L’Immaginario della Salute

image_pdfimage_print
Immaginario: studi e ricercheJean Burgos

L’Immaginario della salute

 

Il concetto di salute, è banale dirlo, difficilmente si separa da quello che gli si oppone fino ad annullarlo cioè quello di malattia. Tanto è vero che si potrebbe molto legittimamente domandarsi subito se non si tratti, cosa sorprendente, di una specie di concetto negativo : stato fisiologico e psichico di ciò che non è affetto da alcun disequilibrio o disarmonia, da tutto ciò che si è  convenuto mettere sotto il termine generico di malattia.  Quanto questa, (la malattia) in qualunque veste, appare pienamente positiva , anche quando non si può veramente definirla,  nominarla e nemmeno collocarla in modo preciso – fino ad arrivare a cercare oggi il senso che potrebbe avere[1] – , tanto la salute si lascia difficilmente separare da tutto quello che  non è  e che sembra darle, a prima vista, una positività  in qualche modo vuota. Che la salute sia solo ciò che resta e che si prova, dopo che si è cancellato, risolto, dimenticato tutto quello che la ostacola o che la nega?

 

La scarsa realtà concettuale della salute si manifesta abbastanza bene nel linguaggio comune quando si ha bisogno, per evocarla e dotarla di qualche consistenza, di accompagnrla con qualificativi capaci di fornirle un certo spessore – essere in buona salute, in piena salute, avere una salute florida,  o bisogno  di accordarle anche una certa concretezza – avere una salute di ferro. Mentre al contrario, essere malato o avere una malattia è sufficiente, prima di ogni altra precisazione.  Tutto ciò non lascia forse intendere, prima di qualsiasi analisi, che la salute è spontaneamente percepita  come una specie di grado zero, di normalità legata allo stato di un essere o al buon funzionamento di un organismo – identità sterile che si è potuta a volte opporre, non senza qualche perfidia, all’attività positiva della malattia ?

 

Rafforzando questa « normalità » primaria, potrebbe darsi effettivamente che la salute non sia  semplice attributo dell’essere umano, un attributo tra gli altri che all’occasione venga a particolareggiarlo in un certo modo; come se, alla stessa maniera  in cui si dice di un uomo che e grande, o tarchiato, o longilineo o brachicefalo…, si potesse dire che è in buona salute. Non è  così. Infatti lungi dall’essere una qualificazione tra le altre, e questo è importante, la salute sembrerebbe proprio appartenere non agli attributi ma alla sostanza stessa dell’essere vivente, per parlare come Spinoza, se non addirittura alla sua essenza di essere umano. Forse pure non è nient’altro, almeno in un primo tempo, che il semplice funzionamento adeguato di ciò che permette, ad ogni livello ed in ogni circostanza, il mantenimento e lo sviluppo nella vita di ogni essere.

 

Senza dubbio, e non potrei dimenticarlo, questo « funzionamento corretto » ricopre  numerose modalità diverse e tutta una gerarchia di messe in opera diverse, ci sono tanti tipi di salute quanti individui, se posso dire. Ma non basta : anche se ci sono degli esseri la cui salute è naturalmente straordinaria ed altri la cui salute è fragile, se ci sono delle saluti a tutta prova e delle altre di cui avere riguardo, in ogni caso la salute è misura comune dell’uomo, quale che sia. Questa misura, che si è potuta definire come una certa capacità  di superare delle crisi organiche per instaurare un nuovo ordine fisiologico o psichico, è una garanzia elementare ma indiscutibile dello statuto del vivente che si conosce e si vuole vivente. Ed è  per questo, in quanto segno della buona inscrizione dell’uomo nel suo divenire di vivente, in quanto segno della sua piena inscrizione in una temporalità che si confonde con il suo proprio destino, è per questo che la salute smette di essere solo lo stato di non affezione  a causa di qualche disequilibrio o qualche disarmonia – fatto che sembrava caratterizzarla all’inizio, in modo del tutto negativo -, per diventare un valore : ciò che merita di essere protetto, salvaguardato, difeso ad ogni costo, e quindi che deve essere.

