No Pain


Psicoterapia con l’ITP

Silvano Secco: psicoterapeuta ITP.

 

No pain.

 

Risonanza magnetica di una madre che abbraccia e bacia il figlio provoca una nuvola affettiva. Credits: Rebecca Saxe, Ph.D., Brain and Cognitive Sciences Department, Massachusetts Institute of Techonology.

Introduzione.

Ho incontrato il dolore in vari contesti, nella vita personale e in quella professionale. Sempre, mi ha colpito quanto il dolore deformi l’Immagine del corpo e nello stesso tempo si associ alla paura, fino ad arrivare alla negazione dell’Essere quando è totale. La paura del dolore genera delle difese psicologiche estreme altre volte  si associa ad alterazione delle aree dell’umore con vari livelli e forme di depressione.

Nel contempo, il dolore può diventare parte della vita e come spiega la signora Lorella, durante la nostra intervista, il dolore deve diventare un Amico. Del resto le terminazioni nocicettive fanno parte del nostro patrimonio psicofisico.

Il dolore è anche un argomento tabù perché contiene al suo interno elementi di tipo biologico, psicologico, culturale ma anche religioso e spirituale. Nel Libro 3 della Genesi, Dio si rivolse ad Adamo ed Eva che hanno appena assaggiato il frutto proibito dicendo alla donna: “ Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto ma egli ti dominerà” all’uomo disse: “Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero, di cui ti avevo comandato: non ne devi magiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita”.

Questa complessità rende il dolore un argomento difficile da manipolare da parte delle varie figure professionali, anche sanitarie, e richiede una periodica formazione, un regolare confronto, un ricorrente scambio.

Le tecniche psicologiche possono essere suddivise in tecniche semplici, come le bolle di sapone, libretti cartonati per i bambini e in tecniche complesse, come il rilassamento e le visualizzazioni guidate. Le prime tecniche possono essere somministrate da personale non-psicologo, le altre richiedono una preparazione specifica in campo psicologico, sia per offrire ai pazienti o ai parenti le istruzioni relative alla fase dell’apprendimento e sia per seguire il lavoro di monitoraggio. È poi necessario utilizzare un atteggiamento equilibrato che non enfatizzi i benefici che si possono ottenere. In generale possiamo affermare che fornire al singolo paziente o al genitore, quando lavoriamo con bambini, delle tecniche psicologiche di fronteggiamento del dolore consente di non sentirsi oppressi dal senso di impotenza di fronte all’esperienza del dolore.

Il vantaggio, quando lavoriamo con bambini è duplice, in primis li aiuta a contrastare l’intensità del dolore. Inoltre possedere una tecnica permette di non trasformare il dolore in esperienza traumatica, perché aiuta il bambino ed il genitore ad affrontare il senso di impotenza.

Il dolore costituisce sempre un’esperienza soggettiva, un fenomeno neuropsicologico molto complesso ed articolato. La classica dicotomia somatico/psichico può riguardare il meccanismo generatore, l’eziologia, ma non il fenomeno dolore in sé. La relazione tra l’entità dell’alterazione tessutale e la severità percepita del dolore è incerta, in quanto numerosi fattori neurofisiologici, neuropsicologici possono modificare la sua integrazione e modulazione a livello periferico, sottocorticale e corticale.

Il dolore fisico è per definizione il risultato di una serie di reazioni scatenate nel sistema nervoso a seguito di uno stimolo lesivo così intenso da minare l’integrità dell’organismo o Immagine del corpo. Quando chiesi alla signora Lorella descrivermi con una immagine il dolore, lei mi disse che è come un grattacielo che si sgretola, diventa un corpo dove ci sono crepe.

In maniera specifica possiamo affermare che il dolore più è totalizzante e più ha come effetto la disintegrazione dell’Immagine del corpo. Per tal motivo da un punto di vista sia fenomenologico che clinico il rilassamento ha degli effetti positivi poiché ristruttura e quindi reintegra l’Immagine del corpo. Il rilassamento per produrre degli effetti benefici, come verrà spiegato, non deve essere solo superficiale ma deve raggiungere una salto di livello di coscienza e diventare profondo.

 

Il dolore e le sue componenti.

Il dolore comprende questi vari aspetti:

Da questa definizione emerge chiaramente come il dolore rappresenti una esperienza soggettiva e come gli aspetti emotivi ed affettivi ne costituiscano una componente essenziale, anziché una semplice reazione ad esso. Smorzare la tonalità affettiva del dolore, rappresenta già una forma d’intervento, che è determinata non solo dalla causa stessa del dolore, ma anche al suo contesto, si pensi ad esempio all’effetto della presenza di un genitore ansioso o tranquillo quando si aiuta un bambino. Il significato e l’incertezza vissuti dal paziente rispetto alla sua malattia ed agli interventi sanitari, modulano anch’essi il vissuto doloroso ed il senso di sofferenza.

 

La dinamica sofferenza e dolore.

È valido, coerente, reale distinguere sofferenza e dolore?

Si dovrebbe distinguere, almeno per quanto riguarda l’origine, il dolore dalla sofferenza, il primo è più direttamente collegato agli aspetti fisici il secondo agli aspetti psicologici, di tipo esistenziale. Affinché il dolore fisico venga percepito necessita di terminazioni periferiche, situate nel derma e in molti organi, che sono i recettori nocicettivi e fibre specifiche.

La sofferenza è qualcosa di più del dolore e questo diventa drammaticamente reale se pensiamo al fenomeno suicidale dove è proprio l’insopportabilità di vivere la vita che conduce l’individuo in questa direzione. Nello stesso tempo vedremo che i due fenomeni, dolore e sofferenza, si intersecano e condizionano reciprocamente.

Affrontare il tema del dolore e della sofferenza significa prendere in considerazione la persona nei suoi vari aspetti costitutivi, ovvero la sua personalità, il proprio passato, la sua famiglia e cultura, il proprio ruolo sociale, la sua vita intima o segreta, le proprie sicurezze o credenze.

La sofferenza psicologica che il paziente depresso vive è molto simile a quella creata da un dolore fisico, non tanto per quanto riguarda le terminazioni del sistema nocicettivo quanto invece per quanto concerne le aree cerebrali coinvolte che sono analoghe. In altri termini il bersaglio della corteccia cerebrale è lo stesso sia per quanto riguarda il dolore psicologico e il dolore fisico.

Particolarmente indagato [[1]] è il ruolo del dolore, sia fisico che psichico, nella depressione (Gaskin 1992 [[2]]). In particolare la depressione ha una elevatissima comorbidità con il dolore cronico (Dersh [[3]] et al., 2006) tanto da portare, quando non vi sia una base fisiopatologica per il dolore stesso, alla diagnosi di depressione mascherata. Il dolore psichico, d’altro canto, appare una componente centrale nello stato depressivo.

È stata messa in discussione l’utilità clinica della distinzione tra dolore fisico e psichico in base a numerosi dati clinici e di ricerca.

È stata evidenziata una stretta analogia tra descrizioni soggettive di dolore fisico e psichico, quest’ultimo spesso appare ancor più intollerabile (Mee et al., 2006 [[4]]).

Il dolore psichico e fisico si associano alla depressione e talora la precedono. In uno studio di (Mitchell et al. (2003 [[5]]), il 75% di 270 pazienti depressi aveva subito nell’anno precedente un grave evento stressante, ad esempio la morte di un figlio, in grado di provocare un dolore psicologico insopportabile che diventa fattore di rischio per la depressione e per il suicidio.

Sia il dolore fisico che psichico si correlano con l’ideazione suicidaria, indipendentemente dalla gravità della depressione (Smith, 2004 [[6]]). L’intensità del dolore psichico si è rivelata (Berlim et al., 2003 [[7]]) un predittore del suicidio migliore della depressione e della disperazione stesse, parametri generalmente utilizzati per la valutazione del rischio suicidario.

Numerosi studi basati su neuroimmagini funzionali (Mee et al., 2006 [[8]]) evidenziano l’attivazione delle stesse strutture cerebrali nel dolore fisico e nel dolore psichico: giro cingolato anteriore, insula e corteccia prefrontale. Nel dolore empatico (osservazione di persone care che soffrono) il pattern di attivazione è simile a quello del dolore psichico (Singer et al., 2004 [[9]]). Quello che è diverso e fa distinguere è l’origine.

Diversamente, nel dolore indotto da ipnosi o tecniche suggestive, come ad esempio quelle immaginative, vengono attivate, in analogia con il dolore fisico, anche le aree corticali somatosensoriali (Craig et al., 1196 [[10]]; Derbyshire et al., 2004).

Le ricerche di Borgo (2009 [[11]]) confermano una stretta analogia tra dolore fisico e dolore psichico nel vissuto emozionale (sensazioni somatiche e immagini mentali) e nelle strategie di coping.

Queste considerazioni spiegano anche come le forme di autolesionismo siano dei comportamenti messi in atto dalle persone per trovare un sollievo al dolore psicologico, alla profonda angoscia che sembra più pressante e invasiva rispetto al dolore fisico che si autoinfliggono. Il paziente preferisce tagliarsi e provare dolore fisico piuttosto che sopportare il dolore mentale. In tal maniera il dolore fisico prende il posto del dolore mentale, anche grazie ad un effetto secondario estremamente vincolante che a sua volta può determinare una sorta di dipendenza dal dolore fisico stesso.

Il cutting di per sé dà un sollievo momentaneo, infatti gli adolescenti si tagliano per controllare e interrompere un dolore mentale troppo forte, un’angoscia troppo intensa e insostenibile. Il cutting è utilizzato, anche, per avere la percezione di essere vivi, è come dire che è meglio provare dolore fisico piuttosto che non sentire niente o sentirsi vuoti o inutili. Il cutting crea un rifugio provvisorio che consente all’individuo di trovare un sollievo dalla sofferenza dal problema.

