Quando tutto incominciò


Stefania Trojan: psicologa, psicoterapeuta ITP.

 

Quando tutto incominciò.

 

Questo lavoro raccoglie le testimonianze di vita degli anziani, utenti di quattro Centri Sollievo dell’Agordino, nel tempo del Covid-19. Una raccolta di dati a partire da una riflessione presso il GITIM*.

Tra i provvedimenti obbligatori che le istituzioni hanno dovuto attivare per la tutela della popolazione, a inizio COVID-19, figurano la restrizione dei contatti interpersonali e l’isolamento sociale. Riferendoci agli anziani che frequentano i Centri Sollievo c’è da notare che se da un lato questi interventi sono stati finalizzati a tutelare la loro salute proteggendoli dal rischio di contagio, è  anche vero che con il distanziamento e la conseguente sospensione degli incontri ai Centri, gli stessi anziani sono stati privati di una rete di relazioni, fattore importante  nel contrastare l’isolamento e  funzionali al loro benessere. Gli studi sul fenomeno dell’invecchiamento, infatti, evidenziano il ruolo fondamentale dei contatti sociali nel contribuire alla Qualità della vita dell’anziano fragile, non solo in termini di mantenimento di uno stile attivo e dinamico, quanto anche nel rispondere ai bisogni di sicurezza e di inclusione. Bisogni che si intensificano con l’avanzare dell’età e con la graduale perdita delle proprie autonomie fisiche e cognitive, come nel caso degli anziani dei Centri Sollievo.

A queste importanti riflessioni aggiungiamo altre che riguardano i tempi attuali. Con la pandemia da Covid-19, a determinare l’isolamento non è la lenta e graduale riduzione del mondo relazionale degli anziani, bensì la repentina esigenza di tutelare la popolazione dal pericolo di contagio e da morte per epidemia. In questo contesto, il contatto sociale diviene da risorsa e sostegno per il benessere della persona, l’opposto, ovvero un fattore di rischio: il ritiro non è volontario bensì forzato ed è accompagnato da paura, terrore e colpa per essere potenzialmente vittima o causa della trasmissione del virus. Ma in questo modo l’obbligo a rimanere in casa e l’impossibilità di frequentare i propri simili può attivare ancor più vissuti di solitudine poiché, non trattandosi di ritiro volontario, questa “forzatura” tende ad aumentare il disagio basato sulla discrepanza soggettiva tra la situazione sociale effettiva e quella desiderata.

Da queste considerazioni sono sorte alcune domande: visto l’importante ruolo svolto dai contatti sociali nel favorire una buona Qualità di vita delle persone anziane fragili, come avranno vissuto gli anziani che ogni settimana frequentavano il Centro Sollievo questo periodo di sospensione degli incontri? Come avranno affrontato l’inizio dell’epidemia quando ogni tipo di contatto fisico, anche con i propri cari non conviventi, era completamente bandito? E come vivono ora nella fase due, con le sue restrizioni e imposizioni? Quali emozioni, quali paure, quali incertezze avranno provato? Si saranno sentiti più smarriti, più soli? Che parole, sensazioni, immagini usano per descrivere l’attuale mondo esterno e il loro personale mondo interno?

Le aree indagate, seguendo la traccia di un Questionario sorto e condiviso presso il GITIM*, sono state le seguenti:

- il contesto del quotidiano, allo scopo di rilevare la continuità o discontinuità delle abitudini di vita; quali sensazioni ed emozioni abbiano vissuto; eventuali difficoltà o nuove risorse emerse e come siano state percepite; in fase due la loro capacità di adeguamento e grado di tolleranza ai nuovi comportamenti richiesti come il distanziamento sociale che impedisce di fatto ogni tipo di contatto fisico, l’uso del gel igienizzante nei luoghi chiusi, l’uso della mascherina; come è stata e viene percepita la paura del contagio nei suoi vari aspetti;

- i rapporti familiari al fine di indagare che cosa l’emergenza ha introdotto di diverso rispetto all’ordinario: quali gli aspetti positivi e/o negativi, quali permanenti e/o nuovi, per cercare anche di rilevare la qualità delle interazioni; se e cosa si è scoperto, ritrovato o perduto anche relativamente alle caratteristiche delle dinamiche preesistenti; raccogliere se sono sorte delle paure per qualche familiare in particolare, come è stata vissuta l’esperienza di convivenza in casa su 24 ore o di solitudine ;

