Guerra e Pace nell’Immaginario

image_pdfimage_print
Psicoterapia con l’ITPIvana Zanetti

 

La psicoterapia con l’I.T.P.

 

Ivana Zanetti – Psicologa Psicoterapeuta, Presidente GITIM, Direttore della Scuola di Psicoterapia ITP

Introduzione: Guerra e Pace nell’Immaginario

Considerazioni psicodinamiche relative alla guerra.

Il presente incontro “Guerra e Pace – Riflessioni sull’Immaginario” ci sollecita in vario modo su più versanti:

-        ci invita a scandagliare una tematica impegnativa che ci porterà verso una lettura psichica della guerra (lasciando ad altre competenze le tematiche economiche e politiche), che ci spingerà verso una dimensione archetipica, implicita nel titolo;

-        ci sollecita a porre in primo piano gli aspetti legati alla sofferenza delle persone concrete, dei profughi che hanno bisogno di accoglienza.

-        nello stesso tempo ci porta qui a chiederci come ci poniamo in particolare noi psicologi ed educatori; che contributo possiamo dare?

Un breve excursus

Non possiamo ignorare le varie visioni ed elaborazioni intorno al tema della  guerra.

La guerra ci porta a riflettere perché ci mette in contatto innanzitutto con la morte, con la natura umana nelle sue caratteristiche più estreme, con la violenza, con l’orrore. Nello stesso tempo  ci mette in contatto, paradossalmente, con il meccanismo della negazione dell’orrore. Pensiamo ai campi di concentramento, alle forme più atroci della malvagità dell’uomo sull’uomo: come è possibile ignorare cosa viene fatto dall’uomo sull’uomo, come è stato possibile ignorare il fumo dei campi di concentramento?

La guerra ci pone degli interrogativi sulla natura umana e ci induce a chiederci fin dove l’uomo è disposto ad arrivare: la distruzione totale di una guerra nucleare non è così lontana, anzi non è mai stata così vicina. Diventa allora impellente la domanda: quali sono i meccanismi psicologici che sottostanno alla guerra?

Due poesie emblematiche che rappresentano l’antinomia dell’uomo di fronte alla guerra

Rileggiamo due poesie che possono condensare il nostro porci di fronte alla Guerra.

“Uomo del mio tempo”, scritta alla fine della seconda guerra mondiale da Salvatore Quasimodo:

Uomo del mio tempo (da “Giorno dopo giorno” – 1947 [1])

Sei ancora quello della pietra e della fionda,

uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,

con le ali maligne, le meridiane di morte,

– t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,

alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,

con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,

senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,

come sempre, come uccisero i padri, come uccisero

gli animali che ti videro per la prima volta.

E questo sangue odora come nel giorno

quando il fratello disse all’altro fratello:

«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,

è giunta fino a te, dentro la tua giornata.

Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue

salite dalla terra, dimenticate i padri:

le loro tombe affondano nella cenere,

gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

 

“Fratelli”, scritta durante la prima Guerra Mondiale da Giuseppe Ungaretti:

Fratelli (Mariano il 15 luglio 1916 [2])

Di che reggimento siete

fratelli?

Parola tremante

nella notte

Foglia appena nata

Nell’aria spasimante

involontaria rivolta

dell’uomo presente alla sua

fragilità

Fratelli.

Cosa ci dicono? L’uomo ha in sé i germi della propria distruzione, ma anche quelli della salvezza. Nelle due poesie troviamo due diversi atteggiamenti.

Nella poesia di Quasimodo si vede l’uomo, freddo esecutore di morte, ripiombare nella violenza in un contesto in cui il progredire della scienza ha arricchito i mezzi sinistri di morte. Il poeta si augura anche che una nuova generazione possa cambiare atteggiamento; c’è l’idea di una rigenerazione.