Sul versante neurofisiologico varie sono le determinanti individuate, ovvero il dolore autoindotto stimola la produzione di adrenalina, il cervello dopo una lesione o sforzo fisico rilascia endorfine beta, un antidolorifico naturale che  crea una dipendenza e un ciclo di astinenza. La base biologica di questo comportamento potrebbe essere connessa con l’azione della serotonina, la quale a sua volta è implicata nell’impulsività [[12]].

 

Che cos’è per Lei il dolore?

Un giorno domandai a Fulvia di descrivere il suo dolore. Lei, in fase terminale con tumore osseo metastatico, mi spiegava che anche l’essere spostata di pochi centimetri nel letto le provocava dolori lancinanti. Per tal motivo sarebbe da suggerire al personale sanitario, in questi casi, una cura particolare al posizionamento con apprendimento ad esempio di una tecnica specifica come l’handling o danza a due. Riporto qui di seguito la sua narrazione:

“Il dolore accomuna tutti i malati qualsiasi sia la malattia.

Il dolore fisico fa impazzire, sfinisce, spersonalizza, porta la mente ad uno stato di totale disperazione da desiderare qualsiasi cosa, pur di non sentirlo più.

Secondo me, è il dolore fisico che annienta la persona e che toglie la voglia di vivere, non la malattia in sé e per sé, anche se considerata inguaribile. Ed intendo riferirmi al dolore prolungato, intenso crescente, non quello acuto, istantaneo. Si arriva alla fine senza la forza di reagire. Mi sono resa conto che il dolore fisico sperimentato può far regredire una persona ad uno stadio tale in cui si può essere dominati dalla paura che esso arrivi di nuovo e non si sa cosa fare: questa paura aumenta il dolore stesso. E’ anche per questo che, a mio parere, è difficile separare nettamente il dolore fisico dal dolore psicologico.

Per quanto riguarda il controllo del dolore certo ci sono i farmaci che lo leniscono, ma quale è il farmaco giusto? Credo che sia molto difficile trovarlo e non solo per un certo dolore specifico, ma anche per uno specifico soggetto. E’ anche per questo motivo che il malato sente il bisogno di aver fiducia nei medici che si prendono cura di lui e questa la si può acquisire quando il medico ascolta di più il malato nel suo dolore. Mi vien da dire: “Lasciatemi parlare, datemi il tempo di dire, so io com’è il mio dolore”.

Se il malato viene ascoltato, secondo me, egli fa capire anche che il dolore che sente in un certo momento, anche se intenso, non necessariamente è collegato alla malattia principale, ma a cause secondarie importanti, come per esempio l’immobilità a letto. Ci possono essere, perciò, dei dolori che si possono alleviare cambiando spesso posizione, anche se di pochi centimetri, massaggiando alcune parti, riducendo la tensione muscolare, praticando una paziente e scrupolosa igiene.

Ho poi osservato che il dolore fisico in ospedale è meno sopportabile del dolore fisico a casa propria. A mio parere raddoppia, perché in ospedale c’è tensione, manca la serenità, la comprensione da parte del malato di ciò che sta accadendo.

L’esperienza recente mi ha portato a dover valutare insieme al personale sanitario il mio dolore, a studiarlo insieme per decidere e condividere il da farsi, nei limiti del possibile. Questo è indispensabile perché credo che il malato abbia bisogno di ciò. Un buon rapporto malato-personale sanitario è fondamentale per la sua serenità.”[13]

Vorrei ora che voi confrontaste le riflessioni di Fulvia con frasi o punti di vista di altri autori famosi, ma pur sempre persone, dove è possibile cogliere delle differenze, delle contraddizioni e anche contrapposizioni.

Kant: Il dolore è stimolo dell’attività e solo agendo ci sentiamo vivi.

Hegel: Il dolore è il privilegio delle nature viventi, come il privilegio delle nature superiori.

Novalis: spiega che le sofferenze croniche e il dolore sono come il tirocinio dell’arte di vivere e della formazione dell’animo.

Goethe: afferma che quando l’arte si collega al dolore deve acuirlo per poi poterlo mitigare e trasformarlo in sentimenti più elevati di consolazione, il proprio dolore insegna a condividere quello degli altri.

Francoise Mangerie: Il dolore è la principale forza motrice della vita.

Max Scheler: Un’esistenza senza dolore induce ad una leggerezza metafisica.

Wittgenstein: Hai appreso il concetto di dolore imparando a parlare.

Junger: Parlami del tuo rapporto con il dolore e ti dirò che sei.

W. Helwig: Il dolore è uno degli elementi della grande alchimia….E le parole con cui tentiamo di spiegarcelo non bastano, sono come sabbia in una tempesta nel deserto.

Il racconto di Fulvia ci aiuta a riflettere con più attenzione sul significato del dolore come esperienza soggettiva e individuale che supera certi livelli e diventa totalizzante. La comprensione di questa soggettività passa attraverso il riconoscimento della persona sofferente come altro da me. Allo stesso modo Kanitza scriveva, 1990 “per sapere che cosa il paziente pensi o provi occorre chiederglielo ed essere pronti ad accettare la sua risposta … l’operatore non può sostituirsi al paziente e deve riconoscergli di essere l’unico in grado di dire ciò che prova …”.

 

Il parere della signora Lorella.

La signora Lorella ha partecipato al Seminario per testimoniare il suo punto di vista in merito al dolore e alle tecniche che Lei utilizza per affrontarlo sia adoperando la morfina e sia le tecniche psicologiche che ha appreso e fatto proprie durante il suo percorso di psicoterapia con la tecnica ITP.

“Il dolore fisico c’è ma io con questa tecnica (rilassamento e visualizzazioni) vado oltre lo spazio.

 

Alcuni medici fanno confusione, tendono a mettere tutto allo stesso livello e non ascoltano il paziente.

Le due cose, sofferenza e dolore stanno bene assieme.

Il dolore fisico lo senti in un modo e quello psichico in un altro, ma il dolore fisico incide sullo stato psicologico … ma anche viceversa.

Il dolore fisico ti logora psicologicamente ad esempio: ho parlato con una donna depressa di una certa età e l’ascoltavo nel parlare, il suo tono di voce, le sue pause. Lei ha una trombosi. Parlava della sua mamma morta 20 anni fa e il suo dolore fisico si sovrapponeva al suo dolore psicologico. Io le dicevo se stai sul male ti perdi, cerca di distoglierti, fai del rumore in casa. Io ho spesso la TV accesa in casa perché ti distoglie, il rumore impegna la mente.

Che cos’è il dolore per lei, come lo definirebbe?

Il dolore inizialmente non è un amico. Nel tempo devi intraprendere un dialogo, perché fa parte di te.

Se te lo fai nemico si forma una specie di attrito e allora devo prendere sempre più farmaci.

È come se ti trovi ad un bivio o amico/dialogo o nemico.

Tu lo senti e lo ascolti o ti metti in un angolo e ti commiseri, o l’accolgo e reagisco. Cerco che non prenda il sopravvento su di me. Lo vedi e lo riconosci.

Come me lo immagino? Il dolore è come un grattacielo che si sgretola perché sgretola il tuo corpo, quando una casa sgretola ci sono le crepe.

Se tu vuoi trovare pace devi immaginare l’acqua che corre con vari colori, si parte dal grigio per arrivare ai vari colori.

A me piace il mare perché il mare trasporta .

Io abito vicinissima al Piave, quando il Piave è in piena io non ho paura ma immagino che questa acqua, la trasformo in modo positivo, io l’ascolto e mi lascio trasportare lascio che trasporti via il mio dolore, il Piave pulisce, poi quando la piena finisce c’è la serenità, l’acqua da marron diventa trasparente.

Il Piave è come il dolore che logora. Vedi massi di terra e sassi portati via, il dolore porta via tutto di te, non ti chiede il permesso.

Il dolore è qualcosa di aggressivo, è come il nero, il marron fango che poi diventa acqua limpida.

Come ha imparato a rilassarsi e a immaginare?

All’inizio del rilassamento c’è una forma di coscienza, faccio tutti gli incroci, parti degli arti e del corpo prima destro e poi sinistro, poi arrivi alla testa cioè alla respirazione, ci sono dei respiri profondi che ti portano a fare uno stacco, andare sopra, è come non avere più coscienza, diventa qualcosa di non più corporeo, non c’è più il tuo corpo, fai come delle scalette dentro che ti portano alla serenità, vado al livello superiore e mi sdraio sulla mia nuvoletta, in quel momento il dolore è sotto, c’è ma io sono sopra.

Lo senti il passaggio di stato di coscienza.

Il dolore ha un corpo solido e tu devi andare sopra.

Io lo vivo questo distacco, è come se fai un respiro profondo che come un areo ti porta in alto.

Non c’è niente di materiale è una sensazione.

Io dico che dentro di me ci sono degli spazi e tu devi superarli.

Tu il dolore dalla nuvola lo vedi ma non lo senti.

Alla notte che strategie utilizza?

Alla notte a letto non posso mettermi stesa ma devo trovare una posizione rannicchiata, non devo mettermi in tensione devo trovare uno schema di storto, devi trovare la posizione giusta.

Comincio sempre con il respiro per svuotare la mente, poi parto dal piede e cerco di rilassarmi, quando respiri e ti svuoti ti allontani anche dal corpo, c’è qualcosa che chiacchera forte ma devi cercare il decollo.

