L’Immaginario perché?

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Immaginario: studi e ricercheJean Burgos

Traduzione Cristina Bellato, psicologa e psicoterapeuta ITP

                                                                   “ Bisogna voler sognare e saper sognare ”

                                                                                                                     Baudelaire

Dell’immaginario si parla molto, qui e là, da qualche anno, senza sapere bene cosa mettere dietro a questa nozione ambigua e che porta con sé, anche quando la si vorrebbe riqualificare, tre secoli di svalorizzazione di tutto ciò che sfugge al pensiero chiaro e distinto, di tutto ciò che sfugge ai principi ed ai precetti della logica razionale che ci ha nutriti.

La mia intenzione non sarà di confrontare, per meglio opporli, razionalità ed Immaginario – cosa che sarebbe veramente inopportuna; non sarà neanche di riabilitare l’Immaginario celebrando i suoi meriti estremi e le sue insospettate possibilità – cosa che sarebbe molto presuntuosa . Più modestamente, vorrei  collocare questo Immaginario nel cuore stesso della realtà quotidiana in cui si pone, prima di mostrarne gli esatti poteri e quindi l’uso che se ne può fare – che se ne potrebbe fare piuttosto, secondo le sue logiche – e questo in ambiti diversi che però hanno in comune di farci esplorare i sentieri della creazione.

Non si tratterà quindi di fare il processo ad un razionalismo che ha nutrito nell’essenziale il pensiero occidentale dall’Antichità greca e che ha largamente dato le sue dimostrazioni in materia di conoscenza scientifica, dentro ai limiti che si è dato; voglio dire che c’e possibilità di osservazione e di sperimentazione. Ma queste due condizioni, dietro alle quali per molto tempo si è rifugiato ciò che  si è convenuto chiamare spirito scientifico, non limitano singolarmente il campo della conoscenza solo a ciò che è conoscibile in questo modo, cioè secondo le garanzie che esige la logica razionale? Detto in altro modo, quest’ultima non esclude dal suo campo di esplorazione, dal momento che i suoi strumenti non sono adeguati, tutto ciò che non può interpretare e che altre culture, con maggiore o minore fortuna da molto tempo hanno saputo tenere in considerazione?

Per quanto importante, lascerei da parte questo problema che non potrebbe essere trattato in poche parole, e mi accontenterei al massimo di notare la frattura sempre più profonda che si è operata, nel corso del nostro ventesimo secolo, tra le grandi teorie scientifiche, quella della fisica in particolare, e gli strumenti di ricerca considerati scientifici. Non sembra in effetti che la logica razionale, nella sua formulazione classica, per quanto messa in difficoltà dalla Teoria dei quanta, dalla Relatività o specialmente dalle Relazioni incerte, sia stata veramente scossa, tranne che in alcuni ambiti molto particolari, al punto da far saltare i limiti che poneva al campo della conoscenza. E tutto accade come se l’interazione del soggetto e dell’oggetto, per esempio, o i processi virtuali delle particelle non avessero veramente costretto la comunità scientifica nel suo insieme ad allargare il suo campo d’azione ed a dotarsi di strumenti d’indagine supplementari per arrivarci – salvo voler rimettersi al solo caso del momento, al brodo creatore o alla mela di Newton.

Le lunghe catene di ragioni care a Cartesio ed ai cartesiani sono in effetti rassicuranti e confortevoli, ma non saprebbero affatto da sole, farci uscire dai sentieri battutiintendo dire farci uscire dal campo di ciò che è considerato conoscibile, osservabile e verificabile. Il pensiero riflessivo, in effetti, non può che ritornare su quanto già si pone, per considerarlo in altro modo, certamente, per scomporlo, analizzarlo differentemente, fatto che non e così male senza dubbio, ma senza mai tuttavia uscire da un inventario che lascia sempre presupporre in un modo o in un altro, anche se il discorso scientifico afferma spesso il contrario, che tutto è già dato e che si tratta solo di cercare di conoscere nel modo migliore questo dato, e quindi ad apprenderlo in un altro modo.

Ora, si tratta solo di apprendere un dato o piuttosto - ed e qui che si pone il problema della creazione – si tratta di aggiungere altro a questo dato, di estendere il suo campo?

