L’Immagine del corpo

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Psicoterapia con l’ITPSerenella Rigo Uberto

L’Immagine del Corpo

 

Vorrei parlare dell’immaginario, strettamente legato all’immagine del corpo, dell’immagine vista” dal di dentro”, dalla sua genesi al suo sviluppo, cioè in senso evolutivo.

L’immagine del corpo può sembrare un termine contraddittorio perché unisce un sostantivo astratto o esterno, legato, nella dizione comune, a ciò che si vede con gli occhi, o a ciò che si fantastica, a un altro caratterizzato dalla concretezza e dalla fisicità.

Già però Paul Schilder, negli anni ‘30, e Françoise Dolto, negli anni ‘60, avevano dato una lettura dell’immagine corporea simile a quella che io vi vorrei illustrare. È soprattutto Leopoldo Rigo, e specificatamente nel lavoro del ’72 “Su alcuni procedimenti verbali e non verbali atti a ristrutturare lo schema del corpo”, che introduce un’attuale concezione di “Immagine del Corpo”.

L’immagine del corpo, quale ciascun individuo viene a rappresentarsi dal momento del suo concepimento fino alla morte, si attiva, si sperimenta, e quindi si rappresenta, intorno a due grandi poli: il movimento e il sensorio.

La lettura di tale immagine è possibile sia in senso evolutivo, sia in senso puntuale, anche perché i soggetti di cui noi ci occupiamo solitamente hanno una rappresentazione spaziale precisa intorno ai loro bisogni, ma accompagnata da una percezione del tempo puntuale e anacronistica. La lotta spazio-tempo è su un versante in cui lo spazio invade il tempo e ne annulla la cronologia.

Il bisogno “assoluto”, inderogabile, connesso alla pressione che viene dall’interno, invade lo svolgimento del tempo, lo fagocita e lo rende esclusivamente puntuale, talvolta lo assolutizza.

Dalla nostra pratica, per quanto mi riguarda trentennale, di terapeuta con tecniche di Imagerie Mentale, ho potuto osservare, e tale osservazione è stata confortata anche da studi ostetrici di medici attenti a tale tipo di ricerca, come il primo vissuto dell’individuo ancora in utero sia il movimento, seguito poi via via dalla varia attivazione del sensorio articolato intorno ai cinque sensi: tatto, udito, gusto, olfatto e, da ultimo, la vista.

 

In un contesto diverso i filosofi antichi, come ad esempio Aristotele nel libro II del “De Anima” e gli Scolastici medievali, danno una specie di graduatoria degli organi di senso, dividendoli, in conformità al loro grado di corporeità o spiritualità, a seconda del mutamento maggiore o minore dell’organo sensorio (= il soggetto) da parte dell’oggetto. In tale scala essi definiscono la vista come il senso più completo o, come affermano gli Scolastici latini, più spirituale, perché nel rapporto di interazione tra oggetto e soggetto, quest’ultimo subisce un minore mutamento.

Questa scala degli organi corporei sarà patrimonio comune dei filosofi greci, arabi, latini ed ebrei finché il sistema aristotelico sarà accettato, nelle diverse correnti di pensiero (quindi fino all’epoca rinascimentale).

Al fine di esemplificare quanto da me asserito è possibile menzionare il luogo aristotelico del De Anima II.12: “In modo generale per ogni sensazione, bisogna intendere che il senso è la facoltà atta a ricevere le forme sensibili senza la materia, come la cera riceve l’impronta dell’anello senza il ferro né l’oro e, se essa riceve l’impronta dell’oro del rame, non è di certo oro o rame.”

È importante ricordare inoltre che sempre lo Stagirita rivendicava al movimento il primo momento vitale dell’uomo.

In ambiente scolastico si potrebbero menzionare numerosissimi passi. Sarà sufficiente citare quanto afferma Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae (I parte, Quaestio 78, art. 3):

“Ad operationem autem sensus requiritur immutatio spiritualis, per quam intentio formae sensibilis fiat in organo sensus … In quibusdam autem cum immutatione spirituali, etiam naturali, vel ex parte objecti tantum, vel etiam ex parte organi… Visus autem, qui est absque mutatione naturali et organi, et objecti, est maxime spiritualis, et perfectior inter omnes sensus, et communior: et post hoc auditus, et deinde olfactus, qui habent immutationem naturalem ex parte objecti … Tactus autem, et gustus sunt maxime materiales …”.

