Più del dolore cronico, molto più del dolore acuto: il dolore totale, la sofferenza è l’abbandono”

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Immaginario: studi e ricercheGiovanni Zaninetta

Immaginario studi e ricerche

Giovanni Zaninetta: medico chirurgo.

 

Più del dolore cronico, molto più del dolore acuto: il dolore totale, la sofferenza è l’abbandono”

 

Premetto che in questa trattazione verrà considerato il dolore non solo come sintomo ma come manifestazione di un malessere esistenziale, globale.

Secondo il modello bio-psico-sociale nel  valutare la malattia dell’individuo, devono essere presi in considerazione oltre alle variabili biologiche i fattori psicologici e sociali. Ciò non è scontato se consideriamo che la medicina attuale è sempre più iper-specialistica, l’attenzione è sempre più spostata sulla patologia e sempre meno sul portatore della patologia. Questo non può esaurire la complessità dell’esperienza della malattia poiché leggere la malattia in termini biochimici e funzionali, non è sufficiente ad inquadrarla senza una valutazione della persona malata. Quali sono i fattori da considerare?

- fattori socio culturali quali

  • le aspettative e le convinzioni sociali sulla malattia,
  • la disponibilità e la ricerca di assistenza sanitaria
  • l’influenza sociale e l’apprendimento socioculturale

- fattori cognitivi quali

  • pensieri sulla controllabilità del dolore,
  • pensieri sull’autoefficacia (“la malattia si risolverà da sola”),
  • errori cognitivi provocati dalle scarse informazioni ricevute
  • l’abilità di coping del malato e/o della sua famiglia.

- fattori affettivi

che di solito amplificano la percezione di malattia o la depressione intesa come conseguenza o condizione preesistente alla malattia, l’ansia o la rabbia legate ai ritardi nella diagnosi soprattutto quando si parla di malattie oncologiche (che ostacola le capacità di coping).

- fattori di personalità :

  • sensibilità interpersonale;
  • paura delle reazioni fisiche;
  • preoccupazione per il proprio corpo soprattutto nella società di oggi in cui l’aspetto è una componente essenziale per il nostro benessere;
  • pensieri catastrofici.

In ogni caso occorre sempre considerare l’interazione tra la gravità della malattia e la percezione che ne ha il portatore, in quanto non sempre c’è un rapporto direttamente proporzionale tra le due variabili. Viceversa, quando si parla di dolore la questione diventa più concreta: è molto difficile non ascoltare il dolore, non si può fingere che il dolore non ci sia.  Occorre però fare una distinzione tra dolore acuto, assimilabile a un sintomo e che, in quanto campanello d’allarme, se non esistesse metterebbe a rischio la vita stessa dell’individuo (come nel classico esempio cartesiano dell’uomo che tocca il fuoco e ritrae la mano dopo essersi scottato) e il dolore cronico che invece non è un sintomo, ma una vera e propria malattia. L’associazione tra dolore cronico e malattia cronica evolutiva in fase avanzata porta a quello che viene definito il dolore totale che, come vedremo più avanti, . non è solo fisico.

Tornando al modello biopsicosociale, è noto che i fattori descritti in precedenza possono agire direttamente aumentando l’attivazione del Sistema Nervoso Autonomo (paura, ansia, rabbia, preoccupazioni), la produzione endogena di oppioidi e la tensione muscolare. Questo a sua volta innesca un circolo vizioso che peggiora il dolore e riduce l’attività fisica, il tono muscolare e la resistenza fisica

Molti pazienti-  ma anche molti medici – vedono ancora il dolore cronico come un sintomo fisico:  in realtà è una malattia, che si esprime attraverso dei sintomi, ma pur sempre una malattia. Ciò è dimostrato dal fatto che il dolore cronico ha un’azione plastica sul Sistema Nervoso Centrale, ne cambia l’anatomia. Il dolore cronico è un processo continuo e multifattoriale, si mantiene nel tempo e tende a peggiorare nel tempo; la valutazione degli aspetti fisici, psicologici e sociali è quindi variabile, può via via mutare al variare dell’esperienza dolorosa.

Nel dolore cronico, gli elementi critici di un approccio terapeutico interdisciplinare basato sul modello bio-psico-sociale sono i più efficaci, sia sul piano clinico che su quello del rapporto costo – beneficio.

