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Silvano Secco: psicologo clinico e psicoterapeuta ITP.

  

 

In questo tempo di belligeranze tra Stati, anche vicine a noi, come il conflitto tra l’Ucraina e la Russia, ci sembra eticamente doveroso, come gruppo Gitim, prendersi una pausa per riflettere sul tema della guerra e della pace, sugli esiti psicologici ed umani che il male proietta su di noi, sul ruolo degli psicologi in eventuali interventi con i rifugiati, ma anche con i nostri pazienti che subiscono l’infodemia diffusa dai mass media.

Per fortuna noi non siamo direttamente coinvolti, né la popolazione civile né i soldati italiani. Di fatto, vi è un coinvolgimento indiretto, se non altro per quelle famiglie che accolgono i rifugiati o i volontari. Ma anche i nostri piccoli pazienti, i bambini, sono esposti ad immagini multimediali o alle preoccupazioni degli adulti.

Secondo Hillman James[1] la guerra è forse la prima delle sfide a cui la psicologia deve rispondere, perché minaccia direttamente la vita … l’esistenza di tutti gli essere viventi. Effettivamente le armi attuali hanno raggiunto una capacità distruttiva enorme ed il rischio di estinzione, non tanto della terra che ci ospita, quanto del genere umano, della vita animale e vegetale, è purtroppo una possibilità.

Quindi come gruppo GITIM e gli psicologi tutti dovremmo proporre delle riflessioni, definire un ruolo per quanto limitato esso sia, per prenderci cura delle persone che hanno subito o subiscono le guerre. Dovremmo contribuire alla ricerca della pace con la diffusione di una adeguata pedagogia dell’Immaginario.

Due le domande fondamentali: Perché la guerra? Come raggiungere la pace?



[1] Hillman J. Un terribile amore per la guerra, Adelphi, 2005, p. 12.