C’è una netta distanza tra l’uomo e il suo nemico, una freddezza consolidata dai mezzi sempre più sofisticati, potenti, distruttivi. Diremmo, psicologicamente, che c’è una profonda scissione tra sé e l’altro, su cui vengono proiettati i mali e le colpe che “giustificano “la ferocia e la distruzione. Diremmo: meccanismi di scissione e proiezione contrassegnati dal distacco e dalla freddezza emotiva, che ha poi il suo ritorno nelle malattie psichiatriche e nei disagi di gran parte dei soldati di ritorno dalle imprese belliche.

In tutte le guerre è importante la propaganda, che deve “costruire il nemico”. Nelle guerre attuali si uniscono vari elementi, la tecnica elevata che aumenta la distruttività, e anche la propaganda invasiva per cui non si conosce il vero volto della guerra, come suggerisce anche il quadro di Magritte “La grande guerra” [a]; quadro interessante perché quella copertura del volto ci dice che nella guerra nulla è come sembra … il vero volto della guerra è inesorabilmente nascosto.

Nella poesia di Ungaretti la lirica si struttura tutta nella parola “Fratelli”, un grido che irrompe: parola tremante nella notte, foglia appena nata, involontaria rivolta, appare finalmente “liberata”. La poesia ci testimonia la capacità e la possibilità di costruire un rapporto con un altro “reale” per cui provare sentimenti di vicinanza, di scoprire che l’altro è come noi, cosa che la propaganda si guarda bene dal fare, perché allora potremmo scoprire che anche il nemico è come noi, è un altro come noi.

Emilio Lussu in un suo libro (“Un anno sull’Altipiano” [3]) riporta come, durante una ricognizione tra le trincee nemiche, scopre che “Una vita sconosciuta si mostrava improvvisamente ai nostri occhi (…) ora si mostravano a noi, nella loro vera vita. Il nemico, il nemico, gli austriaci, gli austriaci!… Ecco il nemico ed ecco gli austriaci. Uomini e soldati come noi, fatti come noi, in uniforme come noi, che ora si muovevano, parlavano e prendevano il caffè, proprio come stavano facendo, dietro di noi, in quell’ora stessa, i nostri stessi compagni. Strana cosa. Un’idea simile non mi era mai venuta alla mente. Ora prendevano il caffè. Curioso! E perché non avrebbero dovuto prendere il caffè? Perché mai mi appariva straordinario che prendessero il caffè? (…) Forse che il nemico può vivere senza bere e senza mangiare?”.

Da questo approccio – confrontarsi con l’altro, il “diverso” – forse può venire qualcosa di nuovo. Questo ci testimonia l’uscita dall’immaginario della posizione schizoparanoide  e l’ingresso in un’altra dimensione, che noi sappiamo essere quella depressiva.

La guerra: Eros e Thanatos.

La guerra attuale ci appare come momento di massima importanza data alla tecnica e alla razionalità scissa dal sentimento. È un momento infernale, dice Annamaria Mazzarella nel suo libro “Alla ricerca di Beatrice” [4], in cui l’uomo scende al livello della passione sanguinosa della Lupa. E così  speriamo che l’umanità non voglia morire congelata nella “ghiaccia del Cocito” e sia capace, come Dante, di compiere la “metanoia”, ossia il capovolgimento del modo di pensare.

La  risposta (di Dante) è nell’“intelletto d’amore”, che non è la fredda razionalità.

La visione di Freud: Eros e Thanatos.

Freud  postula, come noto, il principio di vita e il principio di morte, “Eros e Thanatos”, due aspetti della natura umana; vede la guerra come proiezione all’esterno dell’impulso di morte, evitando l’angoscia nella coscienza individuale e collettiva, la guerra come “meccanismo di difesa che tenta di controllare l’angoscia dell’autodistruzione proiettando la pulsione di morte all’esterno” (Galimberti, dizionario [5]).

