Recensioni


 Lenisa Berto e Erica Schiavon

 

Il Seminario “ Il ricordo è il tessuto dell’identità – La memoria nelle terapie Immaginative” che si è svolto Sabato 20 Ottobre 2018, si apre con la presentazione della Dott.ssa Ivana Zanetti,Psicologa Psicoterapeuta, Docente Responsabile per la formazione di psicoterapeuti ITP e Rappresentante legale del GITIM, che sottolinea l’importanza del ricordo nella formazione della propria identità riprendendo una citazione di Nelson Mandela: “In the life of any individual,family,community or society,memory is a fundamental importance. It is the fabric of identity”.

Il tema della memoria è molto vasto e ampliamente affrontato da tempo in psicologia e filosofia, tema peraltro attualmente previlegiato delle neuroscienze. La giornata odierna si propone di affrontare tale argomento con il contributo derivato dall’approccio delle Tecniche Immaginative: VIC e ITP.

Tali tecniche trascendono la parola, per rivolgere la loro attenzione alle fasi precoci dello sviluppo in collegamento con quella memoria lontanissima “implicita”, non verbalizzata, ma ricordata nel senso di vissuta perché non verbalizzabile, visibile nei gesti, nelle posture, nei malesseri somatici e che è quindi “corporea”.

Ben dice Galimberti: “La memoria è la mappa dei nostri ricordi che ci dice chi siamo, è il fondamento della nostra identità e del mondo che abitiamo. Basta infatti un black-out della memoria che più non sappiamo chi siamo e in che mondo ci muoviamo, come capita alle persone anziane che perdono la memoria e si perdono nel mondo”.

La memoria appare centrale nelle malattie senili, quali soprattutto Alzheimer e Demenza Senile, che vengono vissute come particolarmente penose proprio per la cancellazione dei ricordi, in cui l’essere umano cessa di essere individuo con una propria identità e storia, ma diventa soggetto in balia di un “mondo che si disfa davanti ai propri occhi”.

Non ci sarebbe infatti alcun “Io” se la memoria non costruisse quella sfera di appartenenza per cui riconosco come “miei” le azioni, i vissuti, i pensieri, i sentimenti; ciascuno di noi infatti interpreta se stesso e il mondo che lo circonda a partire da schemi emotivi e cognitivi, formati nella primissima infanzia.

A tal proposito ancora Galimberti: “Nessuno di noi abita il mondo, ma esclusivamente la propria visione del mondo, la propria visione del mondo costruita sulla memoria”.

Abbiamo quindi una visione del mondo, una biografia verbale e somatica, che ci fa sentire inconfondibili con la nostra identità costruita sulla memoria, sulle esperienze maturate nella famiglia inserita nella nostra cultura e nel nostro ambiente.

Lungi da considerare la memoria come mero archivio di informazioni, essa fonda la nostra biografia anche su falsi ricordi, su racconti riferiti e su precocissime memorie corporee, quest’ultime spesso riprese e approfondite nelle Tecniche Immaginative il cui obiettivo principale non è eliminare la sofferenza causata dal ricordo doloroso, ma aiutare la persona a recuperare la capacità riparatoria, la capacità di tollerare e temporalizzare il ricordo con un effetto benefico sulla definizione dell’identità: non si modifica il ricordo, ma l’emozione e il vissuto ad esso collegato.

La parola passa al Dott. Marzio Sabbioni, Specialista FMH in Medicina Interna Psichiatria, Psicoterapeuta di Berna e Didatta VIC della SAGKB Svizzera, che sottolinea la centralità del corpo nel VIC.

Il VIC venne introdotto nel 1954 da Hans Carl Leuner in Germania come terapia psicodinamica che usa ancora oggi, in maniera semi strutturata, l’immaginazione. Centrali sono i concetti psicodinamici di inconscio, processo primario, transfert e controtransfert, ma anche di conflitto e di meccanismi di difesa.

Nel VIC si induce il paziente in uno stato di semi-veglia grazie ad un rilassamento prodotto da un isolamento sensoriale, chiusura degli occhi e distensione corporea atte a favorire l’attivazione del processo primario, in cui grazie ad una percezione amodale, c’è una riduzione dei meccanismi difensivi con allentamento delle ansie e delle altre emozioni negative.

Il Processo Primario, modalità previlegiata dall’inconscio, comprende un processo associativo di ricerca con il sovrapporsi di episodi e di esperienze emozionali precedenti provenienti dalla memoria implicita, le stesse andranno successivamente approfondite nei processi di simbolizzazione ed elaborazione tramite l’azione sperimentata in campo immaginario.