Non è questo un problema puramente speculativo che permetterebbe al massimo di definire stricto sensu il concetto di creazione: no, si tratta al contrario a mio parere di un problema molto pratico e che riguarda ogni creazione, nel senso largo, ogni invenzione, nel senso etimologico del termine, di venuta alla luce, di apparizione, di scoperta. Se ogni vera creazione, in effetti, è emergere di nuova realtà, essa invoca una certa rottura con la realtà posta o ciò che chiamiamo cosi. Questo è da molto che coloro che si occupano di fabbricare nuova realtà, i poeti – e intendo tutto coloro che, creatori di ogni tipo, con i materiali e le tecniche che sono loro proprie, intendono produrre un sovrappiù di realtà – è da molto che i poeti lo sapevano; e penso ad un Apollinaire che ci offre, nel cuore stesso della guerra distruttrice, una bella lezione di creazione: “ Quali sono i grandi smemorati Chi dunque saprà farci dimenticare questa o quella parte del mondo Dov’è il Cristoforo Colombo a cui si dovrà l’oblio di un continente Perdere Ma perdere veramente per lasciar spazio alla scoperta ” (Toujours», Calligrammes). Senza aspettare le catastrofi di René Thom ma sicuramente prefigurandole, sono già espressi qui i prerequisiti indispensabili non solo alla pura sopravvivenza di un sistema che sarebbe condannato a perire se non si rinnovasse, ma anche all’accogliere una novità, che è passaggio dall’identità all’alterità.

Quello che nel campo dell’arte permette di distinguere il creatore dal semplice imbalsamatore o decoratore come denunciava Saint-John Perse nel suo discorso al ritiro del Nobel, a Stoccolma nel I960, è proprio questa disponibilità ad accogliere la novità dopo essersi messi nella situazione di provocarla; e forse bisognerebbe aggiungere che è questa disponibilità che giustamente disturba e fa si che 1′artista, diciamo il poeta, trovi cosi difficilmente posto in una società dove esiste solo quello che e conosciuto. Ora se lascio da parte coloro che sono in qualche modo i poeti della scienza (non è Einstein che reclamava per lo scienziato il beneficio di una vera visione artistica?) questa disponibilità, lo si capisce facilmente, non è sicuramente il destino comune dei ricercatori quando implica, almeno a titolo provvisorio, lo sconvolgimento dei fondamenti classici della nostra logica, 1′abbandono dei principi normativi e i paradigmi in uso a vantaggio di tutt’altra attitudine dello spirito. Questa attitudine che invoca delle revisioni epistemologiche radicali, non è un’altra cosa rispetto a ciò che i Greci chiamavano «poiein», il fare creaore (da cui abbiamo tratto il poeta e la poetica nel senso aristotelico del termine); in un senso più stretto, e per maggiore chiarezza, chiameremo poietica 1′insieme dei processi in azione in un luogo ed in un tempo determinati capaci di sfociare nell’emergere di una realtà nuova, di qualunque natura essa sia.

Significa che avendo ormai messo l’accento non su ciò che è ma su quello che potrebbe essere, non su ciò che e fatto ma su quello che sta per farsi, la poetica avrà per oggetto di studio le potenzialità inscritte in ogni situazione presente. II suo campo d’azione sarà del tutto naturalmente lo spazio- tempo che va dall’operazione attuale e reale all’esplosione delle virtualità che questa operazione genera. Chiameremo Immaginario questo continuum che va dall’azione o dall’operazione attuale all’abbozzo se non il compimento progressivo di una realtà nuova attraverso la liberazione dei possibili così generati.