I fattori biologici, psicologici e sociali devono infatti essere affrontati contemporaneamente con un’attenzione immediata al fattore biologico, ovvero il dolore fisico (la nocicezione) in quanto premessa per operare poi sul resto, premessa che non deve però dilatare nel tempo gli altri interventi. Le terapie mediche devono essere integrate con quelle riabilitative e psicologiche per poter affrontare tutti gli elementi che caratterizzano l’esperienza del dolore cronico.

Quali sono le conseguenze personali e sociali del dolore cronico? Si potrebbero annoverare conseguenze finanziarie, professionali, sull’uso dei servizi sanitari con problemi di sistema e sovraccarico di alcuni servizi o difficoltà di accedervi, una compromissione funzionale, una disfunzione interpersonale con difficoltà di relazione causata direttamente dal dolore cronico, disturbi dell’umore e dell’ansia, etc. Se si parla di pazienti in età lavorativa l’aspetto professionale e finanziario può assumere una rilevanza notevole, considerando che alcune di queste variabili sono poco oggettivabili e a volte superficialmente considerati degli espedienti per evitare di lavorare (ad esempio il “mal di schiena” o la cefalea).

La disfunzione interpersonale si può interpretare come il crearsi di un disagio comunicativo che fa del paziente con dolore cronico un paziente che ha difficoltà a relazionarsi, perché il suo dolore diventa un parassita che occupa tutte le sue capacità di relazione e comunicazione.

Il dolore cronico diventa anche un problema familiare, soprattutto in persone giovani o relativamente giovani. Così come è da tenere in considerazione la frustrazione dell’operatore sanitario: non sempre è possibile eliminare il dolore cronico che a volte può essere di difficilissimo trattamento e con risultati scadenti. Tutto ciò comporta un aumento dei costi sanitari (accertamenti frequenti, aumento dei ricoveri, etc.) e sociali (per es: indennità di malattia) e una ridotta produttività del lavoro.

Quindi, riassumendo, i problemi di cui tener conto quando si parla di dolore cronico, sono:

- fattori biomedici

- la patologia organica

- problemi medici concomitanti (multimorbilità)

- fattori iatrogeni (ad esempio nella patologia oncologica alcuni dolori sono il risultato della terapia antitumorale);

aspetti psicologici le credenze sulla malattia; le strategie di coping; il distress; il comportamento rispetto alla condizione di malato e la speranza di cambiamento (che va sostenuta aiutando la persona a perseguire obiettivi realistici, senza illusioni) eventuali conflitticon i sanitari o con le strutture sanitarie).

aspetti socio – occupazionali (soddisfazione sul lavoro, condizioni di lavoro, caratteristiche del lavoro e le politiche sociali).

Quali sono invece i fattori prognostici psicosociali negativi per quanto riguarda il dolore?

1) l’età più avanzata

2) il dolore più intenso

3) una durata più lunga del dolore

4) lunga riduzione di attività (che può portare a un deterioramento fisico)

5) la depressione del paziente

6) l’idea che il dolore sia irrimediabile

7) trattamento del dolore con strategie inefficaci (ES: assumendo posizione incongrue, restando a letto più a lungo etc., ma non risolvendo il problema)

8)) credenze o pensieri inutili o futili

9) ripetuti fallimenti terapeutici (con sentimenti di depressione, irritabilità, inutilità, perdita di sonno)

10) uso a lungo termine di oppiacei e sedativi (con effetti collaterali quali problemi gastrici, sonnolenza, costipazione, dipendenza, etc.)

11) conflitti lavorativi o perdita del lavoro

12) difficoltà finanziarie

13) stress familiare

Come si è visto quindi, nel dolore cronico non va curato solo un sintomo, ma una malattia globale che abbraccia una serie innumerevole di aspetti, cercando anche di comprendere il motivo per cui le terapie precedenti sono fallite o valutando insieme a un medico del lavoro quale attività lavorativa sia o meno adatta al paziente.