A letto c’è un corpo estraneo che è il materasso e tu devi fare una fusione e lo fai attraverso il respiro, trovi allora la posizione comoda e di scarico del peso.

Le parti del corpo che non senti le cerchi basandoti sulle piccole sensazioni, quando compero le scarpe mi chiedono come le senti? A te viene da impazzire, ti perdi a cercare le piccole sensazioni

L’uso della morfina?

Per rimanere vigile con la testa, io posso usare dei dosaggi in base al dolore, però perdo il controllo della testa, ti addormenta, io voglio essere vigile e vivere la vita e per mia scelta prendo memo e adotto il mio sistema.

Esempio: sono nella sala operatoria per fare un intervento alla mano, l’intervento dura troppo e l’effetto stava sparendo, loro stavano lavorando sull’osso e per chiedere ancora anestesia. Ho rifiutato la seconda dose di anestesia e quindi ho cercato di isolarmi. Ero distesa nel lettino ho iniziato a respirare e concentrarmi su altre cose e isolare il dolore. Ho visualizzato le mie immagini di leggerezza, poi il vuoto, il nulla. Io mi posiziono nel mio vuoto dove non ci sono sensazioni, il nulla, tu devi posizionarti staccandoti dal corpo che ti fa male, è stata una mia scelta non farmi dare altra anestesia.

La persona che ha dolore si trova di fronte ad un sapere, quello del medico, che sa tutto ma la mette in difficoltà facendola sentire piccola ma che ha dolore è in grado di descriverlo.

Sono importanti le metafore, la persona parlando è come se scaricasse e in questo modo è già un aiuto, mentre ne parli dai una immagine e ti senti alleggerita.

Attraverso il lavoro che stavamo facendo in psicoterapia io provavo sensazioni di leggerezza, avevo dei benefici anche per il dolore  sul mio corpo e piano piano ho fatto mia la tecnica.

Quando abbiamo iniziato la psicoterapia io ero abituata ad avere il controllo di me, e con la psicoterapia era come se si sgretolasse la mia corazza del controllo di me e ti portava a dei benefici e ho fatto mio quel beneficio.

Se una persona sta vicino al paziente oncologico lui può seguire la voce e lo distrae, non lo fa sentire solo, sentirti meno soli con il dolore perché il dolore fa paura e senti che qualcuno ti capisce, è la cosa più importante è portare la mente da un’altra parte, come io quando guardo i miei fiori e mi lascio trasportare.

E la cosa più bella è il vuoto.”

 

Le mani e il dolore.

La storia di Elena Bernabè (psicologa) mi sembra molto significativa e ci può aiutare nella riflessione circa le strategie psicologiche da usare quando ci troviamo di fronte alla sofferenza.

“Nonna, come si affronta il dolore?”

“Con le mani, tesoro. Se lo fai con la mente il dolore invece di ammorbidirsi, s’indurisce ancora di più.”

“Con le mani nonna?”

“Si. Le nostre mani sono le antenne della nostra anima. Se le fai muovere cucendo, cucinando, dipingendo, suonando o sprofondandole nella terra invii segnali di cura alla parte più profonda di te. E la tua anima si rasserena perché le stai dando attenzione. Così non ha più bisogno di inviarti dolore per farsi notare.”

“Davvero le mani sono così importanti?”

“Si, bambina mia. Pensa ai neonati: loro iniziano a conoscere il mondo grazie al tocco delle loro manine. Se guardi le mani dei vecchi ti parlano della loro vita più di qualsiasi altra parte del corpo. Tutto ciò che è fatto a mano si dice che è fatto con il cuore. Perché è davvero così: mani e cuore sono connessi. I massaggiatori lo sanno bene: quando toccano il corpo di un’altra persona con le loro mani creano una connessione profonda. E’ proprio da questa connessione che arriva la guarigione. Pensa agli innamorati: quando le loro mani si sfiorano fanno l’amore nel modo più sublime.”

“Le mie mani nonna… da quanto tempo non le uso così!”

“Muovile tesoro mio, inizia a creare con loro e tutto dentro di te si muoverà. Il dolore non passerà. M si trasformerà nel più bel capolavoro. E non farà più male. Perché sarai riuscita a ricamarne l’essenza.”

 

Basi neurofisiologiche.

Le basi neurofisiologiche sottese al dolore sono estremamente complesse, è importante anche ai fini di una comprensione in merito all’efficacia delle tecniche psicologiche averne un’idea anche se molto sommaria. Gli interventi di tipo psicologico potranno trovare una conferma oggettiva, dimostrando come non siano mero un effetto placebo, bensì producano dei cambiamenti concreti.

La percezione del dolore è il risultato finale di una serie di eventi che si concatenano l’uno all’altro dalla periferia del corpo alle aree cerebrali, passando attraverso una serie di relè o stazioni con funzioni di elaborazione sempre più sofisticate:

La trasduzione è la conversione, effettuata dai recettori nervosi periferici, di stimoli eccessivi di tipo chimico, meccanico e termico, in impulsi elettrici che viaggiano lungo le fibre nervose. Il tipo di stimolo è codificato dalla frequenza degli impulsi.

La trasmissione è influenzata da due importanti fenomeni, la sensibilizzazione ed il gate control. La sensibilizzazione è la facilitazione della trasmissione dello stimolo doloroso quando si protrae nel tempo. Il gate control è la possibilità che input sensitivi non dolorifici possano chiudere il cancello, impedendo la trasmissione degli stimoli nocicettivi. In altri termini poiché le vie nervose che conducono gli stimoli sensitivi periferici verso la corteccia cerebrale hanno una capacità di conduzione quantitativamente limitata, l’aumento degli input non nocicettivi riduce la trasmissione di quelli dolorifici. Su tale principio si basano le tecniche dell’ago puntura e le tecniche psicologiche.

La modulazione sta ad indicare che lo stimolo nocicettivo durante il suo percorso alla corteccia subisce un processo di modulazione. Esistono in pratica strutture cerebrali, come il grigio peri-acqueduttale e nucleo del rafe magno, da cui originano vie nervose discendenti che vanno ad influenzare, soprattutto a livello del midollo spinale, le vie ascendenti del dolore, riducendo la trasmissione degli stimoli elettrici nocicettivi. I mediatori chimici coinvolti in questi processi sono la seretonina, la noradrenalina ed i cosiddetti oppioidi endogeni, o endorfine.

Come risultato di queste complesse vie del percorso nocicettivo abbiamo una esperienza sgradevole modificabile con il passare del tempo. In termini tecnici l’esperienza dolorosa in generale comprende:

Il messaggio nocicettivo [[14]] si specifica dallo stimolo delle terminazioni libere amieliniche e mieliniche costituenti arborizzazioni sia nei tessuti cutanei, muscolari ed articolatori, sia nelle pareti viscerali. I messaggi nocicettivi sono veicolati nei nervi da differenti tipi di fibre nocicettive, catalogate secondo il loro diametro e l’esistenza o meno della guaina mielinica. Gli studi con tecniche di registrazione dell’attività elettrica ha permesso di scoprire che il ruolo maggiore, nella ricezione e nella modulazione dell’intensità del dolore, è giocato dai nocicettori polimodali [[15]] di tipo C. Quando si applicano degli stimoli ripetuti allora queste fibre diventano la sede del fenomeno di sensibilizzazione che si manifesta con diminuzione della soglia di attivazione, oppure con aumento delle risposte, o ancora con comparsa di attività spontanea. Questi fenomeni possono essere all’origine delle reazioni di iperalgesia ovvero sensibilità accentuata per stimoli normalmente dolorosi.

Le altre fibre nocicettive sono le fibre A delta scarsamente mielinizzate, nell’ambito delle quali sono state identificate varie sottoclassi. Sono fibre con una maggiore velocità di conduzione, spesso legate al fenomeno dell’allodinia [[16]].

A livello dei muscoli un gran numero di fibre A  delta e C sono nocicettori polimodali particolarmente eccitati dalle sostanze allogene e dagli stimoli termici. Non si può affermare comunque che tutte queste fibre sottili siano implicate nella nocicezione, infatti attraverso la loro attivazione durante la contrazione muscolare, certe potrebbero essere implicate nella induzione dei riaggiustamenti circolatori e respiratori durante l’esercizio muscolare. I nocicettori sono stati individuati anche nelle articolazioni.

Attualmente è difficile sapere in quale misura il dolore di origine viscerale risulti dall’attivazione di nocicettori specifici o dall’attivazione eccessiva dei recettori che, in condizioni normali, partecipano alla regolazione riflessa  della funzione viscerale.

Numerosi fattori chimici sono capaci di modificare l’attività delle fibre afferenti primarie di piccolo diametro. Una percentuale elevata di fibre C e A-d non può essere attivata da stimolazioni estreme che provengano da tessuto sano, ma presenta un’attività spontanea elevata ed una soglia di attivazione relativamente bassa dopo la creazione di un’infiammazione articolare o cutanea.

Dopo il loro tragitto nei nervi periferici, le fibre afferenti raggiungono il sistema nervoso centrale attraverso le radici spinali posteriori o il loro equivalenti dei nervi cranici. Le fibre A-d e C terminano a livello degli strati superficiali delle corna dorsali del midollo spinale (lamina I e II di Rexed).

Il problema relativo ai neurotrasmettitori è molto complesso, perché una stessa fibra può contenere la sostanza P [[17]], ma anche numerosi altri peptidi (somastotina, CGRP), il cui ruolo va determinato.

Nelle corna dorsali del midollo, due principali gruppi di cellule sono attivate dalla messa in gioco di fibre sottili:

Soprattutto quelli del primo gruppo sono attivati anche da stimoli viscerali, muscolari e articolatori intensi.

