze fortemente partecipate di  sollievo e rassicurazione. Il livello psicocorporeo in cui avviene la “trasformazione“ del sogno, ci garantisce della profonda partecipazione del soggetto, e quindi della trasformazione del suo mondo simbolico, che è alla base dell’incubo. Incubo che è, come abbiamo visto, un elemento significativo nel malessere vissuto dalla persona che attenta alla sua vita.

Ci auguriamo che questi studi e ricerche possano incoraggiare la ricerca anche in  Italia e possano essere tenuti in conto da chi si occupa della salute mentale, innanzitutto indagando in una “visita”, o in una “anamnesi”, o in un “incontro”, anche la presenza di incubi notturni nei pazienti sofferenti a vario titolo, e in particolare nei pazienti a rischio suicidario. Ci pare soprattutto che non sia da sottovalutare il peso predittivo elevato dell’incubo notturno.

Soprattutto, è da tener presente la possibilità di affrontare con una tecnica adeguata, come può essere la Tecnica Immaginativa ITP, l’incubo stesso, e di conseguenza ciò che nell’inconscio lo genera e ciò che l’incubo fa affiorare.