L’IMAGERIE MENTALE: aspetti psicoterapici, antropologici, pedagogici di Leopoldo Rigo.

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Immaginario: studi e ricercheLeopoldo Rigo

Tra i molteplici scritti di Rigo riguardanti sia l’IM che l’ITP e il loro valore nel quadro di altre tecniche psicagogiche, ci è sembrato opportuno scegliere il presente lavoro che porta la data del 25 settembre 1973.

 

L’IMAGERIE MENTALE: aspetti psicoterapici, antropologici, pedagogici di Leopoldo Rigo.

Da “Il Fuoco”, anno XXXIII, II trimestre 1985.

 

Mi si può chiedere, come si fa sempre in una presentazione, il perché del nome “Imagerie Mentale” (IM) che, tra l’altro, contiene anche una ripetizione, poiché è logico che la “Imagerie” non possa essere che mentale.

Ciò è dovuto al fatto che Francis Galton, nel 1883, per primo scoprì e descrisse in modo scientifico il processo dell’Imagerie Mentale dandogli questo nome.

È in uso, nella Scienza, che il fenomeno scoperto da un dato Autore conservi il nome datogli da lui, a meno che esso non diventi assolutamente inadeguato.

IM non è una denominazione inadeguata, anche se di difficile traduzione. Traducendola, per es. con “immaginazione” o “fantasia” si va a rischio di tradire la natura del fenomeno, perché l’IM è sì una fantasia, ma una fantasia tutta particolare, non simile a quella che siamo abituati a chiamare in tal modo. Vedremo come essa avvenga in un particolare stato psicofisico; senza questa condizione non esiste IM.

Quindi, tradurre semplicemente con “immaginazione” o “fantasia”, sarebbe tradire la natura stessa del fatto. Inoltre è da tener conto della cattiva fama che la fantasia ha, sotto due aspetti: comunemente perché viene contrapposta alla ragione e in secondo luogo perché, in campo psicologico, domina ancora l’idea per cui la fantasia è considerata prevalentemente un processo difensivo.

Abbiamo tuttavia, nella vita concreta anche, sotto altri aspetti, dei fatti che sottolineano l’efficacia della fantasia sia sotto l’aspetto positivo (attività creativa, scientifica, artistica o vitale) che sotto l’aspetto negativo, ma pur fortemente efficace, come quando si parla di malati “immaginari”. Molti sono incerti nel credere se essi siano o no dei malati; in realtà sono “malati nella immaginazione” e sono il maggior numero dei clienti della psicoterapia. Non è da credere che in quanto “malati nell’immaginazione” non siano malati: lo sono veramente; soltanto che il loro disturbo si localizza nella fantasia. Del resto, il “luogo” dove si localizzano gli altri disturbi, anche fisici, non lo conosciamo fino in fondo.

Una riflessione fondamentale è poi questa: quello che è nella immaginazione e nella fantasia è nel comportamento, “niente è nel comportamento se prima non è nella fantasia”.

Si può fare poi un’altra constatazione fondamentale che non è altro che la reciproca (è un po’ come l’uovo di Colombo in psicoterapia; eppure non tutti hanno fatto questa constatazione): se noi riusciamo a far compiere a delle persone delle esperienze a livello immaginario (a livello di Imagerie Mentale per essere più preciso), queste esperienze immaginarie hanno lo stesso valore strutturante delle esperienze reali.

E qui si apre un campo enorme di applicazioni psicoterapiche che può prendere il nome dalla Sechehaye e che io ho chiamato “delle realizzazioni simboliche a livello immaginario”.

Nel libro “Il diario di una schizofrenica” della Sechehaye, a un certo momento l’ammalata stessa, Renée, manifestando i suoi bisogni alimentari arcaici, legati alla figura materna, indica il seno della terapista ed essa ha l’idea, allora, di darle in cambio le mele indicatele da Renée stessa. Le mele hanno così assunto il significato simbolico del seno materno. La realizzazione simbolica sul piano concreto era resa possibile in questo caso dal livello di regressione totale della personalità di Renée, che era una schizofrenica. Allora le realizzazioni potevano avvenire su un piano reale.