 

Significa dire già che la questione della salute, che continua a porsi per gli individui come per le società nel corso di tutta la storia, e sempre con la stessa scottante attualità – basta guardare intorno a noi quello che succede ancora ai nostri giorni -, supera di molto coloro che  ne fanno una professione. Ancora meglio, sembra anche sbagliato considerarla subito, fuori da ogni urgenza, solo dalla prospettiva della malattia – prospettiva secondo cui , in modo del tutto naturale, si usa avvicinarla, facendo fronte all’ urgenza. Infatti in questo caso, evidentemente, ci si sforza più velocemente possibile ed al massimo per trovare le vie per arrivare progressivamente ad un’attenuazione, ad un indebolimento ed ad una scomparsa della malattia il che si chiamerà salute. Ecco che sta bene, ma senza dubbio bisognerebbe allora non parlare di salute ma di non-malattia, infatti ritroviamo qui il grado zero del funzionamento normale – intendo adeguato e senza anomalie – di un organismo capace di assolvere di nuovo e bene alle funzioni vitali che si attendono da lui.

 

 Farne una componente naturale dell’ordine armonioso delle cose – un ordine che avrebbe presieduto alla bellezza del mondo delle origini ed all’origine di ogni vita, non significa affatto avanzare nell’analisi positiva della salute, o piuttosto significa scansare la difficoltà, così come si vede in numerose mitologie di cui resta più di una traccia nel più profondo di noi, Tutt’al più si considererà di passaggio che , in molteplici società arcaiche , come si vede specialmente in alcune etnie indiane dell’ America del Nord, la bellezza del mondo originale si chiama anche salute – è la stessa parola che le designa. E’ questa bellezza che presto la malattia verrà a disturbare, malattia intesa come rottura dell’armonia primaria. I rimedi allora punteranno a trasferire in un modo o in un altro la bellezza del mondo sul corpo del malato – per esempio sono famose le pitture di sabbia colorata degli Indiani Navajo, pitture di una complessità rara e che dovrebbero riportare la bellezza che questo corpo ha perso e così anche il suo equilibrio[2]. Bella metafora, in verità, ma che descrive solo, senza dirci niente di più su come si nutrano questo equilibrio e questa bellezza che stanno al centro della concezione della salute aborigena. Non si mancherà di sottolineare tuttavia, per non lasciare l’ambito etnologico, che per alcune etnie, essere in buona salute non significa solo avere un corpo sano ma significa insieme essere vivo, avere un buon fiato e poter comunicare. Si tratta specialmente di aborigeni del deserto centrale dell’Australia per i quali la salute non è semplice manifestazione della forza vitale ma anche espressione dell’essere profondo e capacità di entrare in relazione con con il mondo esterno[3]. E’ allora proprio l’armonia derivante da un equilibrio che supera di molto l’uomo solo che la salute mette in gioco e varrà la pena ricordarsene. Sembrerebbe tuttavia che la salute possa essere ancora di più di tutto ciò  e che , in quanto segno della piena appartenenza del vivente ad una vita che si conosce e si vuole mantenere viva, merita di essere considerata nelle potenzialità ed i valori che essa veicola – questo, anche prima che sia perturbata o messa in pericolo da ciò che la minaccia e che la ostacola : la malattia sotto tutte le sue forme ed in tutte le sue conseguenze.

 

Non si potrebbe perciò considerare queste potenzialità della salute, cioè i poteri virtuali che le sono propri, sempre suscettibili di attuarsi, non si potrebbero considerare i valori che la salute cosi intesa veicola, attraverso ciò che chiameremo, a costo di sorprendere qualcuno, le vie dell’Immaginario ? Capiamoci bene. Non si tratta qui di cedere a certa moda che vorrebbe, in ogni occasione e con ogni pretesto, rendere conto della realtà e dei suoi fenomeni attraverso la sua sola faccia nascosta sfidando il reale apparente , solo attraverso le deliziose derive di una immaginazione da evasione. No, l’Immaginario non è rifiuto, non è fuga dalla realtà, e non si potrebbe confonderlo con l’immaginazione, questa facoltà di deformare le immagini fornite dalla percezione, secondo la bella definizione fornita da Gaston Bachelard[4]. Infatti se la salute può  effettivamente spesso dare impulso all’immaginazione –  e per primo  in chi è malato, ognuno lo sa bene -  , in nessun modo l’immaginazione potrebbe aiutarci a cogliere la salute nei suoi più saldi fondamenti, e meno ancora nelle sue particolarità. Tutto al contrario dell’immaginazione,  facoltà di sfuggire alla realtà primaria, l’Immaginario è una funzione : funzione di ritorno alla realtà più vera, spesso la più insospettata e tuttavia vitale come può esserlo il respiro. E’ proprio un’altra forma di respiro, a ben guardare, poichè, proprio come questo, l’Immaginario implica un doppio movimento d’assorbimento e di espulsione in qualche modo.