- l’area del sé con la ricerca di che cosa ha mobilitato l’impossibilità di uscire, incontrare e vedere altre persone sia che si trattasse dei vicini di casa, familiari, amici o semplici conoscenti; soffermarsi sul senso dell’essere e del fare attraverso una riflessione su come è stato percepito il trascorrere del tempo e come è stato impiegato, se investito in nuove attività, nuovi interessi; come si sono sentiti nel fare, che cosa hanno fatto emergere del passato e di proiezione sul futuro, se sono riemersi particolari ricordi mobilitati da oggetti, attività, dialoghi con i propri familiari oppure da analoghe situazioni vissute o emozioni provate; verificare se vi sono immagini, suoni, odori che sono rimaste impresse e si sono associate al particolare evento che stanno vivendo;

- l’area del sociale, delle relazioni amicali e familiari al fine di verificare se e come il soggetto ha mantenuto dei contatti con la rete sociale tramite telefonate, video-chiamate; rilevare che sensazioni hanno provato dalla mancanza di contatti fisici e dall’impossibilità di ritrovarsi in gruppo al Centro Sollievo;

- l’area della salute, indagare se il loro ritmo sonno veglia è rimasto immutato o se hanno avvertito ipersonnia, insonnia, sonno disturbato; i loro comportamenti alimentari; approfondire se c’è stato adeguato modo di proseguire le cure che regolarmente seguivano o se è stato necessario spostare degli appuntamenti, se si sono recati in ambito ospedaliero e l’impatto con le nuove disposizioni per accedervi;

- l’area dell’autorità/autorevolezza scientifica e politica, per approfondire come è percepita questa dimensione e se l’adeguamento ai comportamenti c’è stato per riconoscimento del valore delle prescrizioni; se c’è fiducia/sfiducia negli esperti, verso le autorità governative;

- il confronto dell’impatto emotivo con l’altro trauma collettivo vissuto recentemente nel 2018, l’alluvione di Vaia.

Sono stati contattati  39 soggetti, 7 M e 32F, dai 67 ai 95 anni che regolarmente frequentavano i quattro centri di Agordo, Cencenighe Agordino, Gosaldo e Rocca Pietore. In due casi, data la gravità del deterioramento cognitivo da non permettere la somministrazione delle domande al/la diretto/a interessato/a, lo stesso questionario anche se in parte riadattato, è stato proposto al familiare convivente.

Dati emersi dalle interviste:

18 sono i soggetti che durante il lockdown sono rimasti soli in casa, mentre i rimanenti 21 soggetti erano in compagnia o di un/a figlio/a o del coniuge.

Per quanto riguarda l’organizzazione della quotidianità, nessuno degli intervistati ha affermato di aver vissuto o subito cambiamenti significativi. Dai loro racconti è emerso che stare chiusi tra le proprie mura domestiche durante il lockdown non è stata una eccessiva sofferenze perché molti di loro già abitualmente passano le intere giornate in casa, a causa della loro precaria deambulazione o perché non hanno alcuna ragione/motivazione per uscire: giornate segnate  da  gesti semplici, ripetiti ma vitali come alzarsi, lavarsi, vestirsi, nutrirsi, una telefonata o visita di un figlio o nipoti (di cui in fase uno hanno sentito la mancanza), sia in fase lockdown come nella fase di ripresa.

A questi comportamenti si aggiungono altri, come sfogliare o leggere una rivista o un libro (Gianna di 83 anni afferma di aver riletto con incanto il Gattopardo), ascoltare la radio locale, seguire qualche talkshow e/o notiziario alla televisione. Qualcuno riferisce di aver seguito regolarmente il notiziario serale dell’Istituto Superiore di Sanità sull’andamento della pandemia nella fase più critica. Maria di 82 anni riporta di aver occupato questo tempo per riordinare gli armadi di casa, aiutata dalla figlia rimasta a casa in smart working. Un’altra signora ha colto l’occasione per riprendere a lavorare a ferri, confezionando un paio di calze per il marito con i gomitoli di lana che conservava nei cassetti e non ricordava più di avere: grande la soddisfazione di scoprirsi ancora capace in questa attività manuale che aveva sospeso da anni!

