La memoria è il tessuto dell’identità – La memoria nelle Terapie Immaginative.

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RedazioneIvana Zanetti

Zanetti Ivana, psicologa e psicoterapeuta ITP, docente ITP, direttore scuola di psicoterapia ITP.

 

La memoria è il tessuto dell’identità – La memoria nelle Terapie Immaginative. 

Il titolo del seminario è una citazione di Nelson Mandela (https://www.nelsonmandela.org/content/page/about-the-centre-of-memory1)

“In the life of any individual, family, community or society,

memory is of fundamental importance.

It is the fabric of identity”.

Ci rendiamo conto della vastità del tema della memoria: ampliamente affrontato in psicologia e in filosofia,  argomento di studio privilegiato e attuale nelle neuroscienze. Un argomento che meriterebbe un altro tempo e un altro spazio è quello della costruzione della identità dei popoli e delle comunità, nonché dei gruppi.

La proposta di oggi però riguarda la formazione dell’identità e il contributo che possiamo dare con il nostro comune approccio: quello delle Tecniche Immaginative. Ricordiamo a questo proposito l’interesse del GITIM, negli anni, al tema  della memoria;  in particolare pensiamo ai seminari con la prof.ssa Tilde Giani Gallino sulla “memoria autobiografica” e su “i luoghi di attaccamento”, al suo originale e interessante lavoro in cui si spiega come, nella costruzione dell’identità, parte significativa sia da attribuire  ai luoghi importanti nella vita, i “luoghi di attaccamento”, appunto.

Ben dice Galimberti: “La memoria è la mappa dei nostri ricordi che ci dice chi siamo, è il fondamento della nostra identità e del mondo che abitiamo. Basta infatti un black-out della memoria che più non sappiamo chi siamo e in che mondo ci muoviamo, come capita alle persone anziane che perdono la memoria e si perdono nel mondo”.Le malattie senili – l’Alzheimer e la demenza senile – sono vissute come particolarmente penose: mentre si cancellano i ricordi l’essere umano cessa di essere individuo, soggetto, e “il mondo si disfa”.

“Non ci sarebbe “Io” se la memoria non costruisse quella sfera di appartenenza per cui riconosco come “miei” azioni, vissuti, pensieri e sentimenti. Non ci sarebbe “mondo” se la memoria non cucisse la successione delle visioni, che, altrimenti, si offrirebbero come spettacoli sempre nuovi, apparizioni tra loro irrelate” (da  Galimberti). Noi interpretiamo noi stessi e il mondo a partire da schemi emotivi e cognitivi che ci siamo formati nella prima e primissima infanzia. Galimberti ancora dice: “Nessuno di noi abita il mondo, ma esclusivamente la propria visione del mondo, la propria visione del mondo costruita sulla memoria”. Abbiamo una “visione del mondo”, una biografia che ci rende e ci fa sentire inconfondibili con la nostra identità costruita dalla memoria, sulle esperienze maturate nella famiglia, nella nostra cultura, nell’ambiente.

La nostra autobiografia non è tuttavia una “storia”. È ormai ampiamente narrato quanto poco attendibili siano i ricordi della nostra lontana infanzia, i ricordi in genere. Oliver Sacks ne parla con grande tranquillità quando integra nella sua autobiografia anche i suoi falsi ricordi, cioè racconti riferiti, relativi alla sua infanzia. La memoria quindi non è un archivio, ma è importante per le connessioni che stabiliamo fra passato e presente, tra narrato e vissuto.

Le recenti scoperte scientifiche hanno mostrato la possibilità di iscrivere nella memoria dei “falsi ricordi”, modificando le mappe cognitive ed emotive che ci orientano nell’esperienza.

La memoria che adesso si pensa di modificare così con l’immissione di ricordi “falsi”, nella psicoanalisi di Freud era oggetto di un lavoro importante per ricostruire una memoria per consentire il “ritorno del rimosso”, con l’associazione delle idee: la memoria inconscia alla base della nevrosi veniva rivelata attraverso la parole e l’interpretazione che illuminava la coscienza.

Adesso potremmo trovarci di fronte a interventi della biochimica, che si propongono di togliere dalla memoria ricordi dolorosi responsabili della sofferenza psichica. Si pongono così dei seri problemi etici. Qui si apre il tema della sofferenza e anche dell’evitamento della sofferenza (questo avviene sia nel mondo virtuale, che nelle dipendenze, che nella psicopatologia, che possono essere a volte conseguenza di un approccio culturale ed educativo teso all’evitamento delle difficoltà).

Lo scopo del nostro incontro di oggi è confrontarci nel campo terapeutico, rivolto alla cura del disagio nella visione delle Terapie Immaginative nelle loro sfaccettature. Tutto ciò nel rispetto del paziente, consapevole di ricostruire con il terapeuta la propria identità, nelle sue assise più profonde. Le terapie attuali soprattutto quelle immaginative vanno oltre il recupero del rimosso di Freud e la cura con la parola solamente; rivolgono la loro attenzione alle fasi precocissime dello sviluppo, e si rivolgono particolarmente a quella memoria lontanissima “implicita”, che cioè non viene verbalizzata e ricordata perché non verbalizzabile, che emerge nei gesti, nelle posture, nei malesseri somatici, e che è molto “corporea”.

La Tecnica Immaginativa, che trascende la parola, potrà schiuderci delle possibilità altre.

Nella terapia, lungi dal voler eliminare la sofferenza e i ricordi dolorosi, si aiuta la persona a diventar capace di tollerare, temporalizzare (mettere nel tempo) e soprattutto recuperare una capacità riparatoria, con un benefico effetto sulla definizione dell’identità.