Fondamentale il principio dialogico e la relazione terapeuta-paziente. Il terapeuta rispecchia con i suoi interventi, in modo marcato e contingente, gli stati mentali del paziente, aiuta il paziente a designare e regolare le esperienze corporali ed emozionali. Si crea quindi un legame sicuro, in cui l’esplorazione fiduciosa dei simboli e delle emozioni contenute nell’immagine offrono esperienze ristrutturanti e nuove possibilità di ricerca di soluzione.

Al termine dell’esperienza immaginativa il paziente potrà ulteriormente elaborare e integrare quanto emerso con metodi artistici (utilizzo del disegno) che promuoveranno l’attivazione e la capacità di simbolizzazione e metallizzazione del vissuto interiore sperimentato.

Il disegno creativo, oltre a chiarire eventuali malintesi sull’immaginazione, strutturerà lo spazio tra terapeuta e paziente favorendo una visione dall’esterno in cui il paziente potrà riflettere sui contenuti emozionali e relazionali dell’immagine e sull’eventuale sequenza conflittuale.

Il punto di partenza delle tecniche immaginative è quindi il corpo in termini di percezioni sensoriali propriocettive che sono rappresentate mentalmente e che costituiscono un primo spazio mentale, tali stati sono alla base delle prime esperienze di unità del Sé e si manifestano nelle precocissime interazioni con il caregiver il cui ruolo essenziale è quello di accogliere e regolare i vissuti corporei e psico-affettivi del bambino.

Il corpo diventa protagonista e palcoscenico dell’inconscio, ma anche vissuto esperienziale in cui può essere ristrutturata l’immagine corporea a partire da schemi emotivi-comportamentali impliciti, procedurali ed inconsci manifestati nell’immagine e vissuti direttamente dal paziente.

La modalità narrativa funge da “lente di ingrandimento” in cui il rallentare lo sviluppo scenico permette di porre maggiore ascolto a posture, movimenti ed emozioni con l’obiettivo di promuovere un senso di benessere attraverso una maggiore attivazione del paziente nell’esperienza di: “corpo che ha” e di “corpo che è e sente”.

Anche la Dott.ssa Luisa De Rosa, Psicologa Psicoterapeuta, Docente per la formazione di psicoterapeuti ITP, nel suo intervento sottolinea la centralità del corpo nelle Tecniche Immaginative in particolare nell’ITP in cui, fin dalla messa in condizione all’imagerie, il rilassamento per l’appunto, si mettono in atto, attraverso esperienze di cenestesia positiva, processi riparativi e ristrutturanti l’immagine corporea.

Riprendendo FrancoiseDoltò: “l’immagine del corpo è la sintesi vivente delle nostre esperienze emozionali, esperienze interumane, vissute ripetitivamente tramite sensazioni erogene elettive, arcaiche o attuali. L’immagine del corpo può essere considerata quale incarnazione simbolica inconscia del soggetto desiderante, fenomeno che compare prima ancora che l’individuo in questione sia in grado di definirsi col pronome personale Io”.

L’Immagine del corpo rappresenta quindi in ogni momento la memoria inconscia di tutto il vissuto relazionale e grazie alla stessa, sostenuta dal nostro Schema corporeo (concetto neurofisiologico corrispondente alla percezione del proprio corpo), possiamo entrare in comunicazione con gli altri e fondare la nostra identità.

In altre parole, lo Schema corporeo mette in rapporto il corpo, situato nel momento attuale nello spazio, con l’esperienza immediata; l’Immagine corporea mette in relazione il soggetto di desiderio con il proprio piacere, mediato dal linguaggio memorizzato della comunicazione fra soggetti.

Ne deriva pertanto come l’Immagine del corpo sia la traccia strutturale della storia emozionale di ogni essere umano, non un dato anatomico innato, come lo Schema corporeo, ma un complesso costrutto in cui appare necessario esaminare le modalità relazionali con le quali si costruisce e si modifica durante lo sviluppo infantile.

Sempre secondo Francoise Doltò, sono tre gli aspetti che contribuiscono alla formazione dell’immagine del corpo: l’immagine di base, l’immagine funzionale e l’immagine eterogenea.

Le tre componenti sono costantemente collegate tra di loro, sono mantenute in coesione da ciò che noi definiamo immagine dinamica che garantisce la continuità dell’essere nel sentirsi e viversi nel corpo.

Le esperienze di Imagerie nell’ITP infatti sottolineano l’importanza delle sensazioni tattili piacevoli che si concludono in cenestesie positive, fondamentali per una globale percezione del proprio corpo e per l’integrazione dello Schema corporeo.