Abbandonando le confusioni iniziali e le ambiguità in cui si è voluto per troppo tempo rinchiuderlo, e per tagliare corto rispetto a tutti i malintesi che la nostra cultura occidentale si compiace di nutrire, dirò che 1′Immaginario non è né la costruzione ideale di una ragione in delirio, né l’abbandono onirico alle delizie dell’illusione. Né Utopia, né fantasma, non è evasione, fuga dalla realtà esistente, ma al contrario conversione ad una realtà più presente e ancora più concreta, perché colta nella sua immediatezza ancora prima di essere pensata. Mi spiego. In ogni istante, lo sappiamo già, si scambiano, che lo vogliamo o meno, che ne siamo coscienti o meno, pulsioni del soggetto e pressioni dell’oggetto: pulsioni che arrivano dal nostro mondo profondo che tendono ad assimilare il mondo esterno e pressioni che dal mondo esterno vengono a pesare su di noi costringendoci  ad accomodarci ad esso. Chiameremo Immaginario questo incrocio di scambi, che da vita a dei prodotti nuovi. Incrocio tra mondo del soggetto e mondo dell’oggetto che vengono orientati in produzioni i cui elementi cessano di appartenere all’uno o all’altro di questi due mondi, l’Immaginarioche perde allora il suo carattere di anti-realtà – diviene cosi, al cuore della realtà presente, una riserva di possibili da cui germoglierà forse una realtà da realizzare.

E’ senza dubbio questo quello che importa qui, per il nostro obiettivo: il fatto che da una parte 1′Immaginario, lontano dall’essere il prodotto di un processo eccezionale, riservato ad alcune situazioni particolari o a qualche essere privilegiato, è il prodotto di un processo naturale e continuo, anche quando non ce ne interessiamo; il fatto che d’altra parte questo Immaginario, lungi dal distoglierci dalla realtà, ci costringe ad incontrare questa realtà in ciò che ha di più concreto ma anche di più effimero, nell’istante stesso del suo rinnovamento.

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Noi tocchiamo qui, di fatto, questo sorprendente paradosso che vuole che dell’Immaginario, che continuamente e spontaneamente ci mette in presa diretta con il divenire del nostro essere al mondo, ed in questo modo apre la possibilità di cogliere dalla sua nascita, se non proprio la realtà da realizzare, almeno una realtà potenziale, di questo Immaginario conosciamo molto male i poteri e ancora meno sappiamo 1′uso che se ne può fare dal momento in cui si accettano le logiche che gli sono proprie. Ed invece i poteri dell’immaginario sono immensi, appena scopriamo che, a differenza del pensiero riflessivo che non può che ritornare su ciò che già esiste – il campo di ciò che è considerato conoscibile, cioè di ciò che è osservabile e verificabile – 1′Immaginario ci offre la possibilità di affrontare  un’altra faccia della realtà, quella che sta per avvenire e potrebbe aggiungere realtà alla realtà esistente. Non si tratta più, nelle prospettive che apre, di analizzare in un altro modo il dato, di apprenderlo in modo nuovo. Si tratta di aggiungere qualcosa a questo dato, e cosi aprire la porta ad un’altra cosa che si chiama novità.

Appare allora in effetti che 1′Immaginario, proprio perché è incrocio di scambi, è il luogo della manifestazione e della realizzazione dei possibili, o almeno dell’avvio di questa realizzazione. Cosa significa questo? Significa che da questo costante confronto del soggetto e dell’oggetto, da questo scambio permanente di forze vive in cui il mondo del soggetto ed il mondo dell’oggetto si nutrono 1′uno dell’altro affrontandosi, si trasformano l’uno attraverso l’altro, il più delle volte a nostra insaputa, da questo confronto originano delle potenzialità inscritte in ogni situazione presente sia che ci spetti sfruttarle o meno.   E’ proprio qui in effetti che comincia, se non la creazione propriamente detta, almeno la possibilità di creare, la creativitàche oggi si relega tanto volentieri al rango di attività ludiche e quindi accessorie. E’ proprio qui che comincia la possibilità di innovare, di cambiare qualcosa, di inventare, la possibilità di vedere ciò che non si era mai visto, di fare ciò che non si era mai fatto: la possibilità di giocare pienamente il gioco dei possibili e di vincere qui ciò che non si vince da nessun’altra parte.

Ogni creatore, poeta o scienziato, che coltiva questa disponibilità ad accogliere la novità dopo essersi messo nella situazione di provocarla, lo sa bene. Su questo punto, lo scienziato ed il poeta, al di là di certe reciproche diffidenze, si accordano d’altra parte abbastanza bene, almeno nei principi, “ poichè é la stessa la domanda che li tiene sullo stesso abisso, e solo i loro modi d’indagare sono diversi ”, come notava ancora  Saint-John Perse nel suo discorso di Stoccolma. Se da molto tempo infatti il poeta ha saputo fare dell’immaginazione il motore della sua creazione, accordandole spontaneamente una fiducia di cui la sua stessa opera sarà la garante, l’uomo di scienza, da parte sua difficilmente sembra allontanarsi, il più delle volte, da una reticenza autentica verso ciò che lo trascina in terra sconosciuta.