L’esistenza di una convergenza viscero-somatica  dimostra la teoria della proiezione convergente utilizzata per spiegare i dolori proiettati. Questi dolori, secondo la teoria, sarebbero legati alla convergenza di messaggi nocicettivi cutanei e viscerali su una popolazione di neuroni spinali, che trasmettono l’informazione ai centri sopra midollari. Ad esempio l’angina pectoris si manifesta frequentemente con dolore all’arto superiore sinistro, la colica epatica con dolore a livello della scapola destra.

Si può affermare che la stimolazione nocicettiva inizia nelle terminazioni periferiche, A-d e C, ma per così dire è interpretata ad iniziare dal primo relè che avviene a livello delle corna dorsali del midollo spinale, poiché lì incontrano i gruppi di cellule.

L’organizzazione delle vie ascendenti è molto complessa, ad esempio una sola fibra ascendente può proiettarsi a livello reticolare e talamico.

Nota la complessità dei fasci ascendenti che conducono il messaggio nocicettivo nelle varie regioni risulta evidente che è sempre più difficile seguire il percorso di tali messaggi nell’ambito del Sistema Corticale, numerose sono le aree cerebrali implicate. Attualmente studi anatomici su ratti e scimmie hanno dimostrato che i neuroni talamici si proiettano massivamente a livello della corteccia somestesica primaria.

Il ruolo delle regioni talamiche che ricevono proiezioni dirette del midollo spinale potrebbero essere implicate nelle risposte motorie conseguenti all’applicazione di uno stimolo doloroso. Numerosi studi hanno dimostrato l’intervento di diverse strutture della formazione reticolare bulbare, pontina e di strutture talamiche dove si proiettano tali vie. Tenendo conto delle proiezioni di tali regioni a livello dei nuclei striati sembra che esse possano contribuire alla attivazione dei sistemi di difesa contro un’aggressione nocicettiva.

La dimostrazione della via spino-ponto-amigdala è relativamente recente e fa comprendere il ruolo della paura.

La modulazione del messaggio nocicettivo non è rigida. Nei diversi livelli del circuito il trasferimento dell’informazione è costantemente modulato da diversi sistemi di controllo. Già il sistema presente a livello del corno dorsale non può essere considerato come semplice mediatore tra nervi periferici e cervello.

Nel ’65, Melzack e Wall hanno proposto una teoria che, seppur parzialmente dimostrata, ha consentito di modificare i precedenti interventi che si basavano sulla interruzione o distruzione delle vie e relè del dolore, con sezione dei nervi, di radici dorsali, cordotomie e altre simili. Gli interventi ablativi hanno lasciato il posto alle tecniche di neurostimolazione che rafforzano l’attività dei sistemi di controllo inibitori. I due autori hanno proposto una teoria del dolore detta del gate control, teoria del cancello, che attribuisce un ruolo importante alle integrazioni midollari.

Attualmente si va dimostrando che la stimolazione centrale libera endorfine, l’ipotesi quindi è che esista un sistema analgesico endogeno, che ha il suo locus in diverse strutture mesencefaliche, pontine e bulbari. Esso farebbe parte di un anello di feed-back negativo attivato da stimolazioni intense provocando di conseguenza l’inibizione della trasmissione dei messaggi nocicettivi a livello midollare.

La Rivista Nature ha pubblicato il risultato di una ricerca di un gruppo di scienziati della University of California di San Francisco guidato da Luc Jasmin e Peter Ohara. La ricerca ha dimostrato che modificando i livelli di una determinata sostanza in un’area precisa della corteccia cerebrale, si può modificare sensibilmente la soglia del dolore. Così, se si inserisce in una zona del cervello dei ratti nota come insula, un gene che induce le cellule cerebrali a produrre maggior quantità di un neurotrasmettitore chiamato GABA si ha una notevole riduzione della sensazione dolorosa. Questo risultato si ottiene anche aggiungendo direttamente il GABA nell’insula.

Alberto Granato che ha partecipato agli esperimenti aggiunge che ci sono molti legami anche con l’amigdala la quale vi partecipa inserendo le emozioni come l’ansia o la paura.

 

Aspetti evolutivi del dolore.

Nel neonato i sistemi anatomici, funzionali, neurochimici sono sufficientemente sviluppati già alla nascita da permettere la percezione del dolore. Si può affermare con certezza che i neonati sono sensibili al dolore, come anche allo stress. I neonati in terapia intensiva sottoposti a ripetute procedure spiacevoli trattengono il respiro o si addormentano come difesa.

Nella prima infanzia la percezione del dolore è più acuta perché i sistemi nervosi discendenti di controllo, che inibiscono la trasmissione del dolore, sono immaturi.

I lattanti ed i bambini in età prescolare rispondono soprattutto con pianto, movimenti massicci e tentativi di fuga dallo stimolo doloroso.

In età scolastica e in adolescenza sono più comuni la presenza di smorfie di dolore, trasalimento o descrizioni verbali.

Solitamente i bambini dopo un intervento chirurgico tornano prima dei grandi a giocare normalmente.

Prima dei sei mesi il dolore arriva ad avere un impatto duraturo sul comportamento e produce un ricordo senza parole perché le aree del linguaggio non sono attive.

Ogni età ha le sue paure ed i suoi dolori:

 

Influenza dello sviluppo cognitivo sul dolore.

Lo sviluppo cognitivo influisce la diversa concezione che i bambini hanno della natura, del trattamento e della causa del dolore.

Nei bambini dai due ai sette anni, che presentano un tipo di pensiero preoperatorio, le definizioni di dolore sono imperniate sugli aspetti fisici percettivamente dominanti. Un bambino di tre anni ad esempio può dire “Mi faccio sangue” invece che usare l’espressione “Mi fa male”.

Il gruppo dei bambini dai due ai sette anni tendono  a credere ai propri sensi.  Per esempio hanno molte difficoltà a convincersi che una puntura dolorosa possa davvero farli star meglio, così può succedere che non denuncino il dolore per paura delle punture intramuscolari.

A questo stadio evolutivo inoltre due eventi possono venir associati e generalizzati perché accadono contemporaneamente. Per esempio il bambino viene portato dal medico per una vaccinazione, da allora si convince che ogni visita medica comporti una puntura. I bambini a questa età spesso non colgono il nesso tra dolore e malattia. Per esempio possono affermare che “Il dolore è dove fa male” o “Il dolore è nella testa”.

I bambini dagli otto ai dieci anni, che presentano un tipo di pensiero concreto, cominciano ad usare analogie fisiche per descrivere il dolore e mostrano consapevolezza dell’effetto del dolore sullo stato d’animo di chi soffre. I bambini a questa età comprendono che vi è un rapporto tra dolore, sintomi e malattia. Non possiedono un’idea chiara sulle cause del dolore. Possono comprendere questa formulazione: “La chemioterapia è come un veleno che uccide il cancro”.

I ragazzi che hanno dagli undici ai quattordici anni, che presentano la capacità di fare delle operazioni logiche formali,  tendono a dare una definizione del dolore sia fisica che psicologica, cercando di affrontarlo, sopportarlo stoicamente. A questa età riescono a capire in modo coerente ed elaborato le interazioni fisiologiche tra salute, malattia e dolore.

Bisogna ricordarsi sempre che sotto l’effetto dello stress il livello e funzionamento del pensiero, sia nei bambini e sia negli adulti, può regredire ad uno stadio più primitivo.

Le capacità di ragionamento astratto vengono raggiunte solo nell’adolescenza, i bambini non possiedono questa capacità, non tenerne conto altera la relazione e di conseguenza la comunicazione adulto-bambino.

I bambini molte volte prendono le espressioni metaforiche in termini concreti e non astratti. Se sentono che una persona è stata buttata fuori dal posto di lavoro può pensare che sia stata fisicamente scaraventata dall’edificio. Così bambini o anche adulti immaturi di fronte ad espressioni del tipo strappo, ti taglio possono rimanere disorientati, spaventati da trigger verbali.

Delle volte meglio per dare delle spiegazioni l’uso del disegno è migliore rispetto all’uso delle parole. Ad esempio si può utilizzare il disegno per spiegare dove entra il liquido della flebo. Allo stesso modo potrà essere descritto il percorso che si segue in ospedale per raggiungere un certo reparto. In modo analogo si potrà chiedere al bambino di utilizzare il disegno ed i colori per esprimere le sue domande, i propri stati d’animo.

 

Lo sviluppo affettivo e il dolore.

Anche lo sviluppo affettivo del bambino è importante nel rendere soggettivi i vissuti e le reazioni nella situazione di dolore, e in particolare lo sviluppo del suo senso di sicurezza. Questo riguarda anche l’adulto e l’anziano anche perché il dolore fa regredire la persona a fasi evolutive precedenti.

Per i teorici dell’attaccamento, Bowlby e Ainsworth, esistono importanti e determinanti connessioni fra il senso di sicurezza e la capacità di reagire in maniera adeguata ad una situazione di disagio e sofferenza. La sicurezza consiste nella sensazione interna di fiducia e di certezze. La sicurezza può essere acquisita solo dopo aver vissuto esperienze di relazione con un altro, attraverso cui sia stato possibile sperimentare sensazioni positive di contenimento, alleviamento delle tensioni, calore.

Alcuni esempi di sicurezza richiamano il concetto di holding, di handling e sono l’essere tenuti tra le braccia, essere guardati negli occhi e sentirsi riconosciuti, aggrapparsi a qualcuno. Se il bambino, come afferma Winnicott, può usufruire di ripetute esperienze di contenimento, introietterà una immagine positiva di Sé, in grado di sostenere e abbracciare dall’interno e questo gli permetterà di affrontare con maggior autonomia emotiva le situazioni di sofferenza.

