Tipi Psicologici secondo il pensiero Junghiano


Della Dott.ssa Marisa Spinoglio, Psichiatra Junghiana

 Conferenza al Gruppo Italiano per le Tecniche Psicoterapiche d’ Imagerie Mentale
Preganziol, 12 Dicembre 2009

 I tipi psicologici e le quattro funzioni della psiche.

Nella conferenza tenutasi a Preganziol (Treviso) il 12 Dicembre 2009, la Dott.ssa  Marisa Spinoglio, nota Psichiatra e Analista didatta junghiana, ha rivisitato le tematiche relative ai tipi psicologici di Jung, con puntuali riferimenti sia  ai valori della società contemporanea, sia ad esempi tratti dal mondo culturale e letterario. Ha trattato, poi, delle quattro funzioni strutturanti della psiche che, combinandosi in vario modo, danno vita alla complessità di ogni individuo. Due sono razionali: pensiero e sentimento. Due sono irrazionali: sensazione e intuizione.

Rispetto al pensiero, il sentimento è quella funzione che ha subito una maggiore rimozione e deformazione. È pertanto auspicabile, nella nostra civiltà,  una rivalutazione dell’educazione al sentimento.

 L’introversione e l’estroversione.

Gli atteggiamenti fondamentali della psiche che scandiscono i due poli di conoscenza e relazione tra il soggetto e l’oggetto sono: l’estroversione e l’introversione. 

Il pensiero estrovertito usa la funzione pensiero dal soggetto verso l’oggetto e la realtà esterna, ponendoli al centro dell’interesse.  Al contrario, nel pensiero introvertito, la direzione è  dall’oggetto al soggetto, l’oggetto è in funzione del soggetto che viene costantemente nutrito dalle impressioni esterne, rivisitate e rielaborate nell’interiorità, quindi è un pensiero più auto-riflessivo, tipico di una attività che utilizza il valore dell’oggetto, ma sempre per ritornare sul piano soggettivo.

La prima parte della vita è naturalmente orientata in senso estrovertito: bisogna conquistare un lavoro, conquistare un oggetto d’amore, farsi una famiglia; in qualche modo la libido ci porta di più a delle realizzazioni esterne. Ma, come nel mito del sole, questo, arrivato allo zenit, deve decrescere, così  nella seconda metà della vita, la libido, fa un processo inverso, dovrebbe prevalere un interesse per la propria vita interiore e si dovrebbero realizzare degli scopi introvertiti: realizzare la propria spiritualità, il destino più intimo della propria esistenza.

I due aspetti devono potersi  equilibrare, dovrebbe esserci un’alternanza, un’oscillazione tra  questi due poli.

 L’introversione e l’estroversione nella società.

Nella nostra società vi è un grande sbilanciamento in cui l’atteggiamento estrovertito viene non solo enfatizzato, ma presentato come unico vincente, mentre vi sono molti pregiudizi sull’introversione che viene tacciata di egoismo, di eccessiva lentezza, di disinteresse verso gli altri.

Si predilige il successo, la realizzazione esterna, il fare, l’attività. C’è un super investimento nell’oggetto. Siamo prigionieri di certi preconcetti che hanno a che fare con una certa tipologia, un certo orientamento della coscienza, c’è una super valutazione dell’Io. Diamo per scontato che sia meglio avere/possedere successo, sesso, denaro e donne.

I due poli sono entrambi molto importanti,  trovano già in natura le loro basi come funzioni di adattamento.

L’ estroversione ( = dimensione orizzontale) è la forza che spinge tutti gli animali a prediligere l’esterno, quindi la continuità della specie, a volte anche sacrificando se stessi, una forza, quindi, che sacrifica l’Io a vantaggio della specie.

L’introversione ( = dimensione verticale)  è la forza di autoconservazione, quella che predilige la continuità dell’io e non quella della specie, un ritiro dell’individuo in se stesso per la propria sopravvivenza e continuità.

Questi due poli, che sono, poi, due modi di organizzare la vita, nella loro dualità, hanno una radice archetipica.

Le due modalità: “conosci te stesso” e “conosci gli altri e la natura” devono intersecarsi.

 L’introversione e l’estroversione nella cultura.

Platone e Aristotele non sono solo due sistemi, ma anche i tipi di due differenti nature umane che da tempo immemorabile, in tutte le civiltà stanno uno di fronte all’altro. Platone è il simbolo dell’atteggiamento introvertito; nel mito della caverna la realtà è l’immagine del mondo delle idee.  Aristotele, invece, capostipite di tutti gli uomini di scienza, è il simbolo dell’atteggiamento  estrovertito, che dà molta importanza alla percezione.

La Chiesa finisce per abbracciare in sé le due nature: da una parte il clero, dall’altra il monachesimo. Da una parte la Chiesa ufficiale e dall’altra i mistici che seguono San Francesco. Anche nella psicologia possiamo intravvedere questi due atteggiamenti: quello estrovertito in Freud e quello introvertito in Jung.

Questi due atteggiamenti attraversano tutta la nostra cultura.