Ma fuori da ogni provocazione – che implica, il più delle volte, lo sconvolgimento dei fondamenti classici della nostra logica, 1′abbandono dei principi e dei paradigmi in uso a vantaggio di tutt’altra attitudine dello spirito – perche coltiveremmo questa stessa disponibilità ad accogliere la novità se non dovessimo trarne dei benefici certi? Questo implica, il mettere 1′accento non su ciò che è ma su quello che potrebbe essere, non su ciò che è già fatto ma su quello che sta per essere fatto – cioè privilegiare per quanto possibile le potenzialità inscritte in ogni azione presente.

E’ proprio questo il campo operativo di ciò che abbiamo chiamato Immaginario; lo spazio-tempo che va da un’azione o da un’operazione attuale, reale, in una certa situazione data, all’abbozzo, se non al compimento progressivo, di una realtà nuova attraverso la liberazione delle potenzialità aperte da questa azione o questa operazione stessa. Per quanto teorico questo possa ancora sembrare, ma arriveremo ben presto alle pratiche dell’Immaginario, appare già come ogni azionea qualunque livello essa si situi, nella vita personale o nella vita della società, nella formazione o la ricerca – ogni azione lascia spazio all’esperienza stessa della novità (che definisce l’immaginazione) nella misura in cui libera delle potenzialità ossia tante vie d’accesso ad una realtà nuova, tante proposte offerte a che vuole coglierle.

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Ma quale fiducia accordare a queste proposte dell’Immaginario se devono avviarci in terra sconosciuta senza protezioni di nessun tipo? Più semplicemente, come mostrarsi disponibili, aprirsi a ciò che e nuovomostrarsi pronti ad accogliere qualcos’altro da quello che conosciamo, a fare qualcos’altro rispetto a ciò a cui siamo abituati, ad ascoltare altri linguaggi, a scoprire altri modelli, ad inventare altri percorsi – se questa liberazione dei possibili non deve essere una piacevole divagazione che conduce dove e quando meglio gli pare chi vi si vuole abbandonare?  Senza dubbio, è questo timore – sapientemente sostenuto da tre secoli di cartesianismo, dai suoi resoconti positivi ma anche dalle sue diverse perversioni, bisogna dirlo – che non manca o non deve mancare di trattenere chiunque non possa permettersi di lanciarsi alla leggera in questa avventura.

Ma i più recenti lavori sull’immaginario, mostrano oggi con evidenza che questa liberazione dei possibili non si effettua a caso né ancora di meno  sfocia ovunque né su qualunque cosa: anche 1′Immaginario ha le sue logiche che condizionano l’emergere, la proliferazione, 1′ordinamento dei possibili: significa che il passaggio dall’attuale al virtuale e da qui ad una realtà nuova, qualunque ne sia la natura, non si opera, come si sarebbe tentati di credere all’inizio, in modo anarchico: “l’immaginazione” , cara a Malebranche, ha le sue ragioni che la ragione ignora. Si opera secondo alcuni vettori, alcuni itinerari obbligati attraverso i quali e sui quali si uniscono e si trasformano i materiali che ogni azione attuale libera e la cui convergenza, imponendo una coerenza ai tragitti dell’immaginario, detta anche il senso delle sue produzioni.

Poichè 1′Immaginario, lo si sa ormai dopo averlo per molto tempo presentito in modo confuso ma imperativo (non sono i creatori di ogni sorta che mi potranno smentire) l’immaginario dà senso. Un senso che non è significato, secondo 1′accezione linguistica del termine – quello che rappresenta un segno, un gesto, un fatto, ciò a cui rinvia, ciò che contiene, che denota; ma un senso che è una direzione obbligata, una direzione imposta a cui nulla può sottrarsi. Ciò verso cui bisogna andare e che senza dubbio non si raggiungerà mai (non è per questo che per ogni creatore un’opera non è mai compiuta, al massimo interrotta a questo o quel momento della sua creazione?). Ma anche, ciò per cui «vale la pena» – la pena di continuare, di andare ancora più lontano, di non fermarsi – e vedremo bene come l‘Immaginario, e non è uno dei suoi meriti minori, ci fa passare dal fatto al valore, come valorizza le potenzialità presenti e cosi facendo le gerarchizza.