Ne “Il disagio della civiltà” (1929 [6]) Freud si sofferma sulla naturale tendenza al male e si interroga sul futuro dell’Umanità: “Il problema fondamentale del destino della specie umana a me sembra questo: fino  a che punto l’evoluzione civile riuscirà a padroneggiare i turbamenti della vita collettiva provocati dalla pulsione aggressiva e auto distruttrice degli uomini … Gli uomini proprio adesso hanno esteso talmente il proprio potere sulle forze naturali, che giovandosi di esse sarebbe facile sterminarsi a vicenda fino all’ultimo uomo … E ora c’è da aspettarsi che l’altra delle due potenze celesti, l’Eros eterno, farà uno sforzo per affermarsi nella lotta con il suo avversario parimenti immortale. Ma chi può prevedere se avrà successo e quale sarà l’esito?”.

È legittimo il dubbio: di fronte alla distruttività derivante dall’uso delle armi atomiche, l’uomo saprà fermarsi?

La dimensione archetipica.

In un’altra prospettiva  (junghiana) si rileva invece la dimensione archetipica della guerra. La guerra è essa stessa un archetipo che comporta la tensione e la lotta fra opposti.

La guerra è innegabilmente un archetipo ben attivo nello spazio e nel tempo. Non possiamo ignorare che è ubiquitaria e appartiene a tutti i tempi e a tutti i luoghi, salvo che, come dice Quasimodo, adesso vediamo aumentare la sua potenzialità distruttiva e sentiamo di avvicinarci sempre più alla Catastrofe.

La guerra è ubiquitaria; nessun luogo e nessun tempo può dirsi esente dalle guerre;  il conflitto, Polemos, è all’origine di tutte le cose; la polarità e il conflitto sono inevitabili.

Una breve annotazione sul  mito ci dà delle interessanti letture sulla guerra, sul suo essere archetipo. Osserva Mircea Eliade nel libro “Miti e Riti” [7] come le grandi dee dell’Oriente siano ad un tempo divinità della terra e della guerra; ad esempio Ashtart, dea semitica divinità tutelare dell’amore e della fecondità universale è nel contempo protettrice dei guerrieri; Nanaia, dea della Mesopotamia e dell’Iran, è una divinità guerriera; Ishtar di Babilonia è dea della fecondità e della guerra, ed anche la divinità semitica Anat e altre sono divinità della fecondità e della guerra. È strano, le grandi dee asiatiche non appartengono ai guerrieri ma alla guerra, gli uomini adorano queste dee solo in tempo di guerra. Le dee proteggono la guerra perché è grande strumento di morte, la guerra è una forma della morte.

Nel mito, la Grande Madre fonde la vita con la morte, il bene con il male. Nelle orge rituali il principio era questo: la fusione, la soppressione dei limiti, la ricerca del tutto senza limiti. L’orgia rituale era fatta in primavera per assicurarsi i raccolti. L’orgia era un gesto magico per assicurarsi la fertilità, simboleggiava attraverso la cancellazione dei confini la fusione sotterranea, il disfacimento del chicco e il suo passaggio ad altra cosa. La creazione vegetale era legata allo scatenamento di Eros, negli eccessi orgiastici, e l’orgia doveva portare ad una confusione drammatica nella quale non vi fosse nessuna forma e nessuna legge: situazione indifferenziata antecedente alla creazione.  In Tracia il culto di Dioniso era affidato alle donne, le baccanti; il tema è quello del buio, del sotterraneo e del disfacimento , lo stesso disfacimento del seme, da cui nasce una nuova pianta da cui nasce una nuova vita..

Secondo Eliade, gli uomini delle culture agricole attribuiscono lo stato amorfo di semi ai morti, il seppellimento del cadavere ha questo senso :la trasformazione in attesa della rinascita. Il cadavere seppellito torna alla matrice originaria: la terra. Dal disfacimento del seme si avrà la nuova pianta. analogamente dalle ossa , dal disfacimento, si avrà nuova vita.

Il principio femminile della decomposizione per la rinascita  spiega l’associazione tra le dee della fertilità e  la guerra: la guerra e la morte che origina  e la vita appaiono in questi miti indissolubilmente legati.