In genere ciascun uomo si riconosce prevalentemente in uno dei due, ma è necessario che li viva entrambi. Da uno sbilanciamento, ha origine la patologia, aspetti problematici, nevrotici o psicotici, depressioni e stati ansiosi. Questo, bene si evidenzia in Oscar Wilde nel “De profundis”.

Nella nostra società l’atteggiamento estrovertito ha preso il sopravvento, anche se per compensazione stanno sorgendo tanti movimenti opposti, ma questi, secondo la visione di Jung, sorgono proprio quando un atteggiamento è eccessivamente sbilanciato. Dall’inconscio partono dei segnali di compensazione, ma affidandoci solo alla compensazione, rischiamo che questi vengano fuori in un modo contaminato dal rimosso. Vengono fuori in un modo arcaico, infantile, distorto, esagerato, pensiamo ad esempio ai movimenti new age, dove troviamo questo ritorno alla spiritualità, agli angeli, alle forze occulte, però declinati in un modo del tutto infantile e lo riconosciamo proprio dall’eccessivo buonismo, una coloritura infantile che alla fine diventa stucchevole.

 L’elemento educazione e il recupero della funzione di sentimento.

E’ importante, perciò,  un’educazione che metta a confronto queste due forze affinché possano comunicare ed evitare l’unilateralità.

Riprendendo la tematica delle quattro funzioni ( le due razionali, il sentimento e il pensiero, le due irrazionali, la sensazione e l’intuizione) la relatrice sottolinea che se predomina il pensiero, il sentimento cade nell’inferiorità, nel senso che più una funzione diventa dominante, la sua funzione omologa rischia di andare più nell’inconscio e funziona in modo arcaico, infantile. Il lavoro è quello di integrarle e redimerle dalla condizione di inferiorità.

Nella nostra epoca è necessario dedicare più spazio alla funzione di sentimento, poiché nella cultura occidentale, da molto tempo, si è data più rilevanza alla funzione razionale di pensiero, soprattutto nel suo aspetto estrovertito, ciò ha realizzato grandi progressi nella lettura della realtà in chiave logico-razionale e ha permesso di conseguire un grande sviluppo della scienza.

La funzione opposta, quella del sentimento, ha subito una maggiore rimozione e una certa distorsione. Vi è  confusione fra emozioni e sentimenti, si pensa al sentimento come a qualcosa di non controllabile, di irrazionale e, soprattutto, di non educabile.  Secondo Jung, invece, il sentimento è una funzione razionale, ma che segue modalità diverse dal pensiero. Pensare con il cuore vuol dire essere in grado di dare dei giudizi, di valutare la realtà esterna e le azioni secondo dei valori che sono dettati dal sentimento. È una importante funzione di discernimento  in cui diventa necessario  mettersi in contatto con la coloritura del momento. 

È importante differenziare la funzione sentimento dai sentimenti, perché tale funzione mi permette di dominare i sentimenti, di usarli in modo adeguato, così come la funzione pensiero mi permette di organizzare i pensieri. Spesso si fa una confusione tra emotività e emozioni, passioni e sentimenti e ciò ha a che fare ancora con la rimozione del sentimento.

Il sentimento è un problema così grande nel nostro tempo che si potrebbe dire che tutto il campo della psicoterapia è nato per questo, poiché la psicoterapia è l’unico luogo dove arriva il sentimento. È perciò fondamentale  rieducare tale funzione affinché diventi uno strumento prezioso che ci guidi nel campo delle relazioni.

L’educazione che gli indiani d’America davano ai loro bambini è un esempio di educazione al sentimento. Li educavano molto presto a sedere in silenzio e a gioirne, li educavano al tacere, quindi al saper ascoltare, al saper aspettare, perché  per riuscire a valutare, bisogna prima ascoltare. Gli  insegnavano  ad utilizzare i sensi, a percepire i diversi odori, a guardare quando all’apparenza non c’era nulla da vedere, ad ascoltare con attenzione quando tutto appariva totalmente tranquillo, ricevevano, quindi, anche un’educazione della funzione sensazione. Un discorso non veniva mai iniziato condotto frettolosamente. Per i Dakota il silenzio era eloquente.

Quindi, l’educazione del sentimento passa attraverso un addestramento all’ascolto, alla pazienza, alla conoscenza di sé, dei propri lati oscuri, ma anche delle proprie parti positive. È come recuperare, appunto, una funzione, uno strumento. Questo è uno strumento molto importante e prezioso che ci è scappato di mano e allora ci ritorna in questo modo, ambiguo, ambivalente, femminilizzato, perché l’abbiamo consigliato solo alle donne, con il pregiudizio che il sentimento sia solo femminile. Ma questa è una femminilizzazione del sentimento che fa torto sia agli uomini che alle donne, perché la donna  distorce questa funzione di sentimento per manipolare l’uomo.

 Conclusioni.

Per concludere, se  a scuola  il nostro pensiero viene  educato, il sentimento, invece, viene lasciato allo stato di degrado, la Dott.sa Spinoglio auspica che si possa riscattare questa  funzione  dai luoghi comuni, da questa confusione nei nostri sentimenti indistinti e auspica inoltre che si possa  imparare ad educare le correnti  emozionali, come facciamo  con le altre funzioni