Quello che si può fare dell’Immaginario – 1′uso migliore che se ne può sperare, i vari benefici che se ne devono trarre, ma anche il suo pieno impiego e gli stimoli che dovrebbero permettere di utilizzare al meglio le sue potenzialità – tutto ciò nella pratica come nella teoria, poggerà in definitiva sui processi e le condizioni dell’emergere di una realtà differente - nuovaattraverso 1′esercizio dei possibili, attraverso le virtualità che si chiamano e si respingono, si organizzano e si smantellano, si organizzano e si distruggono, si ravvivano e si rinnovano nel prender corpo, nel prendere senso.

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Così sembra che sia già possibile apportare qualche risposta, sul piano generale, alla questione del sapere quale potrebbe essere il buon uso dell’Immaginario, o piuttosto il buon uso delle logiche che gli sono proprie e che sono evidentemente tutte paradossali. La prima risposta è che I’Immaginario, e sarei tentato di aggiungere solo 1′Immaginario, ci permette di uscire dal campo del conosciuto a cui naturalmente e ragionevolmente ci aggrappiamo, di obbligarci a lasciare la presa per giungere non ad una irrealtà o una surrealtà ma piuttosto ad una realtà altra, una realtà non ancora riconosciuta dal pensiero ma pur sempre una realtà; realtà dell’istante vissuto proprio nel momento in cui essa emerge e carico di tutte le potenzialità che essa suscita . Ora, uscire così dal campo del conosciuto, non è lanciarsi alla cieca in una folle avventura che ci sfugge, ma non è soprattutto tentare un percorso intellettuale che si possa controllare a distanza: è accettare di compromettersi rischiando completamente in terra sconosciuta, poichè 1′Immaginario, 1′abbiamo visto, all’incrocio di due mondi, coinvolge in una stessa esperienza il soggetto e 1′oggetto che non significano più niente 1′uno senza 1′altro, ma si mettono al contrario a significare 1′uno per 1′altro.

Corollario di questo stacco dalla realtà esistente, dal campo del conosciuto, la seconda risposta alla domanda posta sarà, molto naturalmente, che 1‘Immaginario, così definito, ci mette nella condizione di accettare nel modo giusto quello che non è ancora conosciuto, di accettare quello che non assomiglia a ciò che si conosce e che si ritiene vero: ci mette nella condizione di accogliere l’altro. L’altro, il contrario dello stesso, cioè la novità in tutte le sue forme: ciò che è diverso e per questo disturba; ciò che rompe con quello di cui si ha abitudine, 1′insolito; ciò che non risponde ai nostri riferimenti, ai nostri criteri, alle nostre regole e che di colpo mette in discussione. Mette in discussione e ci mette in discussione. In quanto altro è anche ciò che viene a contraddire l’autorità del dato, 1′autorità del passato, l’autorità di un eredità individuale o sociale, l’autorità di una convinzione o di un consenso. Così, aprirci a ciò che è nuovo, a ciò che per noi non ha ancora esistenza nel recinto della nostra realtà quotidiana, è non solo darci la possibilità di estendere il nostro campo d’esperienza smettendo di fermarci al campo del conosciuto, ma anche darci la possibilità di uscire da noi stessi sciogliendo i legami che ci stringono, questi freni di abitudine c di ragione che accettiamo tanto volentieri.