A chi invece usciva con una certa regolarità, è mancata la possibilità di “fare due passi sotto casa” per una passeggiata, uscire per recarsi al negozio di alimentari del paese, per il pranzo domenicale dai figli, per portare il saluto ai propri cari in cimitero, per la messa domenicale in chiesa. Nell’approvvigionamento di generi alimentari e farmaci, sono stati supportati dai propri familiari, dai volontari o anche dai negozianti che consegnavano la spesa a domicilio. La loro alimentazione non ha subito variazioni. Nella fase uno era cambiata la frequenza con cui ordinavano la spesa: non più di una volta alla settimana, qualcuno anche meno. In fase di lockdown Giuseppina che vive in casa con la figlia e i nipoti, il lunedì mattina, tutti insieme organizzavano  il menù settimanale, in base al quale stendevano la lista della spesa  per tutta la settimana. Tre persone hanno affermato di aver particolarmente apprezzato la loro dispensa, contenente, tra i vari generi alimentari, anche diverse conserve sotto vetro fatte in casa. Nessuno di loro ha avuto bisogno di cure mediche particolari. Diversi di loro hanno dovuto rinunciare a visite ospedaliere di controllo.

Sempre in fase di lockdown ciò che ha colpito molti di loro è stato l’assoluto silenzio dell’ambiente esterno, l’assenza dei rumori delle macchine in strada e di presenze umane; silenzi e vuoti vissuti come “assenze di segni di vita”. Significativo il racconto di Laura, la cui casa è affacciata sul lago di Alleghe che ogni giorno, nella ricerca della presenza nell’ambiente di segni vitali, passava il tempo a ricercare e osservare gli otto cigni, “li contavo tutti i giorni per assicurarmi che fossero  tutti ancora vivi”,  che con i loro movimenti le restituivano frammenti di vita.

Quattro persone rimaste sole durante il lockdown hanno dichiarato di aver avuto la sensazione di “perdere il linguaggio”, di non ricordare i nomi di conoscenti, di avvertire dei vuoti di memoria. Per un paio di persone sole, la presenza del loro gatto da accarezzare e al quale esprimevano i loro pensieri, è stata di grande supporto emotivo.

Nel chiedere quali fossero le immagini che più sono rimaste impresse di questa epidemia, quasi tutti, anche a distanza di mesi, riportano le immagini viste alla televisione, dei camion militari che portano le bare dei morti di Bergamo in cimiteri lontani, seguite dalle immagini del personale sanitario, bardato dalla testa ai piedi, operante nelle strutture di rianimazione accanto alle persone gravemente ammalate.

Tutti si sono adattati alle nuove disposizioni come l’uso della mascherina, conoscono le altre misure di prevenzione da adottare: il lavaggio delle mani, l’uso del gel ed il distanziamento fisico in luogo chiuso, anche se poi nella realtà non le hanno sperimentato più di tanto perché, oltre al negozio del paese non si sono recati in altri luoghi chiusi e affollati. Molti esprimono fastidio verso la mascherina per vari motivi: perché appanna gli occhiali, perché è più difficile riconoscere le persone e comprendere i loro messaggi. Sdrammatizza la questione del distanziamento sociale il sig. Giovanni che afferma di utilizzare come strumento di misurazione per garantire tale distanziamento il suo bastone, alzandolo e ponendolo tra lui e chi si avvicina.

Qualcuno è rimasto amareggiato per l’impossibilità di recarsi in chiesa, nel non poter assistere al funerale di conoscenti. Gli stessi si dicono rattristati per la riduzione dei posti in chiesa durante la messa, la sospensione del segno di pace e del segno della croce con l’acqua santa. A molti è mancata la celebrazione della Pasqua in chiesa. Qualcuno ha anche ricordato la triste immagine del Papa, durante una messa celebrata in Piazza San Pietro prima della Pasqua: un Papa, ricordano, in totale solitudine e sotto la pioggia.

Il cellulare o telefono è stato per molti il mezzo col quale sono rimasti in contatto con i familiari più lontani. Nessuno è ricorso direttamente a video-chiamate, qualcuno lo ha fatto ma con l’ aiuto ed il cellulare di un figlio/a per chiamare un familiare più distante. Alla domanda se ricordavano in passato periodi analoghi a questo, una signora di Falcade che frequenta il centro di Cencenighe ha risposto di ricordare come una sua vecchia zia, quando era ancora piccola, le aveva raccontato di quando in paese morirono diverse persone a causa dell’influenza spagnola.

Rispetto a come è stata gestita l’emergenza, molti di loro nell’evidenziare la vastità e drammaticità di questo evento sconosciuto e per questo imprevedibile e difficile da gestire hanno risposto che “più di così i politici non potevano fare”, mentre un forte e diffuso apprezzamento è stato espresso nei confronti del Governatore della Regione Veneto.