L’aspetto “relazione”, non compreso nella definizione di schema corporeo, è invece presente in quello di “Fantasma del corpo” che corrisponde al vissuto protocoscienziale dello schema stesso e che può essere riparato grazie a procedimenti specifici utilizzati nell’ITP quali: tecniche respiratorie, visualizzazioni concrete con “realizzazioni simboliche”, tecniche di “distribuzione” dell’energia con evocazione del calore.

Oltre a tali tecniche, applicabili nelle diverse fasi della terapia ITP, un adeguato accompagnamento e accarezzamento verbale che ripercorre simbolicamente le cure e le manipolazioni materne (rilassamento profondo), seguito da una buona ristrutturazione corporea, sono fondamentali nel rendere l’Io forte e sicuro per poter affrontare inmaniera attiva la fase conflittuale della terapia.

La Dott.ssa Luisa De Rosa illustra alcuni casi clinici in cui la rappresentazione grafica (Disegno della figura umana Machover e Disegno dell’albero Koch) diventa un mezzo essenziale per la comprensione dell’Immagine corporea del paziente: attraverso sproporzioni, rigidità nel tratto, disarmonie nel segno grafico, emergono immagini corporee lacunose, incomplete e collegate a tonalità emotive spiacevoli.

Passa la parola alla Dott.ssa Anna Sieber-Ratti , Psicologa Clinica e  Psicoterapeuta, Docente presso l’Istituto di Psicologia Applicata di Zurigo, Supervisore e Responsabile per la formazione di psicoterapeuti VIC, che espone come la memoria venga manifestata attraverso il ricordo, spesso collegato a luoghi, a  paesaggi che fondano la nostra identità: i paesaggi della nostra infanzia e i paesaggi dell’anima.

Ogni paesaggio ha una funzione essenziale nella formazione del Sé e quale primo paesaggio che un neonato esplora se non il corpo della madre?

È proprio Winnicott che sottolinea come il corpo materno diventi paesaggio. Interagendo con il corpo della madre e poi con l’ambiente esterno o paesaggio nasce lo schema corporeo e l’immagine del corpo: il territorio che circonda il bambino viene investito emozionalmente diventando paesaggio, la morfologia del territorio è anche morfologia della cultura quindi il paesaggio in cui cresciamo diventa “serbatoio profondo della cultura”.

La cultura, la genetica e l’individuo sono la trilogia fondamentale del concetto di intersoggettività, insieme di interazioni che il neonato ha fin dai primi giorni di vita.

I paesaggi si rivelano quindi in modo corporeo ed i luoghi dell’infanzia rivestono un ruolo importante nella formazione del Sé. Alcuni paesaggi vengono ripresi nei vissuti immaginativi e ci danno informazioni sullo stile di attaccamento, sul livello di metallizzazione raggiunto ed hanno funzione di contenimento.

Il paesaggio quindi non è solo ambiente, spazio, territorio, luogo, ma è insieme, connubio di località naturale e culturale in cui è possibile vedere una relazione tra una determinata cultura e l’insieme geografico-ambientale in cui la stessa si concretizza in differenti forme: “il paesaggio è Natura che si rileva esteticamente a chi la osserva e la contempla con sentimento”.

La percezione di un paesaggio è sempre quindi una proiezione di uno stato d’animo che sottende un flusso comunicativo. Si parla di paesaggi dell’infanzia e paesaggi dell’anima, quest’ultimi sono relativi ai nostri desideri impliciti, rappresentano l’espressione delle nostre passioni che molte volte si esprimono a partire da percezioni corporee vissute ed espresse durante il vissuto immaginativo. Sono paesaggi che rappresentano un terreno solido di costruzione della nostra identità, che trova corrispondenza in un adeguato setting psicoterapico in cui il terapeuta offre un terreno stabile, sicuro e facilitante, dove il superamento di situazioni difficili avviene grazie alla duplice funzione del terapeuta che da un lato contiene e nutre simbolicamente il paziente tramite atteggiamenti empatici e dall’altro riconcilia, temporalizza attraverso l’attualizzazione dei vissuti e permette l’emergere di opportunità nuove, rimaste prima solo potenziali.

In questo anche il concetto di vuoto non si limita al vuoto narcisistico, borderline o depressivo, ma si configura come un vuoto che diventa spazio, un pozzo dei desideri in cui specchiarsi, ascoltarsi nell’eco e cogliere l’opportunità di conoscersi. Il vuoto mette di fronte la persona a se stessa con i suoi desideri, bisogni, la sua essenza e la sua identità.