(Traduzione tratta dal CD Edizioni studio Domenicano, 2002)

“Ora per la sensazione si richiede questa trasmutazione spirituale, mediante la quale la forma intenzionale dell’oggetto sensibile viene a trovarsi nell’organo di senso … In altri invece, oltre alla trasmutazione spirituale, vi è pure quella fisica, o esclusivamente dalla parte dell’oggetto, oppure anche dalla parte dell’organo …     La vista pertanto, funzionando senza mutazione fisica dell’organo e dell’oggetto, è il senso più spirituale e perfetto, e più universale. Viene poi l’udito, seguito dall’odorato, i quali comportano entrambi una mutazione fisica da parte dell’oggetto … Invece il tatto e il gusto sono i sensi più materiali …”.

 

È da notare che nella scala suddetta, i due sensi estremi (quello più spirituale e quello più materiale, nelle parole di Tommaso d’Aquino) concordano con quelli proposti da noi, mentre gli altri tre, sono presentati dallo Scolastico in un ordine leggermente diverso. I quattro sensi e soprattutto il tatto e il gusto nella scala dell’Aquinate, dipendono e interagiscono con l’oggetto che nella nostra accezione è l’oggetto -madre.

La storia dell’immagine del corpo interna, come ho detto all’inizio, è squisitamente individuale, poiché varia da individuo a individuo. Essa influenza massicciamente oltre che la narrazione dell’individuo rispetto agli altri, il suo modo di essere e di divenire e anche i suoi processi di percezione oltre che di sè anche degli altri, dell’ambiente che lo circonda e delle produzioni artistiche.

Già nel mio piccolo lavoro sull’ “Ontogenesi della percezione al Rorschach”, avevo dedotto dall’esame di numerosi protocolli Rorschach, e poi la pratica di psicoterapia infantile e la collaborazione con operatori di psicomotricità me l’hanno confermato, che la percezione include il movimento e i quattro sensi: tatto, udito, gusto e olfatto e come la vista sia soltanto la risultante, più o meno focalizzata, del percorso precedente.

La percezione si articola infatti intorno alle forme dure, morbide, umane, rapportate sempre al movimento. Quindi la percezione parte dai piccoli oggetti rigidi (il mondo inanimato), passa poi ai morbidi (il mondo animale), per giungere quindi all’oggetto intero (l’uomo).

Ad esempio, un bambino psicotico (tale termine deve essere inteso come esplicativo di una grave immaturità e scarsa coesione dell’Io) riconoscerà nella sala-psicomotoria prima i cubetti di legno, di plastica, le macchine, i peluche, e quindi il volto e la figura di chi sta con lui. Questa successione tra un percepito e un altro abbisogna di numerose sedute di psicomotricità.

Ricordo il primo tentativo di rilassamento di un adolescente di 17 anni, venuto a consultazione per scarso rendimento scolastico.

Egli, non appena messo in poltrona, sentì il tronco torcersi, soprattutto per quanto riguardava gli arti inferiori sentiva le gambe ad x (ics), e poi vedeva delle piccole forme solide, cubi e triangoli venire velocemente contro di lui.

Ripresosi, al colloquio mi riferì che quasi sempre al momento di addormentarsi aveva la spiacevole percezione che piccoli oggetti duri corressero contro di lui.

È facile ipotizzare che queste piccole parti dure fossero l’unica rappresentazione, frammentata, da lui acquisita della sua immagine del corpo. La tensione ha prevalso sulla distensione, provocando in lui una fatale discontinuità.

L’esperienza del vissuto corporeo si articola sull’evoluzione armonica del sensorio che si svolge più o meno bene in base al grado di sintonia comunicativa tra madre e bambino. Se il rapporto viene ad essere difettoso, mutilo o bloccante, l’evoluzione dell’Immagine del corpo potrà subire un blocco e una fissazione al gradino precedente a quello in cui l’arresto è avvenuto.

Quando un bambino vede la luce, la base dei “giochi dell’immaginario” è già costituita.

Perché questo? Dalle rilevazioni neurologiche sul bambino in utero si è potuto vedere che egli sogna (fase REM del sonno) ed è proprio in questi momenti che il bambino inizia a rappresentare, quasi a “metabolizzare”, il suo vissuto, e quindi a sentirsi, a mutare il vissuto corporeo di tensione e distensione in dispiacere e piacere, in uno scambio continuo tra stato fisiologico e stato emotivo.