Da qui una terza risposta alla nostra domanda, che deriva dalla precedente, e che è che 1′Immaginario, allargando il campo della realtà esistente e mettendoci nella condizione di accogliere (che non significa necessariamente adoperare) ciò che è decisamente nuovo e quindi l’altro, l’immaginario arriva ad abbattere le divisioni tra 1′io ed il mondo, senza dubbio, ma anche le divisioni che stabiliamo spontaneamente, in nome di una ragione che vuole distinguere per classificare, tra le cose dell’io e le cose del mondo. Nella misura in cui, lo abbiamo appena visto, mette in discussione autorità e retaggi, in cui rivaluta convinzioni, credenze c certezze, nella misura in cui confonde riferimenti e referenze, in cui scardina regole ed abitudini, anche a titolo provvisorio, l’Immaginario opera una salubre rimessa a nuovo dei rapporti tra I’io ed il mondo. Nello stesso modo, promuove dei nuovi approcci all’io ed al mondo, apre la via a dei nuovi modi di conoscenza che non hanno niente di empirico- obbliga ad inventare dei nuovi linguaggi in presa diretta su un soggetto ed un oggetto in continuo movimento, ma capaci anche di superare le frontiere tra le diverse discipline. I processi dell’Immaginario del tecnico e dell’architetto, dell’ingegnere e dell’artista, dell’astrofisico e dello storico, dell’informatico e del medico, potrebbero in effetti veicolare dei materiali molto meno disparati di quanto non si sarebbe tentati di credere, qualunque siano gli orientamenti, ed in ogni caso non sono essenzialmente diversi. E non è uno dei minori meriti dell’Immaginario quello di permettere così l’osmosi delle diverse discipline, sostenendosi le une alle altre ed arricchendosi le une dalle altre, sostituendo il semplice trasferimento di competenze e di saperi, a cui si fa grande caso oggi, con uno scambio dei saper-essere inseparabili ormai dai saper-fare.

Ecco una nuova e quarta risposta che ci viene data, quando l’Immaginario non contento di innovare altri percorsi, di aprire altri spazi, di stabilire altre comunicazioni con  campi che si credevano fino ad allora privati e tra campi che si credevano fino ad allora estranei 1′uno all’altro, ci insegna che non c’è esperienza del mondo che non sia anche esperienza di sé. Le vere strade della conoscenza, conoscenza del mondo e conoscenza degli altri, passano dall’interno, come diceva già Novalis, non c’e autentico sapere che non sia segnato dal vissuto – non come una tara a cui bisogna rassegnarsi ma come una cifra che e opportuno rivendicare. E’ proprio questa naturalmente una delle lezioni dell’Immaginario, il quale compromette, 1′abbiamo visto, il ricercatore nell’oggetto della sua ricerca che lo segna e segna di ritorno questa ricerca della cifra del ricercatore. E’ ben lontano, mezzo secolo in effetti, il tempo in cui 1′epistemologo poteva opporre conoscenza ironica e conoscenza simpatica, la prima riservata allo scienziato, la seconda al poetante; più lontano ancora quello in cui il dogma del’obbiettività e dell’esattezza scientifica. presto ridotta alla peggio dalla fisica quantistica e dalle relazioni incerte, rendeva sola ragione di una conoscenza che aveva garanzia certa in quanto indipendente dalle procedure d’indagine e da colui che le conduceva. Nella prospettiva dell’Immaginario, al contrario, trovare è anche trovarsi, ed il  segno del superamento della realtà prima, il segno di accesso ad un po’ di realtà supplementare, per quanto modesta, è precisamente questa doppia impronta che l’esperienza imprime al sapere ed al ricercatore, all’oggetto ed al soggetto, e che fa si che né l’uno né 1′altro, dopo, siano più quello che erano prima.

Ed è proprio questa possibilità di far emergere qualche realtà supplementare, e che si chiama creatività, che apporta una quinta risposta alla questione di sapere a cosa serve l’Immaginario o almeno quale uso fare delle logiche che gli sono proprie. Nella pratica, lo vedremo subito, nel quotidiano di ciascuno come nella vita di gruppo o della società, la sua importanza è grande perché garantisce la vita stessa, cioè la possibilità di trasformazione dell’individuo o del gruppo. E’ proprio questa tendenza ad individuare le potenzialità che ogni azione attuale libera, di tessere ed amplificare queste potenzialità nei loro multipli prolungamenti, di ordinarle orientandole e trovando loro senso, che definisce la creatività, questo principale procedimento dell’Immaginario. E consideriamo qui non solo lo schema organizzatore di ogni ricerca di novità, ma anche la traccia dinamica di questa ricerca. Ancora bisogna notare che se 1′Immaginario fornisce sia un modello d’organizzazione sia un modello di sviluppo, la creatività resta semplice immagine di una realtà nuova da realizzare, e dunque solo progetto, lettera morta se non è investita da qualcuno capace di occuparsene e di metterla in opera effettivamente. Da cui la necessità di un apprendistato e di un esercizio della creatività, che una pedagogia dell’immaginario saprà e dovrà realizzare.