 

In ogni istante, infatti, e senza che ce ne preoccupiamo, inspiriamo in qualche modo, assorbiamo tutto quello che dall’esterno, sotto mille forme diverse, viene a pesare su di noi ed a forzare la nostra porta: le sensazioni più immediate, senza dubbio, ma anche tutto quello che ci giunge dal nostro  più stretto entourage, il contesto  in cui siamo immersi ma anche il tempo che fa fuori, in modo più allargato  il nostro ambiente materiale, geografico, economico, sociale, le informazioni di ogni livello di cui subiamo bene o male le pressioni costanti, le ideologie di ogni tipo a cui non riusciamo a sfuggire, quanto alle variazioni climatiche ed ai martellamenti pubblicitari o che altro? Illusione fertile nel suo caso, ma sempre illusione quella di un Baudelaire, il poeta, che vuole essere  al riparo da tutto quello che definisce « miasmi morbosi »  e che decide per questo di « [serrare]  porte e finestre, fabbricherò nella notte i miei  palazzi stregati »[5] . Infatti non solo non potremmo  in nessun modo difenderci da tutto ciò che pesa su di noi così in modo costante, ma siamo anche chiamati ad assorbirlo nostro malgrado : alimenti riproposti, qualunque ne siano i veleni, che ci sono imposti e che partecipano così in qualche modo al divenire del vivente e proprio per questo, lo vedremo, alla sua salute.

 

Ma in ogni istante, ed in modo altrettanto poco cosciente ma continuo, noi cediamo anche alle pulsioni profonde che ci abitano, elementi attivi del nostro essere, ed improntiamo in un certo modo il mondo esterno a quello che siamo ed a quello che ci costituisce : le nostre prime percezioni, le prese di possesso delle sensazioni elementari che ci hanno sollecitato, ma anche le continue manifestazioni somatiche e psichiche della nostra identità – della nostra singolarità-, firmate dal nostro codice genetico, dal nostro gruppo sanguigno e da tutta la nostra storia, eredità compresa, impressa in noi, da tutto ciò che nel corso del tempo abbiamo accumulato, ciò che ci ha colpito come ciò abbiamo dimenticato o che avremmo voluto fare. E tutto ciò fa si che ad ogni istante accomodiamo il nostro ambiente materiale e sociale al nostro essere, colorandolo e scolorandolo ( sono qui i nostri umori) secondo quello che siamo o piuttosto quello che ad ogni istante diventiamo.

 