Claudio Widmann, in un  suo intervento rintracciabile su YouTube [8] presenta la  Guerra come archetipo e come inizio di una cultura (all’inizio della civiltà greca c’è la guerra di Troia, all’inizio della civiltà Romana c’è la guerra che combatte Enea, ecc.). Da una distruzione si avrà una nuova cultura, una nuova società: questo l’archetipo che riemerge anche oggi inconsapevolmente. La mitologia ci rimanda anche all’ineluttabilità della guerra, a cui non ci si può sottrarre.  Ulisse e  Achille inizialmente non vorrebbero andare in guerra; ciò esemplifica l’ineluttabilità della guerra e l’impossibilità di sottrarsi, la stessa ineluttabilità che trasforma il cittadino in soldato.

La guerra è ritorno all’indifferenziato, come fenomeno regressivo in cui domina l’Inconscio. Widmann ci indica anche altri aspetti regressivi della guerra: una identità arcaica (tutti come un sol uomo, non c’è più individualità, identità soggettiva) e l’erotizzazione della distruzione. La guerra è un fenomeno della psiche collettiva in cui spariscono anche i confini tra conscio e inconscio.

Widmann però sostiene anche che la guerra è “il figlio malato delle antinomie”. Tali antinomie dovrebbero essere affrontate con l’apporto della coscienza: l’uomo deve confrontarsi con la propria ombra. Nella guerra e nel conflitto malevolo le parti oscure sono proiettate sul nemico, ma questo fatto va riconosciuto e quindi superato.

Un approfondimento dei temi archetipici sarà  interessante per spiegare molte caratteristiche della guerra e dei popoli in guerra.

Che sarà? Una domanda che possiamo farci e che è presente nel carteggio fra Freud e Einstein.

Einstein chiede a Freud (1932 [9]): “C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?”. Freud  risponde che “Una prevenzione sicura della guerra è possibile solo se gli uomini si accordano per costituire un’autorità centrale, al cui verdetto vengano deferiti tutti i conflitti di interessi. Sono qui chiaramente racchiuse due esigenze diverse: quella di creare una simile Corte suprema, e quella di assicurarle il potere che le abbisogna.”

Nel 1945 Jung, sconvolto dalle sventure e dai lutti bellici, inorridito “dall‘irresistibile fascino del male” che aveva condotto alla trance possessiva delle masse, pur ammettendo l’importanza del fattore economico, affermerà che “al di sopra e al di là di ogni fattore esterno, le decisioni ultime risiedono sempre nella psiche umana” e che dunque “affinché si muti l’intera realtà deve prima mutare l’uomo” [10].

Il Conflitto.

Vorrei ora spostare l’attenzione sul tema del Conflitto, che ci riguarda tutti, un tema che riguarda quanto mai la psiche.

Nella nostra realtà è comune il conflitto, siamo “dominati” dal conflitto. Accenno solo ad un ambito, quello della separazione, dove si sviluppano conflitti molto nocivi per il figlio.

Ma i conflitto riguardano in generale tutte le relazioni. Come affrontarli? Innanzitutto bisogna affrontarli!

Ci sono i conflitti interni: questo è il campo della Psicoterapia. Non mi dilungo, ma sottolineo che le tecniche Immaginative (ITP) ci insegnano che i conflitti vanno affrontatati. Le stesse immagini del nostro Inconscio collettivo dicono che il conflitto con i nostri mostri va affrontato.

Come psicologi dobbiamo ribadire che quelli che vanno sconfitti sono i demoni interni (Lucifero dentro di noi). Quello che uccidi simbolicamente è il nemico simbolico. Bisogna riconoscere la propria ombra ci direbbe Jung, i propri fantasmi ci direbbe Rigo (cioè le nostre relazioni malevole interiorizzate).

La Tecnica Immaginativa ha delle modalità significative in tal senso; simbolicamente è lecito, è bene uccidere il nostro drago e il nostro fantasma interno, che può rappresentarsi in varie immagini, in cui l’elemento comune è che possiamo esserne sopraffatti, annientati (un’immagine famosa in questo ambito è la lotta e la vittoria di San Giorgio sul Drago [b].

Ci sono poi i conflitti esterni: nel campo del lavoro, delle separazioni, delle relazioni interpersonali. In genere è importante imparare strategie di pacificazione: questo è il campo dell’educazione e della crescita, dell’educazione alla pace.