Per quanto riguarda la paura del contagio, a parte una signora che ha avuto una esperienza diretta del problema per la messa in quarantena della figlia, gli altri hanno espresso una certa preoccupazione per i propri familiari che per lavoro uscivano di casa e avevano quindi contatto con altre persone. La maggior parte di loro dichiara di non aver mai avuto paura di un contagio perché: “non stando male e non avendo familiari ammalati, non avevo motivo per essere preoccupato” o perché “non uscendo di casa di cosa dovevo preoccuparmi?” Nell’insieme non è emersa quindi la preoccupazione per il Coronavirus, ma la sofferenza principalmente per la mancanza di contatti diretti  con figli e nipoti nella fase uno.

Sia gli utenti che i familiari hanno espresso il loro dispiacere per la sospensione degli incontri al Centro che apprezzano per essere un piacevole diversivo alle loro giornate.

Infine nel confronto tra il Covid-19 e Vaia (evevnto meteorologico estremo), le risposte sono state varie e molto è dipeso da come il singolo ha vissuto l’esperienza di Vaia: chi si è ritrovato con l’ambiente circostante devastato  o ha avuto anche danni in o sotto casa a causa di Vaia, ha espresso senza esitare, che quella è stata più terribile come esperienza. Mentre per le risposte date da chi afferma come peggiore l’esperienza attuale, riporto le parole espresse da due signore. La signora Lorenza: “Vaia è successo durante la notte, è stato brutto, con il buio, il vento, la pioggia, ma è passato mentre il Coronavirus è sempre presente” e della signora Zita : “Vaia ha fatto paura, ci sono stati tanti danni. Ma questa è peggiore, per via dei tanti morti, dei morti che ci sono ancora … è qualcosa che continua”.

 

Considerazioni conclusive.

Se in una persona giovane o adulta, la ripetizione dei medesimi comportamenti può suscitare un vissuto di noia, così non è per le persone anziane che anzi da queste interviste rivelano come le routine diventino un fattore protettivo per il loro equilibrio psichico, anche in situazioni di cambiamenti e di eventi stressanti come quelli attuali. Le attività abitudinarie sembrano svolgere diverse funzioni preziose per il loro benessere psichico. Nel fungere da organizzatori delle loro esperienze, le routine assumono un ruolo strutturante all’equilibrio delle loro giornate e nel dare a esse un senso di continuità nel tempo. In questo modo creano stabilità e regolarità, infondono un senso di sicurezza e di prevedibilità, definiscono il loro modo di essere, assumono un’importante funzione identitaria. Inoltre, l’aver messo in atto risorse spontanee e creative come leggere, lavorare a maglia, riordinare con dedizione e accuratezza delle vecchie cartoline e francobolli, sono la diretta testimonianza di come anche nella persona anziana siano presenti risorse che vanno valorizzate e riconosciute. Emerge in modo evidente, da queste loro testimonianze come riuscire ad essere creativi, a esprimere le proprie potenzialità, facilita  l’esistenza non soltanto dei bambini, come è noto da tempo, ma anche  degli anziani, sempre, anche in tempi difficili come gli attuali.

Abitudine era diventata anche l’incontro settimanale al Centro Sollievo. Dalle interviste è emerso come questa esperienza abbia contribuito ad alimentato il legame tra di loro, creando un senso di appartenenza a un gruppo che li ha fatti sentire parte di una collettività. Gran parte degli intervistati ha chiesto notizie degli altri anziani, informazioni sulla loro salute. Nell’essere la loro unica esperienza gruppale, il Centro Sollievo si caratterizza per essere luogo elettivo di socializzazione. Il ritrovarsi insieme oltre che occasione per stimolare le proprie funzioni cognitive attraverso le varie attività proposte, è il luogo preposto allo scambio e condivisione di riflessioni, emozioni, ricordi.

Dai dati raccolti, nasce anche una nuova proposta: quella di un Progetto per aumentare il benessere e per alimentare la dimensione creativa attraverso le esperienze di rilassamento e visualizzazioni. Tali esperienze, condotte in gruppo, avrebbero inoltre la funzione di utilizzare il gruppo come importante momento di condivisione e di sostegno.

 

Nota: *GITIM- Gruppo Italiano Tecniche di Imagerie Mentale – che raccoglie psicologi e psicoterapeuti www.gitim.it