A seguire l’intervento del Dr. Silvano Secco, Psicologo Psicoterapeuta, Docente per la formazione di psicoterapeuti ITP, che espone due tesi riguardo i ricordi ed il loro rapporto con il corpo. Nella prima tesi egli sostiene che il recupero e la rielaborazione dei ricordi, durante una psicoterapia ITP, avviene attraverso la partecipazione della memoria del corpo e l’ascolto del racconto somatico. Nella seconda tesi invece descrive come in una psicoterapia quando una persona entra in contatto con le tracce o ferite lasciate dal Trauma (inteso sia come abusi che come fallimenti relazionali) il lavoro deve svolgersi partendo sempre dalle sensazioni.

Viene poi raccontato il caso clinico di una paziente con difficoltà nel rapporto con il suo corpo, al fine di evidenziare come una singola parte di esso possa, in ambiente terapeutico, sgorgare, come da una sorgente, un ricordo, un racconto. Ciò può avvenire specialmente se si sollecita il paziente a trasformare in un’immagine quella particolare sensazione corporea.

Il corpo e le sue reazioni, infatti, possiedono una valenza di difesa della nostra integrità di fronte alle sfide ed alle minacce esterne o interne che ci avvicinano al senso della disgregazione. In tal senso è possibile interpretare anche i comportamenti più disfunzionali come un tentativo di difesa della propria integrità. Quando la mente non riesce più a contenere l’evento, percepito come stressante, non rimane che il corpo ad erigere barriere somatiche per consentire all’essere umano di continuare a vivere.

La relazione prosegue riprendendo l’opera di Marcel Proust, ritenuta utile al fine di effettuare delle riflessioni sulla memoria ed il corpo. In particolare la sua opera viene messa in relazione con la tecnica ITP. Le memorie del passato emergono dalle sensazioni, emozioni che un oggetto materiale fa risvegliare in noi. È ciò che avviene in Proust quando la petit madeleine toccò il suo palato: in un istante quelle briciole provocarono una reazione di sussulto, un sussulto che egli riesce a comprendere solo “facendo vuoto dentro di sé”, solo così l’immagine ha potuto iniziare a risalire ed il ricordo farsi vivido alla coscienza. Non la vista quindi, ma il sapore ha attivato il ricordo.

Mentre Proust parla di un ritorno della memoria Gastone Bachelard nelle sue riflessioni descrive un fenomeno particolare che chiama “Retentissement”. Con questo termine l’autore definisce la capacità di ritenere, trattenere e lasciar sentire la rêverie dentro di noi. È fondamentale apprendere a “trattenere la rêverie”, facendo questo manteniamo in vita le parti affettive ed emotive di ogni Immagine. I ricordi nell’ITP possono essere incorporati anche attraverso l’atto simbolico di mangiare, che produce anche autocura e riparazione del Sé.

Il mondo scientifico negli ultimi anni ha rinnovato l’interesse per i “Traumi” facendo risaltare lo stretto rapporto tra il corpo, come depositario di memorie, e la mente. Quello che è stato compreso dai clinici è che se si vuole aiutare una persona ad elaborare i traumi le tecniche che utilizzano per lo più la parola non sono efficaci, occorrono tecniche che aiutino il paziente a prestare attenzione e creare un aggancio con le sensazioni che provengono dal corpo. Questo perché quando una persona subisce un trauma oggettivo grave (incidente o abuso), un trauma relazionale o un fallimento nella costruzione dei legami, le memorie si incistano in livelli sottocorticali ed in livelli periferici somatici.

L’esperienza clinica fa comprendere come le radici dei ricordi abitino il corpo e derivino dalle sensazioni. Il corpo ha quindi un suo linguaggio e dei ricordi, ad esempio rimangono nei muscoli e nelle ossa le esperienze di quando da bambini correvamo liberamente a piedi scalzi sull’erba. Noi ritornando con la memoria del corpo a quei momenti possiamo percepirne l’energia, il senso di libertà nei nostri muscoli e nelle nostre ossa. Il ritorno (regressione) a quei momenti piacevoli diventa risorsa importante e positiva nel lavoro psicoterapico. A livello immaginativo è possibile lasciar espandere nello Scenario le sensazioni positive emerse al fine di conservarle.

Le funzioni del terapeuta quando durante il colloquio o la seduta ITP immaginativa emergono le memorie, in particolare quelle a valenza traumatica, sono: la cura del setting relazionale ed ambientale contenitivo e rassicurante, la capacità intuitiva, la competenza nell’individuare gli indicatori corporei più significativi ed orientare la consapevolezzadel paziente verso di essi.