Del resto, c’è una serie di “realizzazioni simboliche” (anche se l’A. non usa tale nome) adoperate da Sivadon per la psicoterapia degli schizofrenici, come massaggio, balneoterapia ecc., vissute nell’ambito di un transfert che viene regolato e progressivamente sciolto.

Nella IM è possibile far compiere “realizzazioni simboliche” a livello immaginario.

Si può capire le possibilità enormi che si presentano, dato che a livello immaginario non si hanno i limiti posti dalla situazione reale. Le realizzazioni simboliche sono svariatissime e quindi è possibile intervenire anche nei casi di soggetti carenziati, che hanno subito cioè frustrazioni precoci o traumi fetali.

La presa di coscienza del loro stato generalmente non serve a niente, anzi spesso non fa che danneggiarli. Importante è riuscire a colmare le carenze presenti. Attraverso il colloquio le carenze possono essere alleviate solo parzialmente ed in modo molto indiretto e non sempre efficace, attraverso la “presenza” dello psicoterapista.

Con l’IM si apre la possibilità di realizzazioni simboliche più dirette e più svariate e che avvengono allo stesso piano in cui sono registrati traumi e carenze (livello fantasmatico).

È necessario sottolineare come l’IM non sia un particolare metodo di psicoterapia, ma un processo mentale, cioè un concatenamento di immagini fortemente vissute a tutti i li velli psicosensoriali.

Quando si parla di IM non si parla di immagini visive solamente; a livello di IM l’immagine visiva può essere importante come punto di riferimento per il terapista, ma ha una rilevanza molto parziale: ancora più importanti sono le immagini tattili, cenestesiche, kinestesiche, cioè l’insieme di percezioni che possiamo provare col corpo reale.

Tutti possono avere come confronto l’esperienza del sogno. Mentre sogliamo non esperimentiamo soltanto immagini visive: quando una persona prova ansia, prova anche un senso di costrizione (sensazione cenestesica). Se un sogno è gioioso si prova un senso di dilatazione, come possono essere molto intense le sensazioni di calore, di freddo (sensazioni di tipo tattile).

Esiste IM soltanto quando, a livello del processo immaginario, sono presenti tutti questi aspetti sensoriali, vissuti attraverso quello che tecnicamente è indicato come “Io Corporeo Immaginario” (ICI), in contrapposto all’“Io Corporeo Reale” (ICR).

Nell’IM il soggetto non si vede. Quando una persona fa una fantasia di tipo ordinario, un “sogno ad occhi aperti” (come si può fare sulla sedia a sdraio o sulla spiaggia), di solito si vede nelle varie situazioni. Questa fantasia, molto spesso, ha le caratteristiche attribuitele da Freud, ha cioè carattere compensatorio o di fuga dalla realtà.

Nell’IM il soggetto non si vede, ma si sente; come nella vita di veglia non ci si vede ma si vedono gli altri (per vederci, si dovrebbe avere davanti una superficie riflettente, uno specchio), però ci si sente: la propria posizione, il proprio corpo, come si è seduti, eccetera.

Nell’IM esiste la stessa situazione d’esperienza. Se non arriviamo a questo tipo di situazione, le fantasie non hanno nessuna rilevanza, dal punto di vista psicoterapico.

Per di più, le sequenze immaginarie “concrete” devono concatenarsi spontaneamente in una successione drammatica il più possibile intensa, prolungata e spontanea. Questa è I’IM. Essa non è quindi un metodo psicoterapico, ma un processo mentale, che può essere usato nella psicoterapia, come Freud ha usato un altro processo mentale, la libera associazione, che è diverso dall’IM.