Proprio attraverso questa creatività, e ciò che essa propone, si profila una sesta risposta alla nostra domanda. Poiché la stimolazione dell’Immaginario che deve permettere la messa in opera effettiva della creatività inscritta in ciascuno (ed intendo sia ciascun individuo sia ciascun gruppo che abbia un interesse comune) può avviare una vera strategia di sviluppo. Voglio dire che, in alcune condizioni ed a certi livelli di stimolazione,l’Immaginario non permette più solamente di estendere in modo puntuale il campo del conosciuto, di accogliere ciò che è altro e dunque dissimile, di aprirsi a dei nuovi percorsi, a dei nuovi linguaggi, di introdurre 1′essere senza il sapere, il vissuto nell’esperienza, e di esercitare infine al meglio la creatività in azioni isolate di passaggio dall’uguale all’altro, passaggio da potenzialità a realtà nuove, altrimenti detto in azioni di innovazione ed invenzione. L’Immaginario permette di realizzare, di mettere in opera, in modo più largo e su più grande scala, una strategia di più vasta apertura che non si accontenta solo di lasciare di colpo il campo rassicurante del conosciuto ma avvia nel tempo un distacco più radicale con la realtà prima ed un investimento più ambizioso su nuove terre. Significa che l’Immaginario, dal momento che  i suoi processi si inscrivono subito in un divenire che non si prolunga se non trasformandosi, invita ad instaurare delle autentiche strategie di sviluppo e dunque di trasformazione, sia dell’essere che del gruppo. Ed e vero, se ci si ricorda della sua natura e delle sue funzioni, che fornisce nello stesso tempo il punto di partenza dello sviluppo (la motivazione iniziale che giustifica il passaggio dall’uguale all’altro, il passaggio da una realtà sconosciuta ad una realtà nuova), il motore dello sviluppo (la sua dinamica essenziale, quando immaginare è deformare le immagini fornite dalla percezione e quando si definisce lo stesso immaginare come incrocio incessante di scambi), e fornisce anche gli incentivi dello sviluppo (se 1′immaginazione è inizialmente capacità di apertura, l’immaginario non è forse rifiuto di ogni chiusura, di ogni sistema chiuso destinato a perire?).

Questa strategia di sviluppo, di trasformazione, questa metamorfosi mai conclusa, il creatore la conosce bene dato che immediatamente  la utilizza insieme per se stesso e per la sua opera, che lo crea nello stesso tempo in cui egli la crea. E questa potrebbe essere 1′ultima risposta alla domanda posta in partenza, la settima, quella fornita da questa creazione a doppio senso. Poiché alla fine dei conti, da qualunque punto si consideri l’Immaginario, è sempre sulla creazione che sfocia; la creazione intesa come azione del far venire all’esistenza, del dare realtà, e non più come il semplice potere di inventare che definiva la creatività. Ma che non confondiamoci: per quanto esemplare possa essere la creazione dell’artista, che persegue se stesso di opera in opera in una stessa creazione continua, per quanto specifica possa essere e per questo cosi singolare, per quanto fuori dal comune, essa è sempre, a ben guardare, un caso particolare della realizzazione di potenzialità poste alla luce e riattivate; non è sempre solo un caso particolare della produzione di realtà nuova a cui 1′Immaginario lavora banalmente e quotidianamente. Così a fianco della creazione del poeta o del pittore, del musicista o dello scultore, del drammaturgo o dell’architetto – creazione a partire dalla quale è particolarmente facile  mettere alla prova una pedagogia dell’Immaginario -, ci sono delle altre forme di creazione a cui non ci si interessa inizialmente e che invece rispondono agli stessi principi e precetti, agli stessi vincoli dell’Immaginario: creazione di sé – alcuni hanno potuto fare della loro vita un’opera – ma anche creazione di uno spazio nello spazio dove “vivere meglio e più lontano”, secondo la bella formula di Saint-John Perse; creazione di un linguaggio dei segni, di una scrittura dei gesti, puri prodotti dell’Immaginario che bisogna imparare a decifrare sempre secondo i codici dell’Immaginario: creazione di un paesaggio sociale, di un luogo comune di convivenze, di un microcosmo silenzioso in cui gli esseri non devono che guardarsi per comunicare pienamente. Ogni creazione disegna nello spazio un tentativo di risposta all’angoscia dell’uomo davanti al tempo, segna un superamento della chiusura, dell’isolamento dell’essere nella sua finitezza, indica nel presente una certa presa sull’avvenire, e con questa risposta, questa apertura, questo superamento segnala il perfetto uso dell’Immaginario, ma anche il trionfo delle sue logiche.