Così,  nello stesso modo in cui ispirazione ed espirazione sono due componenti indissociabili della respirazione, questa funzione vitale che assicura in modo costante il rinnovamento dell’aria dei polmoni e senza la quale  non ci sarebbe più possibilità di soppravvivere, anche pressioni del contesto e pulsioni interiori sono forze complementari che partecipano in modo costante – fuori  da ogni patologia – al rinnovamento del nostro essere al mondo, alla sua piena inscrizione nella vita e nell’ordine del vivente. E’ da questo gioco incessante e fondamentale che evolve quello che si è convenuto chiamare l’Immaginario. Perchè, mi chiederete, questo nome che potrebbe far credere a qualche realtà artificiale da cui sarebbe meglio diffidare? Molto semplicemente perchè le due forze presenti, pressioni e pulsioni, non si sommano l’una all’altra come si potrebbe credere, ma affrontandosi, come in fisica elementare, danno vita ad una forza nuova, una forza però che è solo potenza virtuale – immagine di una realtà che non ha ancora preso corpo, non ancora preso vita, ma che non domanda che di realizzarsi, ricca di ogni possibilità.  Così inteso, l’Immaginario, incrocio di scambi sempre in via di  rinnovarsi, ci ricorda, se stiamo attenti, che siamo inscritti in un divenire il cui cambiamento è la regola. Attraverso il suo duplice  radicamento, e  ricordandoci che l’uomo è inseparabile dal contesto che gli è proprio, l’Immaginario appare allora come una funzione dotata di singolari poteri che sarebbe bene riconoscergli. Da una parte, senza dubbio, dona a ciascuno, senza che ce ne preoccupiamo, informazioni su quanto sta per avvenire e che spetta a noi usare o meno. Questo si chiama creatività o capacità di creare, che è capacità di dare senso e dare vita a ciò che, nel momento, ha solo un’esistenza potenziale ma potrebbe diventare realtà nuova ; e creare, senza dubbio si tende a dimenticarlo, è anche crearsi. Ma d’altra parte, e questo ci interessa qui in primo luogo, l’Immaginario assicura una funzione equilibrante tra l’essere ed il suo ambiente, e da ciò una funzione armonizzante su cui ci ci sarà modo di soffermarci.

Cosa capita ad alterare questi scambi, se per qualche ragione d’ordine individuale e d’ordine sociale non possa più operare od operare malamente questo rinnovamento a doppio senso, questa rigenerazione continua che è nello stesso tempo messa in fase somatica e fisica da cui dipende la buona sopravvivenza dell’essere umano? Ed è proprio la questione della salute che, per difetto – qualcuno direbbe disarmonia -  si ripropone a noi.

 

Forse ad alcuni sembrerà superficiale, se non sconveniente, vedere abbordato per le vie dell’Immaginario un problema così scottante, così urgente come quello della salute. Queste vie non sono invece, e stranamente, molto lontane da quelle intraprese da uno dei padri fondatori della medicina occidentale, cioè Ippocrate. Non è lui che scriveva, da uno dei rari testi che gli attribuiscono ed in cui espone la sua famosa teoria degli umori – questi elementi costitutivi del corpo non assimilabili gli uni agli altri :

 

 « C’è perfetta salute quando questi umori sono in una giusta proporzione tra loro, sia dal punto di vista della qualità che della quantità, e quando il loro insieme è perfetto»[6].

 

Non è importante per noi la scelta che Ippocrate faceva di questi quattro umori fondamentali (il sangue, il flemma o pituita, la bile gialla e la bile nera o atrabile) che oggi possono far sorridere ; ma è  molto importante ai nostri occhi, il fatto che nel suo trattato, de La natura dell’uomo, egli faccia riporre la salute sia su un equilibrio (la giusta proprorzione degli umori tra loro), sia su una armonia (l’insieme perfetto che ne risulta). Infatti è proprio questo equilibrio e questa armonia che anche l’Immaginario tenta ad ogni istante attraverso il gioco a doppio senso dell’essere e del mondo. Per Ippocrate in effetti è attraverso gli umori, che sono elementi costitutivi del suo corpo, che l’uomo è legato ai movimenti del mondo; e se questi umori, in un certo modo, fondono il vivente umano, lo inscrivono pure nel mondo da cui non si potrebbe separarli. E non solo Ippocrate ritorna continuamente sull’influenza dell’ambiente sul mantenimento in vita del vivente, ma arriva ad affermare che gli uomini assomigliano ai paesi che abitano.

 