L’IM, come processo mentale, può essere usato in vari modi, e da ciò i vari metodi psicoterapici basati su di essa. L’IM può essere anche adoperata o inclusa in altri metodi.

È possibile anche usarla con finalità varie: possiamo cioè adoperare il processo mentale dell’IM con finalità psicoterapica, di esplorazione o guida psicologica, di ampliamento delle possibilità psicologiche, psichedeliche (questa parola ha attualmente una brutta fama, ma noi l’adoperiamo nel suo significato etimologico, cioè di ampliamento e allargamento della personalità) o con finalità artistica (ad es. a Parigi, dove c’è l’Istituto della SITIM, esiste un gruppo di artisti che lavora utilizzando l’IM sotto la guida del Prof. Ives Durand) come stimolazione della creatività, perché l’esperienza dell’IM accentua molto le capacità creative.

L’IM può essere utilizzata anche per approfondire l’esperienza interiore, dati i “territori interiori” che si aprono di fronte a chi fa una esplorazione prolungata della sua anima con ITP e, volendolo, anche per l’esperienza religiosa (particolari metodi di meditazione contemplativa).

Il suo uso poi è tanto più specifico quanto meno mescolato ad altri e quanto meno è diretta e perciò meno condizionata, nel suo svolgersi, dallo psicoterapista.

Si deve soprattutto evitare od usare con parsimonia l’“interpretazione” che, come sanno, è il mezzo tecnico fondamentale dell’analisi freudiana e adleriana. Essa è utilizzata anche nell’analisi junghiana, per quanto con procedimento diverso, “amplificazione” più che “riduzione” dei simboli e delle situazioni. Tale tipo di interpretazione è più sottolineata nelle fasi avanzate dell’analisi junghiana.

Sotto questo aspetto i metodi psicoterapici che si basano sull’IM (e in particolare il mio metodo, l’ITP) si differenziano da tutti i metodi psicoterapici esistenti, che adoperano sempre l’interpretazione come mezzo fondamentale, come base, a parte l’ipnosi che però si distingue nettamente dall’IM.

Nel mio metodo, che ha per sigla ITP (Tecnica Immaginativa di analisi e ristrutturazione del Profondo), l’interpretazione è sostituita dall’esperienza immaginaria; cioè al posto dell’interpretazione c’è l’esperienza che il soggetto fa a livello immaginario lungo lo svolgimento delle Imagerie psicodrammatiche e che lo aiuta a superare i conflitti, a colmare le carenze e le frustrazioni e che, ad un certo momento, gli permette anche di prendere coscienza, in modo intuitivo diretto, senza che sia necessario obiettivarlo sul piano intellettuale, della natura dei suoi problemi. Il processo è un po’ simile all’“insight” che si ha nello psicodramma o alla comprensione intuitiva che possiamo avere nella nostra vita reale, quando abbiamo rapporti profondi e autentici con gli altri o il nostro intimo.

A base del nostro vivere c’è sempre questo scambio, questa comprensione intuitiva di noi stessi e degli altri ed è molto raro che noi ci fermiamo nella conversazione e nel nostro vivere per obiettivarla. Noi viviamo questa intuizione e ce ne serviamo per vivere. Su di essa sono basate le nostre certezze vitali. Qualcosa di simile avviene nell’ITP, la cui idea fondamentale mi è venuta dalla raccolta personale di circa duemila sogni scritti, senza interpretazione.

Quando si raccoglie una lunga serie di sogni, si assiste ad un fatto importante: i sogni si dispongono in serie. Se sono presenti dei conflitti, è possibile osservare che c’è una tendenza all’“autocura”, cioè noi stessi, quando sogniamo, non solo scarichiamo le tensioni momentanee della giornata, ma anche tendiamo a elaborare i conflitti di fondo.

Il sogno non ha cioè soltanto la funzione di scarico delle tensioni del giorno, ma anche quello molto più importante di tentativo di superamento dei conflitti di fondo. Possediamo cioè la tendenza spontanea a guarire dai nostri disturbi psicologici e a ritrovare un equilibrio personale, attraverso l’elaborazione onirica.