E ‘qui che avviene il primo passaggio dalla fisicità al sentimento.

D’altra parte, la fase REM del sonno è vissuta dal bambino e si attua in tutti noi, in un continuum dal momento in cui è potuta avvenire senza soluzione di continuità. In questa fase c’è una rigenerazione ed una creazione dei vissuti. Essa è pertanto necessaria, perché ristrutturante e nel contempo fondativa per il nostro immaginario.

Un esempio celebre è rappresentato da Leonardo, che pur dormendo complessiva-mente per poche ore distribuite lungo l’arco della giornata, aveva dei piccoli sonni che lo introducevano all’addormentamento, e tale abitudine penso non sia del tutto estranea alla grande produttività del suo immaginario.

Il processo di scambio e di interazione, così necessario per l’attivazione del sensorio, talvolta viene a mancare sin dal suo principio.

Se noi pensiamo infatti al movimento staccato dall’accompagnamento del sensorio, descritto, possiamo richiamarci alla mente i bambini autistici e quindi il loro movimento e il loro stereotipo equilibrismo. Può essere ricordato come il loro isolamento sensorio sia altrettanto vistoso. Uno dei due poli sui quali giostra l’immaginario corporeo non è stato attivato.

Oltre alla mancanza dell’esperienza sensoriale e tonica è visibile in tali bambini una specie di condanna al movimento per il movimento (stereotipie), quale intoppo alle esperienze successive.

Seguendo infatti l’evoluzione dell’immagine del corpo, il tatto, che è la prima rappresentazione corporea, non è stata attivata, in quanto il bambino autistico non ha potuto “metabolizzare” le esperienze necessarie allo sviluppo, subendo un arresto molte volte irreversibile.

Ricordo un bambino autistico molto piccolo (16 mesi), isolato dal mondo; egli agiva solo con movimenti stereotipi. Il primo momento di relazione è apparso quando, steso su un pallone sottile come una membrana, semipieno di acqua tiepida, iniziando a dondolarsi, sentì sotto la sua schiena qualcosa di tiepido che si muoveva ritmicamente e morbidamente con lui. Sembrava che, dal profondo, gli giungesse l’eco di un’esperienza già vissuta, ma troppo presto bloccata.

Naturalmente, come ho già detto non è che l’immagine del corpo attivata nella vita fetale, possa mantenersi sana senza il continuum di cure e relazioni corporee che diventano man mano psichiche.

Toccare ed essere toccati, sperimentare la pelle con tutta la potenzialità del tatto che non è limitata ai polpastrelli delle dita, ma è di tutta la pelle, udire suoni sufficientemente invitanti per essere uditi, provare con piacere lo squilibrio e l’equilibrio, invoglia a sperimentare la successiva capacità gustativa e potenzia il riflesso di suzione che, se è vitale per il nutrimento, è anche un’esperienza di conoscenza dell’ambiente e che, accanto all’olfatto, perfezionerà la conoscenza, e  quindi la rappresentazione di un corpo funzionante, forma e sviluppo dell’immagine del corpo.

D’altra parte ad ogni grado di questa scala del sensorio normale possiamo intravvedere la mancanza di passaggio armonico: il terrore dei rumori, il non riflesso di suzione, la fissazione agli odori, eccetera.

Per quanto riguarda l’udito, ad esempio, ricordo come il bambino in utero oda le voci e i rumori soprattutto nei toni bassi; ciò può essere osservato alla nascita allorché i rumori acuti disturbano il neonato, proprio perché ancora sconosciuti.

È infatti in utero che iniziano le esperienze che accompagneranno l’individuo per tutta la vita.

Ho potuto vedere le proiezioni degli ecosondaggi del prof. Tajani di Bari, ancona nel 1989 ad un congresso a Firenze: i bambini di pochissime settimane toccano con il dorso del loro corpo e con le mani le pareti dell’utero, quasi in un atto volontario. Ricordo, ancora una volta rifacendomi ai bambini con ritardo, come alcuni di loro siano sensibili al contatto dorsale, mentre rifuggano dal contatto del loro corpo di fronte, quasi ripescassero nella traccia mnestica della loro primitiva esperienza, la nostalgia dei primi stadi del loro sensorio.