C’è qui tutta una filosofia della medicina che non può lasciarci indifferenti nel suo  modo  stesso di mettere l’accento, in ogni occasione , sul fatto che non si potrebbe senza dubbio separare il vivente dal proprio contesto , ma anche che è dalla loro interazione che dipende la salute dell’uomo. Una tale visione, tanto rudimentale e riduttiva, non ha perso oggi d’attualità, a parte  forse che si scopre ogni giorno di più che l’aggiustamento continuo dell’uomo al suo ambiente, tendente ad un equilibrio tanto somatico che psichico, non è un lungo fiume tranquillo che deriva da meccanismi regolatori a cui  basta affidarsi ciecamente. Già Bichat, il grande fisiologo all’origine di una dottrina delle proprietà vitali, faceva notare nel 1800, nelle sue  Recherches physiologiques sur la vie et sur la mort,  l’irregolarità dei fenomeni vitali che  opponeva all’uniformità dei fenomeni fisici; ma più vicino a noi, Georges Canguilhem, dedicandosi ai rapporti tra il normale ed il patologico, va molto più lontano affermando che « la vita non è per il vivente una deduzione monotona, un movimento rettilineo [] essa è contrasto o chiarimento [] con un ambiente in cui ci sono delle fughe, dei buchi, degli scarti e delle resistenze impreviste »[7]. Ne deriva che la  legge generale del vivente da cui procede la salute non è, come si potrebbe credere volentieri,  di mantenere il proprio stato nell’ambiente che gli appartiene, nel corso di continui cambiamenti, ma proprio di realizzare la sua natura di vivente senza fine cambiando nell’ambiente che gli tocca accomodare. E’ questo che fa dire a questo stesso medico e filosofo, in un’altra delle sue opere :

 

 

« La caratteristica del vivente, è di fare il proprio ambiente, di comporsi il proprio ambiente. Certamente, da un punto di vista materialista, si può parlare d’interazione tra il vivente e l’ambiente, tra il sistema fisico-chimico separato in tutto più vasto ed il suo contesto. Ma non basta parlare di interazione per annullare la differenza che esiste tra una relazione di tipo fisico ed una relazione di tipo biologico.

 

              

 

    Dal punto di vista biologico, bisogna comprendere che tra un organismo ed il contesto c’è lo stesso rapporto che tra le parti ed il tutto all’interno dell’organismo stesso. L’individualità del vivente  finisce le proprie frontiere ectodermiche, tanto quanto inizia la cellula. Il rapporto biologico tra l’essere ed il suo ambiente è un rapporto funzionale e di conseguenza mobile, i cui termini scambiano i loro ruoli in successione. »[8]

 

Non  significa già  affermare che la salute non è uno stato neutro –  uno « stato completo di benessere fisico e morale » definito dall’Organismo Mondiale della Salute (OMS), che sarebbe al riparo delle intemperie sia somatiche che fisiche provenienti da ogni orizzonte -, ma è uno stato che continuamente si conquista e deve essere riconquistato, una norma da reinventare continuamente? Senza dubbio è  necessario  di nuovo  che un certo numero di condizioni esterne siano complete per rendere possibile questa conquista.

Ma ancora prima che  queste condizioni – di ordine materiale, sociale, economico, politico –  siano messe in opera o concluse, appare già che la salute implica molto di più della sola constatazione di uno stato di fatto: molto di più della semplice sottommissione ad un ambiente che impone i propri capricci, molto di più del semplice adattamento di un organismo a queste circostanze a cui non sarebbe in grado di sfuggire. E’ quanto fa dire a  Georges Canguilhem, valutando il normale ed il patologico:

 

« L’uomo  non si sente in buona salute  – fatto che corrisponde alla salute – solo quando si sente più che normale – cioè adattato all’ambiente ed alle sue esigenze –  ma normativo, capace di seguire nuove regole di vita. »[9]

 

Cosa significa questo se non che l’uomo, in quanto vivente che si vuole tale, non si limita al suo solo organismo – fisico e psichico – e che, se è importante che il suo organismo non sia solo conservato così com’è ma anche pronto a quello che avviene continuamente (ecco di nuovo l’Immaginario ), è importante anche che sia in grado di instaurare delle nuove regole vitali e di gerarchizzarle.

