Analisi psicopatologica di alcuni meccanismo di blocco e di deterioramento dell’Immagine e dell’Immaginario

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RecensioniStefania Trojan

di Jean – Marie Barthlemy, Treviso 14 e 15 Maggio 2010

L’esposizione intende trattare l’Immaginario nella sua stretta contiguità con  l’immagine, senza voler negare la possibilità di un Immaginario senza immagini, ma per la ragione che la pratica clinica concreta ci confronta quotidianamente con queste ultime.

L’Immaginazione è meno colpevole che inaffidabile.

Per iniziare si rammenta il vecchio antagonismo tra i sostenitori dell’Immaginazione e quelli della realtà. Nel campo dei razionalisti si ricorda Pascal e Malebranche che accusano l’Immaginazione  di inaffidabilità. Pascal la denominava con l’appellativo di “pazza di casa”, Malebranche  con quello di “maitresse di errore e di falsità”. La convinzione che l’Immaginazione sia inaffidabile è comunque propria di tutta la razionalità promossa dall’Illuminismo ed è una idea sostenuta con forza dalla Scienza. La conclusione è dunque solo una: viene rifiutata l’evenienza che l’Immaginazione possa essere una possibile fonte di conoscenza. 

L’Immaginazione è una provincia del vero.

Grande sostenitore delle capacità dell’Immaginazione sono viceversa i romantici tra cui ricordiamo Baudelaire che affermava “preferisco i mostri della mia fantasia alla trivialità positiva” e ancora “l’Immaginazione è la regina del vero, ed il possibile è una delle province del vero. Essa è positivamente imparentata con l’infinito”. Baudelaire rompe dunque con le tradizioni precedenti rivendicando non solo le capacità conoscitive dell’Immaginazione, ma anche quelle di dare vita, di animare e  potenziare tutte le facoltà dello spirito umano rendendole più vivide ed effervescenti.

Alla ricerca di una definizione.

Dopo aver accennato al dibattito culturale sul valore dell’Immaginazione, si passa alla sua definizione. Gli autori definiscono l’Immaginario come la fonte originaria da cui emergono le immagini mentali e nello stesso tempo come loro luogo di radicamento e di assemblamento. Dunque Immaginario come luogo di origine, permanenza e unione sintetica delle immagini mentali. Non è ovviamente necessario pensare che sia possibile attribuirgli una qualsiasi localizzazione neuroanatomica o una qualche condivisione con l’Inconscio di Freud.

Una definizione più pragmatica, più operativa, può essere quella di Jean Jacques Wunenberger  che suggerisce di definire l’Immaginario come “un insieme di produzioni mentali o concretizzazione in opere sulla base di immagini visive (quadri, disegni) o linguistiche (racconto, simbolo, metafora) che formano degli insiemi coerenti e dinamici che dipendono da una funzione simbolica nel senso di un incastro di significati propri e figurati”. Dunque l’Immaginario come luogo di produzione di immagini che consentono produzioni mentali o opere concrete (quadri, racconti ecc) grazie ad un incastro di significati simbolici.

La conseguenza immediata è che l’Immaginario non si definisce più solo attraverso i suoi sogni, desideri, chimere, ma anche attraverso i risultati che produce mediante la capacità di aprirsi alla realtà e di mettersi in relazione con essa.

Valutando questa definizione in una prospettiva clinica potremo quindi dire che il deficit di Immaginazione non sarebbe semplicemente una incapacità mentale, ma sarebbe una incapacità di produrre.

Immaginario e realtà.

Pierre Janet attraverso il concetto di “funzione del reale” ci ricorda la necessità di un adattamento minimo alla realtà (pena l’esclusione attraverso il disturbo mentale). Conformarsi al mondo non vuol però dire assoggettarsene completamente.

Che ruolo ha dunque l’Immaginario e l’Immaginazione nel rapporto con il reale? Secondo Bachelard “l’Immaginazione non è nient’altro che il soggetto trasportato nelle cose”,  la spinta che muove dall’interiorità verso l’esteriorità. La forza che spinge l’individuo verso l’esterno.

Eugene Minkowski considera lo slancio creatore capace di rompere il quadro del semplice adattamento, cercando di andare oltre questo.

Dunque come non possiamo immaginare una vita psichica sana senza adattamento al principio di realtà, così non possiamo immaginare un adattamento adeguato se vi è un suo totale assoggettamento al reale. Lo slancio creatore rompe il semplice e passivo adattamento alla realtà dando origine appunto a nuove possibilità e quindi a nuove forme di adattamento al reale. Infatti Bachelard sostiene che “un essere privato della funzione dell’irreale è un essere nevrotico quanto l’essere privato dalla funzione del reale”.

Immaginario e psicopatologia.

Le funzioni proprie dell’irreale come l’Immaginazione e l’Immaginario hanno un loro posto anche nella psicopatologia in quanto una loro alterazione può dare origine a perturbazioni della vita mentale con altrettanta forza delle alterazioni delle funzioni del reale. La buona salute sta quindi nella capacità di adattarsi al reale e nello stesso tempo di operare con Immaginazione.

Secondo gli autori dell’articolo la distinzione, proposta da Bachelard, dell’Immaginazione in Immaginazione creatrice e Immaginazione riproduttrice  non aggiunge nulla al quadro conoscitivo di un’Immaginazione che crea, mantiene e sintetizza le immagini consentendo alle funzioni dell’irreale, alla spinta creatrice di pensare a nuovi adattamenti alla realtà.

Immaginario  e quadri psicopatologici.