Nei conflitti le persone possono usare strategie differenti; talora non siamo consapevoli delle nostre strategie; è possibile cambiare le strategie comunque. Spesso abbiamo degli obiettivi personali in conflitto con quelli degli altri, ma non vorremmo perdere la relazione con l’altro; ecco perché in questi casi è particolarmente importante la strategia.

Un momento di gioco: a chi assomigliate? (Tipologie di confronto con l’avversario, come descritto nel libro “La Stratégie du Dauphin” di Dudley Lynch [11])

La tartaruga (la ritirata). Ci si ritira evitando, ci si allontana da tutto ciò che è conflitto.

Lo squalo (la forza). Gli squali vogliono vincere sempre ad ogni costo. Valgono gli obiettivi personali, ma non contano le relazioni. Il conflitto si risolve con il sopravvento di uno sull’altro.

L’orsacchiotto (la dolcezza). Qui contano soprattutto le relazioni interpersonali, si cerca di ignorare il conflitto per timore della perdita della relazione.

Il delfino (promuoversi reciprocamente). Questa è l’immagine del pesce mammifero, agile, intelligente, che sa affrontare le situazioni e muoversi tra due realtà: la terra e l’aria. La strategia del  delfino, la promozione reciproca, dà valore agli obiettivi personali e alle relazioni. Il delfino vuole uscire bene dal conflitto, ma ci tiene che ognuno guadagni qualcosa; il fatto che entrambi guadagnino qualcosa rende il delfino più forte. Il delfino ama le soluzioni creative e cerca i benefici comuni; importante è capire la complessità delle situazioni e viverci a proprio agio.

Nei conflitti bisogna vedere se li vogliamo affrontare nell’ottica della forza prevalente, del vincitore costi quel che costi (ahimè, nelle separazioni conflittuali spesso vediamo questo ) o nell’ottica della soluzione che permette a entrambi i contendenti di essere un po’ perdenti, ma entrambi vincitori.

Per questo sarebbe importante che tutte le strutture educative educassero al gioco in cui si vince e si accetta anche di perdere, insegnassero strategie di pace, ed educassero infine alla pace.

Immagini.

  1. René Magritte, “La grande guerre”, 1964,                                                                                   https://www.renemagritte.org/the-great-war.jsp
  2. Paolo Uccello, “San Giorgio e il drago”, 1460,                                                                              https://it.wikipedia.org/wiki/San_Giorgio_e_il_drago_(Paolo_Uccello)

 

Bibliografia

  1. Salvatore Quasimodo, “Giorno dopo giorno”, Mondadori, 1947 (1ª ed. originale).
  2. Giuseppe Ungaretti, “Il porto sepolto”, Stabilimento Tipografico Friulano, 1916 (1ª ed. originale).
  3. Emilio Lussu, “Un anno sull’altipiano”, Le lettere italiane, 1938 (1ª ed. originale).
  4. Adriana Mazzarella, “Alla ricerca di Beatrice”, Edra, 2015.
  5. Umberto Galimberti, “Nuovo dizionario di psicologia”, Feltrinelli, 2018.
  6. Sigmund Freud, “Il disagio della civiltà”, Bollati Boringhieri, 2008.
  7. Mircea Eliade ,“Miti e riti”, Rusconi, 2022.
  8. Claudio Widmann, “Intervista sulla guerra”,                                             https://www.youtube.com/watch?v=OMCEyHvGvfk
  9. Einstein- Freud, “Perché la guerra?”, 1932,                       http://www.iisf.it/discorsi/einstein/carteggio.htm
  10. Marco Garzonio, “La guerra e Jung. Sognando la pace”, 2023,                              https://www.milano.cipajung.it/wp-content/uploads/2023/01/2023-01-14-apertura-anno-accademico-prolusione-garzonio.pdf
  11. Dudley Lynch, “La Stratégie du Dauphin”, Editions de l’Homme, 1979 (1ª ed. originale).