 

Ecco la salute, in ogni territorio che ricopre e secondo ogni accezione, che sembrava all’inizio il campo riservato dell’organismo e del semplice mantenimento  di un corpo e di uno spirito in buono stato di funzionamento, ecco dunque che la salute ci fa incontrare un campo che non ci aspettavamo qui e che è quello dei valori. Ci si stupirà di questo all’inizio, ma basterà ricordare che nei Romani, il verbo che significava « stare bene » – valere – ci ha dato anche la parola «  valore ». Significa – ed eccoci ben lontani dal concetto negativo di salute così come lo avevamo appreso all’inizio – che la salute richiama subito dei valori che non si supponevano; valori che vincolano l’uomo, senza dubbio il più delle volte non ne è consapevole, a superare la sua sola misura di essere ed a promuovere il suo statuto di uomo che si conosce e si vuole vivente : a realizzarsi, in un modo o in un altro, nel suo divenire. E non ritroviamo qui giustamente quello che proponeva l’Immaginario, così come lo abbiamo definito, questa forza sempre nuova che ci spinge più avanti di quello che siamo e ci propone ad ogni istante un supplemento d’essere che bisognerebbe saper cogliere e farne il miglior uso ? La salute in effetti potrebbe proprio implicare un volere ed un valore di più, legati non solamente ai valori della vita in quanto tale, di tutto ciò che la condiziona come di tutto ciò che essa permette, ma sarebbero anche e soprattutto legati a questo supplemento di essere che essa promette. Allora, andando più lontano, solo un po’ più lontano, non si potrebbe dire che è in buona salute certamente chi prova un certo equilibrio psicosomatico nel suo procedere nella vita, ma più ancora chi oscuramente si sente portatore di valori legati alla vita che scopre o  anche instaura ? 

Va da sè che l’etica della salute che già si intravede meriterebbe un’analisi più lunga, dato che non può riguardare solo l’individuo o il gruppo sociale che tenta di conservarsi in piena salute e di questa salute fare promozione della vita stessa. Con ogni evidenza, si sarà giù capito, essa riguarda altrettanto  e spesso innanzitutto coloro che hanno il compito o si fanno missione di preservare questa salute da ogni danno , o di salvaguardarla, o di ristabilirla – tutti coloro, tra gli altri, che si fanno un obbligo di applicare la risoluzione dell’Organismo Mondiale della Sanità secondo cui  é importante soprattutto: « condurre ogni popolo al più alto livello  di salute possibile ». Risoluzione lodevole ma piuttosto vaga, dopotutto, che sembra interessarsi più delle battaglie da intraprendere contro le epidemie ed i mali endemici – battaglie urgenti, è vero – piuttosto che al potenziale degli individui solitari lasciati per calcolo. E’vero che la stessa OMS aveva anche proclamato : « il diritto di ogni persona  di godere del migliore stato ci salute fisica e mentale che sia in grado di raggiungere » – cosa che lascia ben intendere che la salute nella sua accezione più positiva, non è un privilegio venuto dall’esterno riservato ad alcuni, ma  è parte pregnante dell’uomo stesso, della sua stessa essenza da cui non la si potrebbe separare. Da cui  gli obblighi di ogni tipo che la salute impone sia all’individuo a faccia faccia con se stesso, come alle società nei confronti dei loro componenti, perchè venga protetta, difesa ma anche sviluppata per il fatto stesso di rappresentare un valore.

 

In ogni caso, restiamo qui pienamente nel campo del qualitativo, tanto il senso stesso che prende la salute, in una simile prospettiva, abbandona ben presto l’universo del misurabile, del quantitativo, per diventare giudizio di valore in rapporto con i bisogni dell’essere umano: bisogni biologici, psicologici ma anche spirituali. Ora, questi bisogni che ciascuno mette alla prova in un modo o in un altro nel quotidiano, potrebbe essere che l’Immaginario, se ci si mette al suo ascolto, sia in grado di farli sperimentare  ed in un modo del tutto privilegiato. In effetti, non dimentichiamo, nella misura in cui propone ad ogni istante, a chi vuole prestarvi attenzione, una visione o manifestazione nuova del suo essere al mondo, un possibile che potrebbe diventare reale all’incrocio delle forze che vi si scambiano, l’Immaginario offre altrettante possibilità di sperimentare virtualmente delle risposte possibili ai suoi bisogni e così di far incontrare dei valori capaci di realizzarsi.