Se noi raccogliamo dei sogni per lungo tempo, vediamo che la loro serie tende ad andare nel senso della soluzione dei conflitti, e che ad un certo momento è possibile individuare i conflitti in modo intuitivo, senza applicare chiavi interpretative prestabilite. Però, ad un certo momento, avviene sempre qualcosa per cui il processo di autocura s’interrompe. Si ritorna di colpo all’indietro, all’inizio della situazione conflittuale, oppure anche ad un livello inferiore a quello da cui si era partiti. Ciò è dovuto al fatto che durante il sogno l’Io è passivo.

Infatti i sogni li “subiamo”. Per questo diciamo: ho sognato, …mi è successo questo… e, per questa stessa ragione, nel sogno proviamo ansia, terrore, costrizione, eccetera. Se noi potessimo dominare i contenuti inconsci, che si esprimono attraverso lo scenario del sogno, non proveremmo mai né ansia, né paura, né impressione di blocco, né risvegli per sfuggirli. Se l’Io potesse essere attivo nel sogno, il processo dell’autocura potrebbe essere portato a termine.

Da quanto è stato detto si può affermare  che noi viviamo ordinariamente due stati (senza contare quello del sogno senza sogni):

  • 1° stato di veglia: in esso c’è separazione tra Io e Inconscio, e l’Io è attivo e l’Inconscio represso
  • 2° stato di sonno: nel quale abbiamo lo stesso separazione tra Io e Inconscio, con Inconscio attivo e Io passivo.

Basterebbe realizzare la situazione che io chiamo il “3° stato” e cioè di rapporto intenso tra Io e Inconscio, Inconscio che comunica con l’Io, mentre nello stesso tempo l’Io resta attivo, perché fosse possibile portare a termine l’autocura.

Se potessimo sognare in questo 3° stato, ci potremmo liberare da soli dai nostri conflitti. Ora, questo 3° stato viene realizzato attraverso il rilassamento profondo.

Esso è stato controllato anche dal punto di vista elettroencefalografico (si passa così dal ritmo caratteristico dello stato di veglia (30 cicli al secondo) ai 10-12 c/s sincronizzati a predominanza posteriore, dello stato di IM.

Il rapporto e gli interventi dello psicoterapista mantengono lo stato ipovigile al suo  livello ottimale, in modo che il soggetto non passi a quello di sonno ordinario. In queste condizioni esiste un’agevole comunicazione tra Io e Inconscio, mentre l’Io resta attivo.

Quindi il soggetto, a un certo momento, avviato il processo fantastico, incomincia a produrre dei “sogni del 3° stato” che si prolungano anche un’ora e più, verbalizzandoli allo psicoterapista e mantenendo il suo Io attivo, capace di far fronte alle situazioni del “sogno” e quindi a risolvere i conflitti che incontra.

Questa situazione è completamente diversa da quella dell’ipnosi in cui c’è una netta divisione tra lo stato d’ipnosi e lo stato di veglia (nell’IM invece c’è continuità, rapporto stretto fra coscienza e inconscio, tanto è vero che dopo la seduta d’IM il soggetto ricorda perfettamente la vicenda).

È poi completamente diverso il rapporto con lo psicoterapista (non esiste dipendenza nell’IM) e anche il modo di procedere terapeutico è completamente diverso, perché nell’IM non si agisce sul sintomo, ma sulle condizioni che lo sostengono.

Data l’assenza di interpretazioni nell’ITP, credo utile accennare agli inconvenienti, o possibili inconvenienti, dell’interpretazione che è poi il mezzo più usato in psicoterapia. L’interpretazione è il tentativo di ricostruire sentimenti o fantasmi inconsci attraverso degli indizi che vengono colti dallo psicanalista nella catena delle associazioni cosiddette “libere”, oppure attraverso i sogni.