 

Lo sviluppo sociale ed il dolore.

Molti comportamenti vengono appresi nell’infanzia e plasmati nell’età adulta. Il bambino impara ben presto che al dolore si reagisce con il pianto per essere accuditi e che il conforto da parte di una persona amata dà sollievo al dolore. Il bambino viene inoltre influenzato profondamente dagli atteggiamenti dei genitori nei confronti del dolore; alcune famiglie dimostrano una eccessiva preoccupazione anche per piccoli malanni, mentre altre possono essere noncuranti anche di fronte a ferite molto gravi.

Nel caso di bambini che non affrontano bene il dolore si deve cercar di capire i modelli proposti dai genitori ed il setting famigliare. Si possono porre delle domande come ad esempio Come reagisce la mamma o il papà di fronte al dolore?, Il papà manca spesso da lavoro per dolori o malattie?, Qualcuno in famiglia o un tuo caro conoscente ha avuto di recente una malattia?

Dobbiamo inoltre accertarci se i familiari si propongono  come modelli positivi, oppure  se cedono facilmente allo sconforto di fronte sofferenze anche lievi, senza mobilitare le loro risorse personali.

Date le difficoltà nel bambino di esprimere con le parole la propria esperienza  è indispensabile, per una corretta valutazione del dolore, ricorrere al colloquio con i genitori per capire come normalmente reagisce allo stimolo doloroso, all’ansia e alla paura.

Tuttavia, rivolgere le domande sul dolore esclusivamente ai genitori è limitante perché ci priva della possibilità di ascoltare la descrizione e interpretazione dei sintomi e priva il bambino della possibilità di diventare soggetto attivo. Per ottenere i vari punti di vista è utile ascoltare i problemi separatamente con i singoli familiari.

Un altro aspetto sociale importante da prendere in considerazione è se sia opportuno o meno la presenza dei genitori durante le procedure dolorose. Da un sondaggio è risultato che il 99% dei bambini ha dichiarato che la cosa che li aiuta quando sentono il dolore è avere accanto un genitore. Certamente la presenza dei genitori richiede che il personale addetto fornisca al caregiver di riferimento istruzioni precise su come suggerire al bambino le strategie più efficaci per fronteggiare il dolore. Verrà poi scelto il genitore meno ansioso e più rassicurante.

 

La reazione empatica al dolore altrui.

La rivista Nature ha riportato uno studio svolto da psicologi italiani, Alessio Avenanti e Salvatore Aglioti, dove viene dimostrato che la risposta empatica al dolore altrui è legata a cambiamenti neurali in precise strutture cerebrali. L’attività della corteccia motoria è stata valutata mentre dei volontari guardavano un videoclip in cui un ago penetrava in una mano, un cotton fioc toccava la mano nello stesso punto e un ago penetrava in un pomodoro. Si è visto che mentre guardavano l’ago entrare nella mano il loro sistema motorio riduceva l’eccitabilità, come se essi stessi provassero dolore. Quanto più i volontari ritenevano che l’altro soffrisse, tanto più risultava ridotta l’attività della corteccia motoria. Il fenomeno chiamato dai due autori contagio somato motorio scatta alla vista del dolore. Questo tipo di empatia probabilmente serve ad imparare a come reagire al dolore.

 

Abuso della definizione psicologica del dolore.

Quando la causa del dolore (dolore addominale, cefalee, dolore agli arti) è ignota vi è la tendenza a fare una diagnosi di dolore psicogeno, come se il paziente non provasse dolore o come se in ogni caso si trattasse di un dolore immaginario.

In realtà il dolore non è né puramente organico né solamente psicologico, ma è sempre la risultante di fattori organici, psicologici e sociali.

Un dolore può essere funzionalmente connesso ad una causa esterna come ad esempio un dolore addominale che si manifesta subito prima di un compito in classe e passa non appena l’alunno ha superato la prova. Anche in questo caso il dolore ha delle componenti psicologiche, sociali ed anche organiche perché l’alunno sente realmente dolore. La situazione diventa più complicata quando ci troviamo di fronte ad una fobia scolastica e nello stesso tempo è presente una malformazione intestinale.

 

Il processo di autocura.

Il ruolo di chi aiuta non dovrebbe essere solo quello di curare, ma anche quello di attivare nel paziente i processi psicologici interni di autoguarigione, di prendersi cura da solo.

“Aspetta che faccio io, faccio da solo” è un ritornello molto frequente nei bambini e in generale loro vogliono fare ancor prima di saper fare. Questa è una disponibilità del tutto particolare e precoce nei bambini. Se possono sentirsi parte attiva nella propria guarigione, trovando i modi di alleviare in parte l’ansia e il malessere, i risultati delle cure farmacologiche sono migliori.

I bambini possiedono in modo naturale questo senso di padronanza del corpo perché lo stanno vivendo nella loro età.

Un altro aspetto importante per l’utilizzazione delle strategie psicologiche è che i bambini sono in uno stato di stretta integrazione tra i processi consci ed inconsci, tra realtà e fantasia, così l’apprendimento avviene a vari livelli di coscienza simultaneamente. In altri termini i confini tra fantasia e realtà sono fluidi e gli permettono di entrare rapidamente in uno stato di coscienza alterato in cui è possibile modificare sensazioni, percezioni, esperienze.

 

La rabbia e la passività.

Il dolore si associa spesso a due tipi di livelli elevati la rabbia in primis mentre altre volte troviamo la passività. Più marcato appare il senso di impotenza e maggiore sarà la sensazione di rabbia o passività.

L’intervento psicologico a questo livello consiste nel cercare, assieme al paziente, delle strategie adeguate e socialmente accettabili di espressione della rabbia.

Se il senso di rabbia venisse etichettato come negativo la persona si sentirebbe in colpa. Se il senso di rabbia venisse compresso, inibito la sua energia troverebbe delle vie di sfogo alternative, così la persona potrebbe inconsapevolmente dirigerebbe verso se stessa o verso l’ambiente l’aggressività distruttiva.

Nel caso di una risposta passiva al dolore, la sua energia potrebbe trasformarsi in una patologia di tipo depressivo.

 

Dolore e senso di colpa.

Esiste, in particolare in alcuni adulti con Super Io rigido e sadico, un pensiero disfunzionale così enunciabile: Se sono malato è colpa mia … io sono responsabile della mia malattia … è colpa mia.

Questo è un pensiero presente alcune volte nei pazienti oncologici, per cui è importante che lo psicologo intervenga con un lavoro di decolpabilizzazione o desensibilizzazione verso il senso di colpa.

Come esiste l’attribuzione di colpa e l’accettazione di responsabilità, così esiste la malattia psicosomatica e la salute psicosomatica. In altri termini se possiamo involontariamente renderci malati allora potremo aiutarci a guarire. E’ questa accettazione della responsabilità e conquista del senso di padronanza che avvia il processo trasformativi della guarigione.

 

Valutazione del dolore nel bambino.

Per un operatore sanitario è importante riuscire a valutare i livelli di intensità soggettiva del dolore. Nella valutazione del dolore nel bambino dobbiamo considerare il livello cognitivo raggiunto, la competenza linguistica, lo sviluppo affettivo e sociale, l’esperienza del bambino e dei familiari di fronte al dolore.

È indispensabile, per una corretta valutazione del dolore in uno specifico bambino, oltre all’osservazione clinica, un colloquio con i genitori che permetta di individuare i comportamenti caratteristici nella reazione allo stimolo doloroso, agli stati d’ansia e alle paure.

È importante fare riferimento a quello che ci dice il bambino, anche nella forma di fantasie. Per facilitare la comunicazione con il piccolo paziente sono stati sperimentati alcuni utili e semplici strumenti come le tavole psicologiche, cioè una serie di disegni in cui il bambino deve riconoscersi e che ritraggono varie situazioni, diversi stati d’animo come la risata, il pianto, la rabbia, la tristezza.

Un altro esempio di questo tipo di stimolo comunicativo è la scala rappresentata dal disegno delle sei faccine in sequenza che dimostrano espressioni di dolore di intensità sempre più forte (Wong/Baker).

Un altro strumento utile con bambini in età prescolare è la Scala del poker dei pezzetti (Hester 1979) rappresentativi dell’intensità del dolore. Permettono al bambino di far comprendere concretamente all’operatore o ai genitori quanto dolore ha.

Anche il colore può essere utile per valutare l’intensità e la sede del dolore.  La Scala dei colori di Eland usa delle figure che rappresentano il corpo umano e dei pennarelli colorati. I bambini devono scegliere un colore che significhi per loro nessun dolore, un po’ di dolore, dolore forte, dolore fortissimo. Devono poi colorare nel disegno la parte del corpo dove sentono male.

La figura del corpo umano può essere spesso usata per indicare la sede del dolore dato che è difficile per i bambini conoscere le parti anatomiche o vi può essere imbarazzo nel nominarle.

Dialogare con il paziente non solo aiuta a valutare il dolore, ma può rientrare a far parte dei presidi d’intervento psicologico di cui l’operatore dispone. In alcuni casi, infatti, parlare col bambino o distrarlo con una favola o con dei giochi può aiutarlo a tranquillizzarsi e quindi a dare meno importanza al dolore che di conseguenza diminuisce anche di intensità e frequenza.

 

Il dolore e le strategie psicologiche.