 

Mi direte che in questo modo si fa molto onore all’Immaginario, questa funzione che si continua di solito ad ignorare, attribuendogli un ruolo di primaria importanza che si oserebbe a  fatica accordare a delle funzioni vitali pienamente accreditate. Tuttavia sarebbe difficile rifiutargli questo  ruolo di primo piano –  pur cercando di farlo assumere da altre funzioni, sia somatiche che psicologiche, nell’equilibrio psicosomatico su cui si fonda per buona parte la salute. E’ la disfunzione stessa di questo Immaginario, d’altronde, che ci mostra al meglio il ruolo che gli spetta in questo equilibrio che si sa essere così spesso minacciato. In effetti, sia che qualche ostacolo, qualche barriera si alzi tra l’uomo ed il suo ambiente, o che per qualche ragione qualunque, non importa l’origine, le pressioni del contesto non arrivino più ad oltrepassare le mura della fortezza in cui il soggetto è rinchiuso – non arrivino più ad informarlo e quindi a riformarlo continuamente ; sia che, al contrario, le pulsioni multiple che fanno di lui un essere vivente, cioè un essere in costante cambiamento, cozzino contro il muro che lo stringe e non arrivino in nessun modo a rinnovare secondo la sua immagine il suo contesto ormai fisso : ci troveremmo così in piena patologia. Una patologia in cui sarà molto difficile, se non impossibile, distinguere la parte del corpo e la parte della psiche, intimamente mescolate. Anche senza arrivare a questi estremi tanto spesso descritti e non solo dagli psichiatri, qualora gli scambi a doppio senso tra l’uomo ed il suo ambiente, per mille cause diverse, avvengano malamente o in modo non troppo regolare bisognerà parlare di malattia. Senza dubbio non di ogni malattia, lasciamo qui materia di discussione su cui non si mancherà di ritornare ; ma almeno  si potrà affermare che l’Immaginario occupa sicuramente un ruolo d’eccellenza nell’equilibrio psicosomatico che è al cuore della salute.

 

E’ il caso quindi ormai – e senza pretendere in nessun modo di ricondurre ad esso ogni riflessione sulla salute, sulle sue implicazioni come sulle sue terapie – è il caso di riflettere almeno sul senso della salute che l’Immaginario propone. Infatti l’Immaginario, lo si conosce ormai dopo averlo presentito in modo confuso ma imperativo, l’Immaginario propone, se non impone, un senso. Un senso che non è un significato secondo l’accezione linguistica del termine – quello che rappresenta un segno, un gesto, un fatto, quello che esso contiene, quello che esso denota, ciò a cui rinvia ; ma un senso che è una direzione obbligata, una direzione imposta a cui non ci si può sottrarre. Quello verso cui tutto si dirige necessariamente,  verso cui tutto ci spinge senza che scorgiamo qualche possibile arresto (non è per questo per ogni vero creatore, un’opera non è mai conclusa, ma al massimo interrotta a questo o quel momento della sua creazione ?) ; ma anche quello che vale la pena di continuare, di condurre ancora più lontano, di non fermare, di non abdicare.  Si vede già : l’Immaginario della salute, passando dal fatto al valore, valorizzando all’estremo le potenzialità di ciascuno e mettendole così in gerarchia, sembrerebbe indicare  o imporre un senso ed il senso più pieno perchè incapace di esaurirsi – un senso della vita  che supera la vita stessa.



[1]           Cf. Thierry Janssen, La Maladie a-t-elle un sens?

                                      (Paris, Fayard, 2008).

[2]           Ibid., pp. 50, 51

[3]           Ibid., pp. 52

[4]           Gaston Bachelard, L’Air et lea songes

                                   (Paris, Corti, 1944) p. 7

[5]           Charles Baudelaire, « Paysage » in Les Fleurs du mal. Trad. A. B. Garzanti 1975

[6]           Ippocrate, De la nature de l’homme, in Œuvres complètes

                                                              (Paris, Baillière, 1839-1861)

[7]           Georges Canguilhem, Essai sur quelques problèmes concernant le normal et le pathologique

                                               (Paris, Les Belles lettres, 1959) p.122

[8]           Georges Canguilhem, la Connaissance de la vie

                                      (Paris, Hachette, 1952)pp.179-180

[9]             Essai sur quelques problèmes concernant le normal et le pathologique.

                                   (Paris, Les Belles lettres, 1959) p. 123