Volendo ulteriormente approfondire il rapporto tra Immaginario e psicopatologia gli autori esaminano le alterazioni dell’Immaginario in tre situazioni psicopatologiche.

Nelle nevrosi distinguiamo due situazioni: sul versante ossessivo le immaginazioni e le immagini sono impoverite e vengono sostituite dall’atto sul versante isterico le immagini sono eccessive, debordanti a scapito di ogni realismo.

Nella più grave delle psicosi, la schizofrenia, quando questa si incanala verso un declino delle capacità mentali vediamo un impoverimento delle immagini e dell’Immaginario che  tendendo verso una devitalizzazione  porta ad un vuoto terrificante per il suo carattere estensivo, assoluto ed irrevocabile.

Immaginario e deliri

Il campo psicopatologico che meglio permette di indagare le alterazioni patologiche dei meccanismi dell’Immaginario sono i deliri.

Negli anni ‘30 Eugene Minkowski suggerisce l’ipotesi che i deliri interpretativi non siano un disordine nella capacità di giudizio quanto piuttosto una modificazione profonda del senso di realtà.

Negli Anni ’60 iniziando ad applicare il Rorschach ai deliranti, Zéna Helman  nota la tendenza a sostituire rapidamente delle risposte appena date con altre, oppure a non vedere più nell’immagine quello che era stato percepito prima. Zéna Helman conclude dunque che nei deliranti “l’immagine non tiene”.

Nel corso di una sistematizzazione dei dati raccolti individuerà due categorie di protocolli di risposte e quindi di deliranti:  una prima categoria di deliranti (nei quali si può supporre l’incapacità di radicare il reale a partire da un supporto d’immagini) nei quali la visione di immagini appare povera; una seconda categoria di deliranti in cui le visioni di immagini sono ricche, ma instabili.

Il test Rorschach permettendo di studiare il processo percettivo nel suo nascere ha reso possibile scoprire  che è proprio del delirante la caratteristica dell’immagine fuggevole: una risposta infatti si trasforma rapidamente in un’altra, l’immagine fluttua e viene rapidamente cancellata. Questa osservazione pur non dandoci la sicurezza che il delirio si basi su una alterazione della organizzazione percettiva, conferma comunque che vi è una grave perturbazione della capacità di creare e mantenere immagini. Nel delirio le immagini sono attaccate nel senso di un loro impoverimento quantitativo, oppure nella loro permanenza della loro durata.

Rapporti tra visione in immagini e rapporto con la realtà e costruzione di senso.

Un contributo all’indagine sulla visione di immagini e il rapporto con la realtà si trova nel lavoro di Zéna Helman Delire et vision en images del 1984.

L’autore testimonia come le immagini troppo discontinue, che appaiono e scompaiono con grande rapidità non solo conducono alla perdita di coesione delle immagini stesse, ma anche alla perdita della loro coerenza, come se la caduta della organizzazione e della continuità temporale conducesse alla disgregazione e alla perdita di senso, “il filo di unità interna si diluisce, si sfalda”.

Le immagini incostanti, nel senso di estremamente variabili e inconsistenti, non si radicano e non radicano alcun senso di realtà. Al Rorschach colpisce, nella sfilata di immagini deliranti, la loro eterogeneità e la loro sproporzione spaziale. Le catene di significato sono prive di ogni continuità sia nel tempo che dello spazio. Sono prese tra “incostanza e inconsistenza”.

Deliranti cronici.

Nel 1997 Michel Ternoy indagando i deliranti cronici osserva che in essi le immagini possono essere meno volatili meno fugaci, ma sono colpite in altro modo, sono fortemente discontinue. Le immagini al Rorschach si manifestano in sequenze che si spezzano, vi sono delle frammentazioni nella stessa partecipazione kinestesica all’immagine, delle rigidità. “Non è il dinamismo che manca, ma il tempo della sua realizzazione”. Questa osservazione introduce la dimensione del movimento nell’animazione dell’immagine da cui dipende la sua persistenza.

In uno studio complementare a quello sopra descritto, condotto attraverso il Reve Eveillé Dirigé degli allucinati, in grado di seguire meglio del Rorschach lo sviluppo delle immagini nel tempo, Ternoy dimostra che le sequenze di immagini si interrompono in sequenze spezzate. Le sequenze si spezzano spontaneamente o in seguito al movimento immaginato dal sognatore. Le difficoltà sono particolarmente evidenti allorquando si passa da un luogo a un altro e nel percorrere  inversamente un cammino già percorso nello spazio del reve.

Minutaggio

Queste ultime osservazioni indurranno Ternoy a proporre il concetto di minutaggio per definire il fatto che “la ricerca di precisione nel nominare le parti costitutive della rappresentazione rimette in causa le relazioni tra queste parti e il tutto di riferimento.”.  Il soggetto non passa dal particolare al generale in maniera ordinata, ma il generale svanisce si trasforma in una nelle sue parti e può indurre una nuova idea generale dell’immagine. Il minutaggio è quindi una parcellizzazione, una segmentazione nella modalità di percepire il reale, occupa un ruolo centrale nella modalità di percepire, nel vedere per immagini e nei processi di costruzione, nella attività del pensiero e dell’Immaginario dell’allucinato.

Conclusione.

Gli autori concludono dunque che la relazione tra realtà e individuo fortemente alterata nel delirio, in seguito a una disorganizzazione della vita psichica, è meglio compresa grazie proprio alle indagini sulla percezione e la visione delle immagini e la loro integrazione tempo spaziale che risultano fortemente alterate. Lo studio psicopatologico dei disturbi deliranti conferma il dato elementare che la vita e l’attività psichica sono immediatamente dipendenti da una permanenza individuale provata.