 Lo scopo dei metodi psicologici di fronteggiamento del dolore è quello di potenziare le risorse e le normali difese psicologiche del paziente riducendo al minimo il dolore, l’ansia, il disagio, lo stress, i sensi di colpa, il disturbo depressivo. La persona apprendendo un metodo si trova ad avere in mano uno strumento da utilizzare nel dialogo e nel controllo del dolore.

 

L’operatore deve rivolgersi direttamente al bambino, cercando con rispetto di incontrare il suo sguardo, mentre gli parla con calma, alla sua altezza. L’intervento deve essere attivo, informale, coinvolgente. Il contatto oculare va sempre modulato in particolare con bambini autistici, bambini ipersensibili.

Il linguaggio verbale deve essere adeguato all’età del paziente, le parole devono essere semplici e concrete. Il tono della voce caldo, affettuoso, tranquillo, può bastare da solo a tranquillizzare, definendo il contesto come non minaccioso.

Descriveremo ora le cose da fare e quelle da non fare per poi passare alle tecniche di distrazione che si possono proporre, tratte da alcuni opuscoli elaborati dall’Istituto Mayer di Firenze.

È stata la signora Benini che un giorno, venuta a Treviso per un seminario sul dolore, che mi ha donato questo materiale con l’intento che fosse divulgato il più possibile. In questi anni di lavoro sia con i bambini e sia con gli adulti effettivamente ho cercato di sensibilizzare il personale sanitario al trattamento del dolore anche da un punto di vista psicologico, ovvero umano.

Da fare.

L’operatore deve sempre rassicurare il paziente che crede al dolore che dice di provare. Questo perché il dolore, reale o immaginario, è sempre un fenomeno altamente soggettivo e quindi in un certo qual senso è sempre vero.

In situazioni di emergenza o se il paziente molto spaventato sarà difficile attirare la sua attenzione, si può allora iniziare l’approccio chiedendo di guardarvi negli occhi, quindi comunicare il vostro nome, chiedendogli di imitarvi nel fare un bel respiro profondo, trattenerlo per un momento e poi buttare fuori l’aria. Se la persona ha tensioni che si manifesta con tremori, brividi si deve suggerire di lasciarli andare e non trattenerli.

Quando la situazione non è critica, possiamo avere del tempo a disposizione, si può allora procedere dicendogli che si vorrebbe suggerire una tecnica per distrarsi e aiutarlo a metterla in pratica; aggiungendo certamente la tecnica di distrazione non cancellerà il dolore ma siete sicuri che può renderlo più sopportabile. Con i bambini piccoli possiamo usare la parola magia invece di tecnica poiché il mondo fantastico è presente in loro e parallelo al mondo reale.

Ditegli che sapete che ciò che state per suggerirgli può sembrare sciocco ed irrispettoso per il dolore che sta provando, ma questi suggerimenti potranno essergli utili, per questo motivo li farete assieme a lui, per dimostragli che siete seri nell’intento e così non si sentirà troppo imbarazzato. Quindi si inizierà proponendo delle attività.

La modalità che utilizzo con genitori che hanno bambini con sindromi dolorose è quella di vedere assieme un filmato dove può osservare le varie strategie psicologiche e scegliere quella che ritiene più consona per il figlio. Successivamente procedo con la fase di sperimentazione durante la quale il genitore, in poltrona,  vive la strategia e l’apprende.

Da non fare.

Non dovremmo aspettarci e quindi non dovremmo far credere che le tecniche di distrazione cancellino il dolore.

Non dovremmo mai dire al paziente che è solo ansioso o che il suo dolore non è così forte come pensa, oppure che tutto andrà bene.

Non bisogna aver paura di ridere con il paziente mentre gli viene proposta una tecnica di distrazione. Ridere è di fatto un evento molto efficace, è già un primo risultato di contrasto della sensazione dolorosa.

La fase della preparazione.

Quello che si può fare dipende non solo dalla nostra capacità empatica e creativa, ma anche da tutto quello che noi riusciremo a conoscere sulla vita quotidiana di quel bambino, è importante allora dedicare qualche minuto ai genitori per conoscere le abitudini fondamentali del figlio.

Alcune domande fondamentali sono:

L’operatore dovrebbe poi spiegare al bambino chi è e cosa può fare per aiutarlo a star meglio, dire cosa troverà nella stanza, che cosa c’è nel carrello. Le frasi usate dovrebbero essere semplici e tali da far capire che vi rendete conto di quello che prova e di quello che pensa: “Credo che preferiresti essere da qualche altra parte. Se non fossi qui dove ti piacerebbe essere?”. Tutte le espressioni verbali, i desideri, le fantasie che il bambino riferirà allo psicologo potrebbero essere un buon suggerimento per fare un esercizio di rilassamento combinato con una visualizzazione.

Se si viene a conoscenza che a casa ha un animale domestico possiamo chiedergli: “Che cosa pensi che farà (nome dell’animale) quando ti vedrà arrivare?”. Questo è un modo indiretto anche per fargli capire che a casa starà meglio.

L’operatore può cercare di mettere in rilievo qualche aspetto positivo dicendo per esempio “Non c’è niente di male se strilli”, oppure “Che bei lacrimosi limpidi che hai. Sono belli e chiari che ti puliscono gli occhi”. Ai bambini ingenerale piace sentirsi dire che hanno il sangue forte, i muscoli sviluppati, delle belle scarpe.

Si può aiutare il bambino a sentire la gradazione del dolore: “Hai mai sentito una puntura di una vespa … sì! … quella volta era un male 10, mentre un male 5 quando hai inciampato e sei caduto, un male 1 quando ti ha graffiato il gattino. Ora che numero è?”. Per proporre questa tattica ovviamente il bambino deve essere in possesso del concetto di numero.

Al Pronto Soccorso è utile avere a portata di mano blocchi di cubetti di vario colore spiegando poi in questo modo il concetto di quantità di dolore: “Quando mio figlio si è rotto il braccio da principio sentiva una male così, come una torre di quattro cubi rossi, dopo un po’ era come quattro cubi blu, poi erano un po’ rossi e un po’ blu, dopo un altro po’ di tempo era rimasto solo un cubo bianco”.

Per comunicare con simpatia ed effetto si possono utilizzare delle bambole o animali di pezza. Parlare ad un bambino utilizzando questi oggetti ludici è molto più famigliare ed il mondo circostante appare di conseguenza meno minaccioso.

Chiedere cosa preferisce.

Il paziente può scegliere di descrivere gli oggetti presenti nella stanza o in una rivista, una foto. Se dovesse scegliere una canzone l’operatore può chiedere di bisbigliare assieme o scandire con la bocca le parole della canzone battendo assieme il tempo. Gli si può suggerire inoltre che può cantare  o parlare più velocemente quando il dolore si fa più intenso, rallentando quando diminuisce.

Se possibile si dovrebbe iniziare la tecnica prima che il dolore si presenti. Bisogna sempre spiegare al paziente cosa si sta facendo e perché si sta facendo, chiedendo alla fine se gli è servito. Indipendentemente dai risultati si dovrebbe pregare il paziente di ascoltare le idee proposte.

Una tecnica paradossale.

Nel materiale donatomi dalla signora Benini c’è la storia reale di Mia una bambina di tre anni affetta da leucemia, sottoposta a trattamenti medici massicci ed aggressivi. Durante il ricovero, il gioco e il divertimento sembravano non far più parte della sua vita, così un giorno tutto il personale coinvolto nella cura assunse un atteggiamento improntato su una modalità ludica. Inizialmente il metodo scelto fu paradossale così che quando Mia iniziò a piangere le venne chiesto: “Per piacere, Mia, puoi strillare più forte? Ancora più forte!”. La richiesta venne proposta con gentilezza, evitando atteggiamenti di derisione.

Poi ancora le venne detto: “Perché non ci fai sentire un urlo più forte, più bello, più grande che puoi?… Sei proprio brava a gridare. Ora che cominci a stare meglio e ti senti più in forze chissà se non ti piacerebbe anche ascoltare delle storie. Ho qui una storia che parla di nonna Tidlley, che è una signora molto brava e coraggiosa, coraggiosa come te. E mi piacerebbe che tu sentissi che cosa ha fatto per diventare tanto coraggiosa….”. Perplessa e disorientata cominciò a prestare attenzione e a sperimentare delle nuove forme per affrontare la situazione. Ascoltò il racconto prontamente personalizzato e adattato dagli operatori alla situazione.

La sorpresa.

La tecnica della sorpresa ha la funzione di interrompere l’attenzione focalizzata del bambino sul dato percettivo del dolore, catturando ed indirizzando il suo interesse in una nuova direzione, trasformando così la paura che deriva dal dato percettivo più evidente.

Un esempio è quello di un bambino di quattro anni in lacrime, ferito ad una mano da un vetro. Era terrorizzato dal sangue che usciva dalla ferita molto profonda. L’infermiera notò il terrore del bambino alla vista del sangue e gli disse in tono autorevole e sicuro: “Che bellissimo sangue rosso vivo che hai. Guarda! Non è una meraviglia? Ha un aspetto molto sano. Presto formerà una crosta spessa e solida per proteggere la pelle mentre ti ricresce. Ora puliremo per bene la mano.

Poi l’infermiera lo invitò a guardare come il sangue si era scurito un poco: “E’ perché si sta asciugando di già … non è meraviglioso che il tuo corpo sia capace di guarirsi da solo così alla svelta?”

Le bolle di sapone.

E’ una tecnica semplice ed efficace che si può applicare ad iniziare dai bambini in età prescolastica, serve a distrarli dalla fonte del dolore durante una procedura medica.

 

Ascolto in cuffia.