È quindi l’ipotesi di un “detective”, e, come tutte le ipotesi, specialmente quando esse sono applicate al comportamento degli altri, ha sempre qualcosa di arbitrario, di incerto, e nell’ambito della psicoterapia è possibile peccare di autoritarismo o porre il pericolo dell’addottrinamento.

Cioè, l’ipotesi, applicata al caso particolare, tende fatalmente a organizzarsi, a gestaltizzarsi secondo i pregiudizi (nel senso etimologico della parola), cioè secondo le teorie e le ipotesi psicodinamiche dello psicoterapista. Non si è mai sicuri che il coniglio bianco che si tira fuori non sia stato precedentemente nascosto nel cappello.

Ora, I’ITP invece è particolarmente ingenuo, perché non ci sono né punti di partenza, né punti di arrivo prefissati, non c’è interpretazione. Protagonista della cura è il cosiddetto paziente.

Compito dello psicoterapista, una volta avviato il processo fantastico, è simile a quello di un buon compagno di gita in montagna, che fa osservare certi aspetti interessanti del panorama, certi particolari eccetera, dando una mano nelle situazioni difficili.

Infatti l’ITP, sia in ogni singola seduta, sia nel suo processo complessivo, è simile a un “viaggio” in cui si scoprono i vari territori della psiche o dell’anima. Dapprima l’“inferno” e il “purgatorio” conflittuali, poi la “divina foresta spessa e viva” dell’integrità psicologica riacquistata e del rapporto con le profondità vitali dell’Inconscio e del Superconscio, e poi al di sopra si aprono “i cieli”.

Non è da credere, però, che questa “ingenuità” lo renda facile nell’applicazione. Proprio per questo, cioè per quel partire senza paraventi e senza punti di appoggio di fronte all’imprevisto, esige da parte dello psicoterapista una lunga preparazione sia personale che tecnica.

Quanto ho accennato circa “i cieli” viene poi ad indicare l’importanza che può assumere I’ITP, se non altro come base di riflessione, come problema che si presenta, da un punto di vista filosofico e in particolare antropologico (nel senso classico della parola) e quindi di conseguenza anche pedagogico.

Nell’esperienza con I’ITP si constata come certi aspetti e valori, quali i livelli spirituali dell’uomo, la morale, la libertà umana, Dio e Religione, che venivano negati o considerati illusioni sulla base di pregiudizi riduttivi nella psicologia freudiana e che in Jung venivano valorizzati, ma sempre con il dubbio della loro natura soggettiva, vengono riscoperti, anzi sottolineati. Ciò che mi sembra particolarmente importante è che a questo si arriva senza che tali risultati fossero nel proposito di alcuno e senza che iniziando l’esperienza ce li aspettassimo.

Dal punto di vista metodologico è fondamentale il constatare come questa immagine dell’uomo, ritrovata con nuovi mezzi, ma perenne, sia stata riscoperta così, senza presupposti o suggestioni, in modo diretto, immediato, ingenuo, come il bambino scopre l’eterna novità del mattino o del ritorno della primavera.

Particolarmente interessanti, dal punto di vista antropologico, sono gli “Stati-luce” che si esperimentano al di là dell’esperienza delle immagini archetipiche di Jung, l’“uscita dall’immaginario” in cui si fa l’esperienza del “Silenzio”, dell’inesprimibilità di fronte alla Trascendenza.

A questo livello si ha la liberazione dai quadri spazio-temporali abituali, si esce probabilmente dallo spazio euclideo e si entra negli iperspazi, studiati dalla matematica moderna.

Altro aspetto importantissimo è l’esperienza della “contemporaneità” di livelli che dà una base psicologica al problema della libertà umana, dell’autodeterminazione; perché, se riflettiamo bene, tutte le psicodinamiche attuali sono deterministiche.