La legge 38 del 2010 sancisce il diritto dei cittadini di ricevere cure palliative e terapie del dolore e stabilisce, all’art.7, che la rilevazione quotidiana del dolore debba comparire obbligatoriamente sulla cartella clinica di tutti i reparti ospedalieri e degli hospice. Questa legge rappresenta l’affermazione di un principio importante, ovvero che rilevare quotidianamente la presenza o l’assenza di dolore è un dato sostanzialmente e formalmente importante.

Un altro modo per definire la complessità del dolore è quello che si richiama all’esperienza di Cicely Saunders, che negli anni ’60 introdusse il concetto di dolore totale a cui, insieme a quanto detto per il dolore cronico, si aggiunge la progressiva consapevolezza dell’avvicinarsi della fine della vita. La differenziazione tra dolore totale e dolore cronico rende giustizia anche della differenza che intercorre tra il concetto di terapia del dolore e quello di cure palliative, che non sono affatto sinonimi: ci sono persone che hanno bisogno di cure palliative perché affette da malattie inguaribili in fase avanzata ma non hanno nessun dolore, e pazienti con dolori terribili ma una aspettativa di vita anche di 30- 40 anni in cui è indispensabile soprattutto o soltanto una efficace terapia del dolore).  L’intuizione della Saunders fu quella di identificare questo dolore totale nel contesto della terminalità, in pazienti cioè vicini alla fine della vita. Cicely Saunders inizia come infermiera ma, non potendo esercitare a causa di problemi alla schiena, diventa assistente sociale negli anni ’40 del secolo scorso e si occupa di cure domiciliari soprattutto di pazienti oncologici. Consigliata da un medico e approfittando della sua ottima posizione economica, interrompe il lavoro di assistente sociale e si laurea in medicina, avviando un percorso scientifico e divulgativo sulle cure palliative oltre che clinico dando vita, nel 1967 a Londra, al St Cristopher Hospice che è considerato il primo hospice moderno.

La Saunders sosteneva due interventi clinici per affrontare il dolore totale ed evitare in modo proattivo che le sfide del dolore fisico e della morte non si trasformassero in sofferenza intollerabile:

1) un primo intervento basato sul modello medico convenzionale che si incentra sul dolore fisico migliorando la competenza farmacologica nel campo delle algie per prevenire, piuttosto che alleviare il dolore fisico. Ad esempio, la morfina veniva già utilizzata ma la Saunders teorizzò in maniera scientifica l’utilizzo a orario e a dosi adeguate della morfina per prevenire il dolore, piuttosto che rincorrerlo;

2) controllato o molto ridotto il dolore fisico, affrontando tempestivamente il disagio sociale, emotivo e spirituale del paziente grazie anche ad una grande ed empatica capacità di ascolto.

Cosa molto importante è la dimensione spirituale del malato, non solo o non tanto in senso religioso, ma intesa come la ricerca di un significato, la ricerca di un senso a ciò che è accaduto e accade. Uno degli aspetti presentato come buona cura spirituale è, per esempio, favorire nei malati il senso del compimento: poter dire addio; poter dare e ricevere perdono; poter incontrare e salutare le persone desiderate; affrontare il senso di impotenza, la tristezza, la depressione, la perdita di indipendenza, lo sfiguramento .; affrontare l’ansietà legate alla paura della morte o alla paura del morire (che sono due aspetti diversi in quanto, il secondo, riguarda la paura del percorso del morire, del morire soffrendo); affrontare le preoccupazioni per la famiglia, il danaro, il futuro e la perdita di dignità; affrontare la rabbia per i ritardi diagnostici, per gli intralci burocratici, per l’indisponibilità degli operatori…

Uno dei problemi in via di risoluzione grazie alla presa in carico domiciliare dei pazienti terminali, è il numero eccessivo degli accessi in pronto soccorso di questi pazienti, che è una tortura per loro in quanto vengono messi in secondo piano rispetto alle urgenze e trascorrono ore in pronto soccorso con la percezione di non essere compresi e di essere trascurati, vivendo questa frustrazione  che si unisce a quella già presente causata della malattia e delle sue conseguenze. Proprio ciò che la Saunders aveva definito “dolore totale”.

Se sapremo individualmente e istituzionalmente affrontare in questo modo la malattia mortale potremo dire con Cicely Saunders: “Noi faremo tutto ciò che possiamo, non solo per aiutarti a morire serenamente, ma anche a vivere finché tu muori”..