Ai bambini piace ascoltare in cuffia musica o racconti registrati, in situazioni sia di dolore acuto che cronico la musica è un’ottima tecnica di distrazione.

 

Distrazione visiva.

Le fonti di distrazione visiva sono varie: pitture o manifesti applicati al soffitto, visori tridimensionali con scelta di foto interessanti, televisione i videocassetta.

Videogiochi.

I bambini più grandi apprezzano questo tipo di distrazioni, gli operatori dovrebbero ricordarsi di variare la scelta del materiale da utilizzare.

Strategie cinestesiche.

Questa tecnica è adatta in particolare per bambini di due anni che ancora non sanno parlare. Ecco un esempio tratto sempre dal materiale del Mayer, Daniel aveva riportato ustioni di primo e secondo grado ad una mano e quindi doveva essere quotidianamente medicato. Il materiale necessario alla medicazione veniva preparato prima dell’inizio della procedura, il bambino quindi entrava con la madre che lo prendeva saldamente in grembo coccolandolo e parlandogli con dolcezza. Quando il bambino poi cercava di togliere la mano da curare la madre gli prendeva l’altra mano e gliela batteva ritmicamente sulla gamba cantando una filastrocca che conosceva. Questa distrazione cinetica ed uditiva lo aiutava ad affrontare quei momenti altrimenti eccessivamente angoscianti e dolorosi. Dopo dieci giorni il bambino osservava la procedura con un curioso distacco. Possiamo dire che fattori decisivi furono la posizione sulle ginocchia della madre ed il coinvolgimento del genitore nella relazione con il figlio.

La storia preferita ed il respiro.

Rachael era una bambina di cinque anni intelligente ed introversa, affetta da artrite reumatoide. Il trattamento farmacologico non bastava ad eliminare il dolore, l’équipe pensò allora di utilizzare una tecnica psicologica per aiutarla a controllare il dolore. Si pensò i utilizzare la sua storia preferita, quella di Peter Pan.

Dopo averla fatta sedere comodamente le venne chiesto se le interessava imparare un modo divertente per aiutare le sue articolazioni a star meglio usando la fantasia. Una volta avuto il suo consenso si fece partire la registrazione insegnandole il modo per utilizzarla a casa ogni volta sentisse il bisogno.

La storia contiene in sé vari elementi interessanti e tra questi l’immaginazione del senso di leggerezza fondamentale per chi soffre di artrite reumatoide dove vi è una sorta di reazione sensoriale alla forza di gravità.

Le venne chiesto di iniziare tirando un bel respiro: “Mentre butti fuori l’aria io ti insegnerò a diventare leggera leggera.

E’ la storia di Peter Pan. Lo sapevi che una volta Peter Pan perse la sua ombra? Lui diceva che gliel’aveva rubata un cane e così andò da Wendy, una bambina intelligente e coraggiosa, e le chiese di aiutarlo. Lui sapeva che lei poteva fare un sacco di cose, come riattaccare le ombre con l’ago e il filo.

Poi invitò Wendy a volare insieme a lui. “Volare???” disse Wendy “ma io non so volare!!! I miei piedi sono attaccati al pavimento”.

“E’ facile” rispose Peter “tutto quello che devi fare è provare … quando butti fuori l’aria diventi leggere leggera leggera”.

Wendy scoprì che bastava solo tirare un bel respiro e soffiare fuori l’aria dai polmoni per diventare più leggera. Era una cosa straordinaria sapeva volare veramente. Quanto più si alzava in volo tanto più leggero, tanto più pieno di benessere sentiva il suo corpo. Era come se lasciasse tutta la pesantezza, tutti i mali e tutte le preoccupazioni giù a terra. Anche tu potresti fare come Wendy.

Ti piacerebbe? Sarai sorpresa a vedere come si sentiranno bene, fresche e riposate le tue articolazioni mentre ti alzi in volo senza sforzo su nel cielo.”

Da quel momento la storia si trasformò in un racconto di come separarsi dal dolore e volare su dove brilla un sole bello. Alla fine della seduta le venne consegnato la registrazione da usare quando l’artrite le dava problemi.

Le tecniche di rilassamento.

Per dolori lievi o episodi dolorosi brevi si possono utilizzare delle tecniche che richiedono tempi brevi, come ad esempio il rilassamento della mandibola, mentre per dolori cronici si possono utilizzare forme di rilassamento profonde associate a visualizzazioni o ricordi piacevoli.

1) La tecnica del respiro può essere utilizzata durante una pratica medica o prima di una operazione, è facile da utilizzare e richiede pochi secondi.

Indicazioni per l’insegnamento al paziente ed ai familiari:

“Stringi i pugni, inspira profondamente e trattieni l’aria per un momento.

Espira lentamente e lasciati andare come tu fossi una bambina di cenci.

Comincia a sbadigliare”

2) Il rilassamento della mandibola richiede tempi brevi ed è immediatamente efficace, questo perché il rilassamento di un’area limitata condiziona il resto del corpo.

“Lascia cadere lentamente la mandibola, come se stessi facendo un piccolo sbadiglio.

Abbandona la lingua sul fondo della bocca.

Lascia morbide le labbra.

Respira lentamente, regolarmente e ritmicamente: inspira, espira, rilassati.

Cerca di non formare parole con le labbra e cerca di non pensare.”

3) La respirazione lenta, ritmica, addominale richiede poco tempo all’insegnamento.

Indicazioni per l’insegnamento al paziente e familiari.

“Inspira lentamente e profondamente.

Mentre l’aria esce fai attenzione al tuo corpo e senti come si rilassa….senti che la tensione abbandona il tuo corpo.

Ora inspira ed espira lentamente e regolarmente al ritmo che ti è più comodo.

Ora fai attenzione ai tuoi addominali….se il movimento della respirazione viene fatto con gli addominali ti rilasserai con maggiore facilità.

Puoi immaginare di fare questo in un luogo che hai conosciuto e chi dava tranquillità.

Termina con un respiro profondo.”

 

Le tecniche di visualizzazione giocosa.

Un bambino di due anni e mezzo con sospetta otite dell’orecchio medio stava subendo la visita, il pediatra per interrompere le sue grida iniziò in tono giocoso a dirgli: “Fermo … devo guardare bene per trovare il coniglietto che ti è saltato dentro l’orecchio … Ah!!! Meraviglia … ora lo vedo che salta oltre la siepe … lo sai cosa mi fa??? Mi fa i versi con il naso”.

Sarah una bambina di quattro anni era stata ricoverata per un grave eczema e non tollerava le applicazioni di creme, piangeva e scalciava. Un giorno le venne chiesto con semplicità: “Ti piacerebbe se la pelle smettesse di farti male e si sentisse proprio bene?”. Sì rispose la bambina. “Bene allora si potrebbe usare la tua fantasia per poterla aiutare!!! … guarda questa nuvola magica che c’è qui accanto al tuo letto. Ne potrei raccogliere un po’ con la mano e metterla sulla gamba?”. La nuvola venne raccolta con un gesto magico e partecipato nel cavo della mano e deposta come impacco sull’area della pelle arrossata senza toccarla. “Questa è una nuvola magica e ti farà sentire bene la pelle. La nuvola è bravissima a proteggere la pelle … allora tu mi devi dire dove ti serve”. La bambina indicò il gomito, così il rito della nuvola e degli impacchi continuò con la sua collaborazione.

“Ora ti chiederò di soffiare in questo modo per aiutare la nuvola a rimanerti sopra la pelle mentre si applica piano piano la crema”. La cadenza della respirazione forzata è ideale per il controllo dell’ansia e così veniva ritmata con sapienza dall’operatore mentre applicava la crema.

Laura era una bambina di nove con leucemia, a lei piaceva molto andare in bicicletta e non le fu difficile rilassarsi mentre immaginava di correre in bicicletta nel giardino con le amiche fra alberi e aiuole fiorite.

Durante una visualizzazione le venne chiesto di immaginare qualcosa per controllare volontariamente il dolore. Lei allora decise di immaginare una manopola rosa come interruttore graduale che poteva alzare, abbassare e spegnere quando voleva.

Andy era un bambino di cinque anni alla quarta ricaduta della leucemia, dotato di notevoli capacità immaginative e di memoria fotografica, se ne serviva anche spontaneamente per assaporare viaggi, avventure. In condizioni di rilassamento gli venne chiesto di mettere a punto un sistema di commutatori per azzerare il dolore. Egli allora descrisse un complicato sistema di linee nervose viola e interruttori gialli che collegavano le sue gambe ed il cervello. Molto si insisteva sul fatto che era lui a comandare gli interruttori. In questo caso dopo alcune sedute il bambino rifiutò di prendere farmaci per il dolore dicendo che preferiva i suoi interruttori. Tutto ciò continuò fino alle ultime tre settimane di vita.

 

Studi efficacia con rilassamento e visualizzazioni nel dolore.

VG = visualizzazione guidata

PMR = rilassamento muscolare progressivo

 

In sintesi questi ed altri studi indicano che l’utilizzo delle tecniche di visualizzazione guidata e rilassamento è molto limitata e molte volte viene misurata contemporaneamente ad altre tecniche come la musicoterapia, l’ipnosi, il training autogeno, l’aromaterapia e altre ancora. Tutti gli studi selezionati per la revisione, pur limitati, fanno intendere l’utilità della Visualizzazione guidata e del rilassamento per la gestione del dolore in pazienti oncologici in presenza di cancro avanzato metastatico o ricorrente, obbligati o non sottoposti a chemioterapia e/o radioterapia, con  localizzazioni diverse del tumore. Le risposte alle visualizzazioni guidate e rilassamento, in termini di efficacia nella gestione del dolore, risentono delle differenze individuali quali: la capacità della persona di visualizzare-immaginare, l’aspettativa sull’esito della tecnica, ai sintomi concomitanti, alla fiducia nel terapeuta e nella tecnica. La visualizzazione guidata e il rilassamento possono condurre l’individuo a sentirsi in grado di scacciare il dolore, funzionando come metodo di autoguarigione/autocura e per indurre la persona, in un momento di estrema fragilità, a riscoprire le proprie potenzialità nascoste. La visualizzazione guidata e le tecniche di rilassamento, come molte altre CAM, sono un’incredibile risorsa per la professione infermieristica, che necessariamente mantiene una visione olistica della persona e che si concentra sul “prendersi cura”.