Già, altre volte ho avuto modo di dire che, perché il corpo venga rappresentato nella sua completezza, occorre che il gioco di tensione e distensione avvenga in modo ottimale, come tra due persone che comunicano intensamente a livello non verbale, linguaggio questo non meno significativo del verbale.

Il linguaggio tonico pre-verbale è alla base della comunicazione verbale posteriore all’ottavo mese di vita.

Le osservazioni che a noi sono state possibili su bambini già nati sono state fornite soprattutto da Soggetti con ritardo di linguaggio. In alcuni di essi la mancanza di possibilità di comunicazione sensoria era stata così grave e così protratta nel tempo da provocare una regressione anche a livello motorio, fino a minare pertanto anche il primo polo, da cui era partito lo slancio vitale primordiale.

Ponendo come inizio della comunicazione verbale l’ottavo mese di vita post-natale, confortata, in quanto vado dicendo, dagli studi di insigni psicanalisti infantili, cito per tutti Winnicott, ci troviamo spesso di fronte a bambini di 3-4 anni che non parlano, e non per difetto d’organo, cioè non bambini sordi, ma Soggetti che non sono in grado di comunicare, perché non è stato loro permesso di rappresentarsi un’immagine corporea di bambino intero, doverosamente pre-esistente a quest’età.

Tale percorso si svolge nella successione elencata, si è detto, solo grazie ad una comunicazione sintonica tra madre e bambino.

Il toccare, l’affondare nel morbido, il compiacimento dei velluti di certi pittori veneziani, può leggersi anche come proiezione della nostalgia di un passaggio troppo veloce, e non del tutto soddisfacente. Indulgere agli odori (Proust) è un riproporre il tempo vissuto, rituffarsi in una condizione in cui il bisogno non è stato del tutto appagato. D’altra parte, l’esasperazione dello sguardo, così estrema nei paranoici, non è un sottolineare una mancanza, un tradimento troppe volte subito, una tensione che non ha permesso la fiducia nell’altro?

Una volta perfezionati i primi organi di senso (come si è detto: il tatto, l’udito, il gusto, l’olfatto), il bambino sarà in grado di vedere dapprima in bidimensione, data la sua posizione supina; molto più tardi, solo quando starà eretto, poco a poco, vedrà in tridimensione.

Quando tale stadio è raggiunto, il nucleo dell’immagine del corpo “adulta” è compiuto, ma alcuni individui rimangono alla vista in bidimensione pure deambulando.

Sulla bidimensionalità infatti degli psicotici, molta letteratura specifica concorda e gli studi teorici sono comprovati dall’esperienza che sto comunicando.

La produzione grafica dei bambini psicotici (e soprattutto il loro modellaggio) è stereotipicamente bidimensionale. Tale proiezione rigida, “a fil di ferro”, è del resto ben visibile anche nella loro postura e nella loro deambulazione. Come si sa, i bambini psicotici camminano con le gambe rigide, senza quasi articolare il ginocchio e molto spesso in punta dei piedi, come chi non sa dove andare, proprio perché non ha una rappresentazione stabile dell’oggetto-corpo e, al contempo, sa che non gli è permesso di andare.

Pertanto per sbloccare l’iter evolutivo della loro immagine corporea, è sempre necessario partire da stadi più precoci della “vista”, cioè dal tonico e dai quattro sensi più corporei, per usare il termine scolastico.

Quando il bambino giunge a una chiara rappresentazione di oggetto inizia per questo a riconoscere l’altro da sé, e allora, e soltanto allora, può comunicare anche verbalmente.

D’altra parte la parola è un simbolo e, se prima del simbolo non c’è una realtà, il simbolo non ha ragione di essere, o più precisamente non ha la possibilità di essere, poiché il simbolo, nelle sue diverse accezioni, unisce un dato reale a un altro di significato più astratto, più generale e comprensibile a tutti.

Sono state esaminate finora la genesi e l’evoluzione dell’immagine del corpo, dal feto al bambino in osservazione per turbe e/o ritardi. Ma perché questo è potuto accadere? Nel nostro lavoro, l’osservazione passa dunque necessariamente alle madri di tali bambini, ed esse costituiscono l’altra parte dell’esperienza della nostra puntualizzazione dell’immagine del corpo.