Alle volte si discute sul fatto della natura delle motivazioni dell’agire dell’uomo, cioè per esempio se esse sono istintive o valoriali. Il problema fondamentale non è questo, ma quello della struttura dell’atto umano e della personalità.

In tutte le psicodinamiche attuali troviamo sempre descritta una causalità di tipo lineare, cioè l’atto umano è considerato secondo una causa ed un effetto disposti in modo lineare e secondo il principio omeostatico o entropico. Arrivato a un certo livello di tensione dell’organismo l’atto scatta. Inoltre, la personalità è concepita come un sistema chiuso, di tipo idraulico e ad andamento entropico. E questo è perfettamente logico perché le psicodinamiche attuali non sono altro che una generalizzazione di comportamenti psicopatologici.

Il comportamento psicopatologico, sia esso impulsivo o coatto, è determinato, cioè entropico, soltanto non lo si può generalizzare per spiegare la psicologia dell’uomo nel possesso della sua totalità psicologica e spirituale che non è assorbito dall’agire impulsivo o coatto.

Nell’esperienza terminale dell’ITP è possibile vivere contemporaneamente (contro la legge dell’attenzione della psicologia accademica e contro le leggi della introversione-estroversione della psicologia del Profondo) e con la stessa intensità l’esperienza del Silenzio o di uno Stato-luce ed una esperienza quotidiana: l’esperienza quotidiana viene quindi vissuta come “avvolta” da un alone di Assoluto. Allora soltanto è possibile il vero agire libero, autodeterminato, veramente personale. L’uomo ha bisogno del contatto con l’Assoluto per poter agire liberamente.

Poco importa il livello della motivazione istintivo o valoriale; l’importante è che il motivo non fagociti completamente, totalmente il mio tendere e il mio estendersi psichico, e che non prema fatalmente la bilancia della mia scelta. Senza la compresenza del movente e dell’Assoluto, l’uomo non è altro che una marionetta in mano agli istinti, o ai suoi conflitti, alle convenienze, o alle pressioni sociali.

L’ITP, che dà la possibilità di vivere intensamente queste esperienze di “contemporaneità”, apre anche l’uomo all’esperienza della libertà nel vero senso della parola. E penso come risulti evidente l’importanza filosofica e pedagogica idi questa esperienza.

Per contrasto mi viene da pensare a quante persone si sono lasciate influenzare nella loro vita da prospettive puramente ipotetiche legate a ipotesi psicodinamiche istintivistiche e deterministiche, e come su questa base abbiano giocato la vita loro e dei loro figli.

Le esperienze di natura spirituale con cui talora si conclude la psicoterapia con I’ITP, potrebbero far pensare a una psicoterapia molto lontana dalla realtà corporea; invece non c’è psicoterapia che impegni così a fondo il corpo come I’ITP, o i metodi consimili di IM, data la premessa necessaria del rilassamento e di altri procedimenti preliminari. Il vivere l’IM è sempre attraverso l’Io Corporeo Immaginario, con tutte le sensazioni di cui prima parlavo e che porta anche a una coscienza approfondita del proprio corpo.

Sembra quindi potersi concludere che l’uomo, solo essendo veramente “uomo” cioè corpo e anima intimamente unite, possa ritrovare anche gli aspetti più alti della sua natura. E chi ha sperimentato gli Stati-luce sa bene come questa esperienza non sia soltanto luce, gioia, benessere per l’anima, ma anche per il corpo.

Non è quindi nella fuga dal corpo o nella fuga dall’anima (i due poli opposti tra cui sembra abbiano sempre oscillato gli orientamenti nelle varie epoche della storia dell’umanità) che sembra localizzarsi la soluzione dell’esistenza. Ma è “in questo corpo e in quest’anima” in cui mi ritrovo e che io devo assumere in modo totale, nella e attraverso l’accettazione e l’approfondimento della loro unità, ch’io posso trovare anche il senso della vita e il rapporto con il Suo Principio.