Studi efficacia con immaginazione guidata in Recurrent Abdominal Pain.

Weydert J. A., Shapiro D. E., Acra S. A., Monheim C. J., Chambers A. S. and Ball T. M. (2006) Evaluation of guided imagery as treatment for recurrent abdominal pain (RAP) in children: a randomized controlled trial. BioMed Central Pediatrics, 6:29: i bambini che ricevono trattamenti di immaginazione guidata hanno avuto una significativa riduzione dei giorni di dolore e di attività perse a scuola, rispetto ai bambini che hanno imparato solo gli esercizi di respirazione, con benefici a lungo termine. Lo studio dimostra chiaramente che l’immaginazione guidata nei bambini con RAP è clinicamente efficace e non associata ad effetti collaterali apparenti.

Van Tilburg M. A. L., Chitkara D. K., Palsson O. S., Turner M., Blois-Martin N., Ulshen M., Whitehead W. E. (2009) Audio-Recorded Guided Imagery Treatment Reduces Functional Abdominal Pain in Children: A Pilot Study. American Academy of Pediatrics, 124(5): e890 – e897: emerge invece che il trattamento di immaginazione guidata con audio-registrato, ha avuto effetti benefici migliori rispetto alle normali cure mediche nella riduzione del dolore addominale, delle visite mediche e un miglioramento della qualità di vita, oltre alla diminuzione delle attività perse e di giorni di assenza da scuola. I pazienti che non hanno avuto effetti benefici dal trattamento di immaginazione guidata audio-registrata (circa l’1%), devono ciò ad un’inadeguata personalizzazione del trattamento stesso.

Rutten J. M. T. M., Vlieger A. M. (2011) Non – pharmacological treatment for Abdominal Pain. Journal of Pediatric Gastroenerology and Nutrition, 53(2): 39-40: dimostra come tra le diverse opzioni di trattamento non farmacologico disponibili per bambini con RAP, la guided imagery rientra tra le tipologie migliori di intervento; quando il trattamento è personalizzato, gli effetti possono essere migliori e possibilmente più duraturi per alcuni pazienti.

Williams L., Wilkins L. (2005) Chronic Abdominal Pain in Children: A Clinical Report of the American Academy of Pediatrics and the North American Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition. Journal of Pediatric Gastroenterology and Nutrition, Philadelphia, 40:245-248: sottolinea come l’educazione della famiglia sia una parte fondamentale del trattamento.

 

Il dolore e l’arte.

Quando il dolore è invivibile e impensabile il pittore può renderlo visibile tramite l’immagine rappresentabile, possiamo prendere come esempio vari pittori fra i più conosciuti Goya, Van Gogh, Munch, Bacon e molti altri.

Molti artisti con il loro lavoro creativo fanno un vero e proprio percorso auto terapeutico e rappresentativo del loro dolore e della sofferenza. Queste affermazioni e realtà dovrebbero già di per sé farci riflettere sulla importanza strategica delle immagini pittoriche, poietiche, musicali e del uso in ambito clinico.

 

Mark Collen.

Nel 2001 Mark Collen decise di contattare altri artisti come lui con dolore cronico e mettere insieme una collezione online di opere d’arte che esprimessero le diverse facce dell’esperienza dolore.

Mark Collen

Deborah Ann

Helen Tupper

 

Graded motor imagery.

Molti studi evidenziano il collegamento tra dolore cronico e riorganizzazione della corteccia sensoriale primaria. I pazienti con dolore cronico manifestano una alterazione della rappresentazione corticale somatotopica e della capacità di integrare gli stimoli percettivi con la rappresentazione e la discriminazione spaziale destra e sinistra delle parti del corpo e tra parte sana e parte lesa.

La Graded Motor Imagery (GMI) ha come obiettivo il coinvolgimento graduale in tre fasi delle cortecce motorie evitando l’attivazione delle risposte protettive che si associano spontaneamente al dolore.

La Motor Imagery è una tecnica centrale nell’allenamento sportivo e viene definita (Moran et al 2012) come capacità mentale che permette una esperienza motoria in assenza di alcuna attivazione muscolare.

Nella  prima fase si attiva l’immagine motoria implicita con esercizi di discriminazione tra la parte destra e sinistra.

Nella seconda fase si chiede alla persona di immaginare le posture, i movimenti, le parti del corpo senza muoversi. Le ricerche dimostrano che nel mentre immagina i movimenti si attivano i motoneuroni della corteccia primaria.

In tutte le pratiche sportive si utilizza l’immaginazione del movimento e delle sequenze come fase preliminare di training mentale prima dell’esecuzione effettiva. Interessante è lo studio di Pasqual-Leone [[18]] dove descrive come l’abilità di esecuzione di un brano musicale migliora se si immaginano i movimenti prima dell’esecuzione. Questi studi poi sottolineano come sia importante che il paziente immagini se stesso mentre svolge il movimento e non che osservi una terza persona, questo perché si mette in movimento una attivazione corticale cinestesica e non solo visiva. Solo se il dolore aumenta allora si può suggerire la persona di osservare se stessa mentre svolge il movimento.

È molto importante che la persona non viva il movimento come pericoloso o minaccioso, possiamo così suggerire la sperimentazione immaginativa di movimenti che effettua durante la giornata come ad esempio sedersi, o alzarsi dal letto.

La terza fase prevede l’utilizzo dello specchio in modo tale da mostrare per così al cervello l’immagine speculare.

 

Bibliografia.

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[1] Questi argomenti sono stati ripresi dalla Rivista Psycomed, 2019)

[2] Gaskin M. E., Greene A.F., Robinson M.E., Geisser M.E. (1992). Negative affect and the experience of chronic pain, Journal of Psychosomatic Research, 36, 707-713.

[3] Dersh J., Gatchel R.J., Mayer T.G., Polatin P.B., Temple O.W. (2006). Prevalence of psychiatric disorders in patients with chronic disabling occupational spinal disorders. Spine, 31, 1156-1162.

[4] Mee S., Bunney B.G, Reist C., Potkin S.G., Bunney, W.E. (2006). Psychological pain: a review of evidence, Journal of Psychiatric Research, 40, 680-690.

[5] Mitchell P.B., Parker G.B., Gladstone G.L., Wilhelm K., Austin M.P. (2003). Severity of stressful

life events in first and subsequent episodes of depression: the relevance of depressive subtype,

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[6] Smith W.B., Gracely R.H., Safer M.A. (1998). The meaning of pain: Cancer patients’ rating and recall of pain intensity and affect, Pain, 78, 123-129.

[7] Berlim M.T., Mattevi B.S., Pavanello D.P., Caldieraro M.A., Fleck M.P., Wingate L.R., et al. (2003). Psychache and suicidality in adult mood disordered outpatients in Branzi, Suicide and life-threatening Behavior. 33, pp. 242-248.

[8] Mee S., Bunney B.G, Reist C., Potkin S.G., Bunney, W.E. (2006). Psychological pain: a review of evidence, Journal of Psychiatric Research, 40, 680-690.

[9] Singer T., Seymour B., O’Doherthy J., Kaube H., Dolan R.J., Frith C.D. (2004). Empathy for pain involves the affective but not sensory components of pain, Science, 303, 1157-1162.

[10] Craig A.D., Reiman E.M., Evans A., Bushnell M.C. (1996). Functional imaging of an illusion of pain, Nature, 384, 258-260.

[11] Borgo S. (2009). Dolore fisico e dolore psichico: uno studio comparativo. Idee in Psicoterapia, 2, 3, 3-14.

[12] Strong, M. 1998. A bright red scream: self-mutilation and the language of pain. New York, N.Y.: Viking; London: Virago 2000. (Tr. it.:Un urlo rosso sangue. Milano: Frassinelli 1999).

Valmorbida, E., 2015. Fenomenologia dell’autolesionismo. La nuova scena del corpo.  Centre d’etudes en Psychopathologie et Psychanalyse (CEPP). Available to http://dspace.unive.it/handle/10579/6527

 

[13] Testo scritto da Fulvia, una persona con tumore in fase terminale. Ringrazio Fulvia per il suo prezioso aiuto e gli insegnamenti che mi ha trasmesso.

[14]Il termine nocicettivo  è stato introdotto da Sherrington per designare ciò che può provocare un danno tissutale.

[15] Polimodali significa che le fibre nervose sono attivate da stimoli di diversa natura: meccanica, termica, chimica.

[16] Allodinia è quella percezione come dolore di uno stimolo non doloroso, ad  esempio il tocco della mano.

[17]La sostanza P è un peptide costituito da 11 aminoacidi.

[18] Pascual-Leone, A., Nguyet, D., Cohen, L.G., Brasil-Neto, J.P., Cammarota, A., & Hallett, M. (1995). Modulation of muscle responses evoked by transcranial magnetic stimulation during the acquisition of new fine motor skills. J. Neurophysiol,  74, 1037–45.