Velocemente, non è questa infatti la sede in cui insistere sull’argomento, molte madri raccontano di essersi sposate perché nel marito avevano ravvisato una madre “sufficientemente buona”, adatta a colmare la sete di tenerezza sempre delusa fino a quel momento. Tutti possiamo immaginane la nuova delusione, la proiezione poi perversa sul figlio e la tensione o l’impossibilità di ascolto, alla richiesta tonica del bambino.

Per molte di esse, la gravidanza è, nel migliore dei casi, un fatto sognato e idealizzato a distanza che poi, nel momento reale, dal concepimento alla nascita, all’accudimento del bambino nel primo anno di vita, provoca in loro una tensione involontaria o un’estraneità dalla situazione, tale da rendere immediatamente comprensibile quanto il bambino ci segnala con il suo disturbo.

Nella maggioranza dei casi, l’immaturità di queste madri-bambine, la mancanza della “metabolizzazione” necessaria e sufficiente a dare un’interezza al vissuto corporeo, hanno prodotto carenze o fissazioni a stadi evolutivi molto precoci.

Dunque abbiamo due modalità e due versanti per studiare l’evoluzione dell’immagine del corpo: l’evoluzione del vissuto del bambino dal suo concepimento in poi, o, a ritroso, le imagerie delle madri di bambini con problemi. Attraverso le immagini prodotte si può individuare quando e perché il loro immaginario corporeo si sia bloccato, rendendo il tempo non cronologicamente corrispondente alla loro età.

Ho già detto che nella fase REM del sonno i vissuti corporei del bambino si mutano in immaginario psichico. Analogamente l’immaginario delle madri, raccontato nelle imagerie, in stato di rilassamento, narra la storia della loro immagine del corpo e, pertanto, non solo il macrocosmo che le circonda può giustamente essere letto come proiezione del loro vissuto, ma anche le posture da loro assunte, i mutamenti, le sensazioni ci riconducono alle loro primitive esperienze.

Certamente, quanto ho finora esposto può sembrare non nuovo a chi si occupa di psicoterapia infantile. Alludo all’immaturità delle madri dei bambini disturbati; il nuovo penso consista nel fatto che il percorso dell’immagine del corpo viene espresso, quasi concretamente, da un lato dal disturbo del bambino, dall’altro dalle sequenze immaginative delle madri, che segnalano quanto importante sia il corpo vissuto, e quindi rappresentato, per una forma di relazione adulta e responsabile. Come dice una di tali madri: “non sono riuscita a dare a mio figlio quanto non ho mai sperimentato”.

Ho imparato quanto ora sono in grado di descrivere sul rapporto dei soggetti con la loro immagine corporea dalla lettura delle imagerie confrontate con il test di Rorschach delle madri, e con i disegni e con il test di Rorschach dei bambini in grado di parlare, e infine con le posture, i silenzi, gli ipotoni dei bambini immaturi.

 

Esempi

Frammento di un ‘imagerie di una madre di una bambina autistica: “Un grande buio, ovattato come nebbia, una folgore rossa squarcia il buio”.

È inutile, penso, sottolineare come fosse in atto, perlomeno al momento dell’imagerie, una regressione al polo del movimento e una minaccia subita senza possibilità di reazione da parte del soggetto. E interessante notare come, al colloquio successivo, questa madre dica: “io sono nel buio, immobile, la folgore rossa che squarcia il cielo penso sia proprio la mia bambina”.

La madre di un bambino con ritardo motorio immagina: “Vedo le onde che mi sommergono, sento nel contempo i piedi che sprofondano, mi è impossibile muovermi, sono penduta nel nero”.

Ricorda poi un sogno, ricorrente fin dall’adolescenza, in cui vedeva l’acqua sommergere tutta la città. Lei tentava di arrampicarsi, ma cadeva fino ad esserne sommersa. In tali sequenze mi pare di ravvisare come il suo immaginario, così catastrofico, sia necessariamente legato a un’immagine del corpo fragile e soccombente, in cui anche il polo cinestesico è paurosamente minato.

