Recensione al seminario GITIM “Sogno e son desto – Origini e continuità del metodo ITP di Leopoldo e Serenella Rigo” del 16 maggio 2015 – Treviso

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RecensioniErika Lunardon

La giornata dal titolo “Sogno e son desto” si è aperta con l’introduzione ai lavori della Dott.ssa Zanardo e i saluti delle autorità a cui è seguito un breve intervento del Dott. Sartori, volto a sottolineare l’importanza delle basi scientifiche del lavoro terapeutico, del rigore della ricerca e del confronto; tema su cui la scuola si è mostrata attiva da sempre e sulla cui strada ha ribadito, in questa sede, di voler continuare a crescere.
Il seminario è iniziato a tutti gli effetti con l’intervento della Dott.ssa Zanetti che ha ripercorso la storia del GITIM dando così modo ai “vecchi” di rivivere momenti significativi ed emozionanti della storia della scuola, e permettendo ai “nuovi” di venire a conoscenza delle origini e dello sviluppo di un mondo che stanno iniziando a conoscere. Attraverso i significati di alcune parole chiave la presidente ha dato atto di quanta ricchezza e complessità il metodo di lavoro della scuola sottenda. Il percorso terapeutico viene quindi presentato come simile ad un labirinto, nel quale ci si perde e ci si muove, che ha un suo centro e all’interno del quale è possibile incontrare le istanze del proprio essere per poi integrarle in un’unicità nuova, più articolata e matura. Profondo è l’inconscio inteso come interiorità che comprende aspetti bio-corporei, psicologici, mentali e spirituali. Immaginative è il termine associato alle tecniche utilizzate dalla scuola e che qui la dottoressa richiama per sottolineare quale sia il terreno su cui si gioca la modificazione che l’individuo sperimenta per poi ristrutturarsi. Ristrutturazione quindi come liberazione della tendenza innata dell’uomo all’autocura e all’autosviluppo che permettono la riparazione e l’equilibrio narcisistico, nel senso proposto da Rigo.
All’interno di questo percorso spiccano, per l’appunto, le figure di Leopoldo e Serenella Rigo, padri fondatori del GITIM e ai quali dobbiamo forse una sorta di imprinting nello stile che la scuola persegue: uno stile profondo e umano.
A questi contributi sono seguite le testimonianze del Dott. Gardellini e di Angelo Rigo che, figlio di Leopoldo e Serenella Rigo, con sfumature diverse, hanno permesso a tutti noi di condividere un qualcosa di importante, su un piano umano, intenso e toccante, che va ben oltre tecnicismi e nozionismi. Segni profondi lasciati da chi ha dato molto.
Il Seminario è proseguito poi con gli interventi di due ospiti d’oltralpe: il Prof. Jean Burgos e il Prof. JeanMarie Barthélémy.
Jean Burgos ha risvegliato le nostre menti (e non solo) con la sua grande lucidità cognitiva, inoltrandosi nel tema della creazione, del “divieni ciò che sei” di Nietzsche. Egli, soffermandosi sulle possibilità del fare creatore, ha sottolineato il fatto che questo processo è qualcosa di aperto nel quale l’uomo diventa artefice del proprio destino e non colui che scopre un futuro già pre-destinato. E ci spiega bene tutto questo mediante l’affascinante mito della fenice.
Burgos infatti dà di questo mito una lettura basata su una versione più antica e meno conosciuta, secondo la quale, al racconto classico dell’uccello che in punto di morte prende fuoco per poi rinascere dalle proprie ceneri, la nascita della nuova fenice invece si accompagna alla cura del cadavere del padre, al volo verso Eliopoli, all’attesa del riconoscimento da parte del sacerdote del tempio e al ritorno finale alla vita terrena. Burgos rivela una visione più articolata di questa morte-rinascita, ponendo l’accento su come l’elemento del sacro entri nel profano, per renderlo eterno: tempo ciclico e tempo cronologico si accavallano l’un l’altro in un processo di creazione che è “nel tempo” e al contempo fuori da esso. Creazione come processo che si autogenera, rinascendo in se stesso, e che non ha fine, non si conclude, esattamente come la fenice che, unica della sua specie, è procreatrice di se stessa.
A seguire l’entusiasmo contagioso del Dott. Jean-Marie Barthélémy, il quale ha voluto esplicitare le radici della prospettiva fenomeno-strutturale alla base del suo lavoro psicoterapico. Così, da Husserl a Jasper, a Binswanger finanche a Minkowski, Barthélémy ci ha simpaticamente reso partecipi di una complessità e profondità di approccio davvero notevoli. Da Husserl egli mutua due aspetti importanti: da un lato quel “ogni coscienza è coscienza di qualcosa”, che Barthélémy muta in “ogni coscienza è coscienza di qualcuno” (a
porre l’accento sull’intersoggettività); dall’altro il focus sull’intenzionalità, intesa però come “direzione, tendenza al divenire”. Di Jasper sottolinea l’importanza della conoscenza, della consapevolezza che l’uomo tocca quando raggiunge il limite: limite quindi come situazione che ci permette di capire la nostra direzione. Binswanger diventa per Barthélémy il portavoce del rapporto psicoterapeutico inteso come contatto comunicativo, influenza reciproca e quindi rapporto autentico. E in ultimo troviamo Minkowski, con il suo “l’uomo è fatto per ricercare l’umano”, che ci riporta al tema della condivisione profonda.
La giornata si è conclusa con l’intervento della Dott.ssa De Rosa, quasi a sintetizzare, con l’esempio di un caso clinico, quanto detto in precedenza da più voci: comunicazione autentica e contatto profondo come ingredienti fondamentali di un rapporto che si configura come incontro tra intrasoggettivo e intersoggettivo, attraverso il canale della creazione che, come sottolinea Burgos, non si conclude mai e perciò apre il nostro lavoro ad appassionanti e continue esplorazioni.