Un’altra, madre di due gemelle di 4 anni, con turbe del comportamento, e di una terza bambina di 3, con ritardo di linguaggio, immagina nel modo seguente: “Sono su una spiaggia nebbiosa, in un’aria stagnante, mi è impossibile muovermi. Se vado verso destra un vento fortissimo mi butta decisamente indietro, se mi ributto velocemente a sinistra, c’è un muro che non riesco a saltare. Mi sento perduta. Con un grande sforzo mi arrampico. Sono al di là del muro e cado su un asfalto appiccicoso, dal quale non riesco più a disinvischiarmi”. E ancora: “Sono all’imbrunire, in un deserto. Cammino senza meta, ma ho paura di fermarmi, perché sono sola. Mi sento stanca, sfinita, ma non posso fermarmi perché sarei perduta”.

Pare che, in questa madre, solo il polo del movimento sia attivato, in modo caotico, spiacevolmente propriocettivo, il suo sensorio non ha alcuna rappresentazione stabile.

Un’altra (soggetto ipocondriaco), madre di una bambina di 2 anni, con somatosi della pelle immagina: “Sono in un tunnel, è vuoto, sembra cemento. Ho le ginocchia nude. Vado a carponi, quasi strisciando. Vedo chiaro, tutto bianco. Fuori del tunnel c’è la neve. Sta nevicando, ho freddo, ma non so dove andare, perché non vedo nulla. Mi pare che ci sia un bel salto da fare, mi pare che il tunnel si muova, devo saltare e cado nella neve. Ho freddo e sono tutta bagnata. Devo cercare riparo, ci sono degli alberi, una casa; scappo dentro, vado in cerca di un vestito, devo andane in teatro. Mi lavo le mani in bagno, sono tutta scarruffata, non posso pettinarmi, ho fretta, mi faccio una coda con un elastico, mi metto una gonna a balze, le calze, le scarpe, una mantella di pelliccia bianca e corro. Sono in teatro, vado sul palco, c’è già gente sul palco. Ma non è gente, sono tutti manichini, li butto giù, ma rimbalzano, poi finalmente si fermano e spariscono. C’è un letto in platea, con un bel copriletto bianco sopra e ci sono tanti diavoletti che saltano e rimbalzano, fino a cadere nel fuoco di un camino, che è acceso nell’angolo, e si bruciano. Io resto sul letto, sento il profumo di bucato, il morbido del letto, il caldo del fuoco, mia madre mi copre con un plaid morbidissimo”.

Qui si può notare, come l’immagine del corpo narri un immaginario che, se all’inizio sembra ancora in preda a fantasmi di freddo, paura e solitudine, quasi ripescati in remote esperienze, alla fine trova la forza di riprendersi ed andare avanti. Le esperienze primarie hanno la possibilità, di essere riprese e ristrutturate, sebbene il mondo degli adulti sembri ancona una recita vuota.

 

Conclusioni

“Tutto quanto è compreso e può essere compreso nel mondo, deve inevitabilmente avere per condizione il soggetto ed esiste solo per il soggetto. Il mondo è rappresentazione” (Schopenhauer, “Il mondo come volontà e rappresentazione”).

Lo studio dell’immagine del corpo e il nostro aiuto alla sua evoluzione si collocano in assoluto rispetto delle potenzialità immaginative della persona; nessuno di noi lavora per costituire l’immaginario del Soggetto, che viene, o è accompagnato, in consultazione con il proprio immaginario.

Ferma restando l’importanza, talvolta determinante, delle relazioni precoci nella genesi dell’immagine del corpo, ciascun individuo possiede, in atto o in potenza, fin dal momento del suo concepimento, un bagaglio biologico, culturale e storico, che varia da individuo a individuo. Noi lo rispettiamo proprio nella misura in cui cerchiamo di farlo emergere dai legami, talvolta mortificanti, delle comunicazioni primarie. Non creatori, ma scopritori della totalità virtuale del Soggetto, e per questo ciascuno di noi si colloca a lato del Soggetto, come un compagno di viaggio che offra il suo aiuto, “disteso” e la sua disponibilità all’ascolto dell’immaginario in divenire.

Tale aiuto spiana la via dai blocchi, colma i burroni, ristruttura quanto non è stato ancora sufficientemente gratificato. La via diventa allora lineare, lo spazio può essere vissuto in modo più attuale, perché il tempo non   si è fermato, e il terapeuta lo accompagna nel suo divenire.

Molte volte ci si pone l’inquietante domanda: è più vero il corpo o la sua immagine, o, più precisamente, la relazione più perfetta non avviene tra immagini?