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Tuttavia tutto ciò è generate, oltre che molto astratto: quale buon uso si può fare dell’Immaginario, nel particolare e concretamente, e come arrivarci se le sue logiche non sono quelle della ragione? Inizialmente dirò che per questo come prima cosa conviene imparare ad abitare 1′istante, imparare ad incontrare il presente e tutto ciò che lo riempie. E’ nell’istante che si operano infatti gli scambi che nutrono e dinamizzano le forze dell’Immaginario, è quindi proprio nell’istante che si potrà cercare di cogliere ciò che fino ad allora non si era percepito e che non comincia ad essere se non proprio quando lo incontriamo. E cominciare ad essere, significa cominciare a liberare delle potenzialità, delle possibilità di essere altrimenti, è già lasciar intravedere più lontano, abbozzare un sentiero della creazione. Cioè, per quanto paradossale possa apparire, è nell’attenzione piena alla realtà stessa, nel volgersi alla materia prima ed alle sue manifestazioni più elementari, che si opera 1′apprendistato dell’Immaginario. L’incontro immediato con la cosa, con la realtà sensibile, si chiama sensazione; non sono lontano dal pensare che l’apprendistato della sensazione – la sua scoperta, la sua esplorazione, la sua cultura – sia il primo grado, ma indispensabile, dell’apprendistato dell’Immaginario. Ecco che d’altra parte se ne parla oggi (si sono appena avviate delle scuole del gusto, e perche non del tatto o dell’odorato?) come se  si scoprisse adesso, ma con quale ritardo rispetto ad altre civiltà, che 1′uomo è tanto meglio inscritto nel mondo, nel cuore del mondo, quanto meglio è riunito ad esso. Sono le sensazioni che stabiliscono i ponti, che rinforzano i nostri legami con il mondo: che ci permettono di sentire battere il cuore del mondo: ma ancora di più sono esse che, nel momento, fanno scattare 1′impressione della novità, la possibilità di allargare il conosciuto, di prolungare il suo spazio, di andare più lontano ma anche di essere di più. Allora come non accordare, ed in mille modi, il giusto posto che spetta loro?

Imparare ad abitare l’istante (come si è potuto per tanto tempo, nel nostro mondo occidentale, farci credere che immaginare fosse distogliersi dal tempo e dalla realtà presente?), significa imparare anche ad essere disponibile: di una disponibilità che non è quella di uno spirito che rifiuta la prevenzione e la precipitazione per meglio riprendere le cose dal loro inizio e non rischiare più di cadere nell’errore secondo il metodo cartesiano, ma quella di un essere pienamente attento a ciò che sta succedendo, e quindi che sta divenendo, cambiando, trasformandosi. Una disponibilità simile si rivela cosi, nello stesso tempo, tendenza ad aprirsi costantemente a ciò che è nuovo e tendenza ad accogliere ogni cambiamento come fattore del vivente. Per quanto curioso questo possa sembrare è all’osservazione che bisogna chiedere di coltivare questa doppia tendenza, che lascia intendere ancora che l’apprendistato dell’Immaginario sarà  tanto migliore quanto lo sarà lo sguardo portato sulla situazione presente. E sarei tentato di dire a questo proposito: diffidate di coloro che sono abituati, a torto, a qualificarsi come sognatori e che, a buona distanza dal mondo esistente, sono sempre assenti; infatti il loro sognare, che è evasione, divertimento, distacco dal reale, è tutto il contrario del vero sogno che è invece attenzione al reale, immersione in una realtà colta nei minimi dettagli delle sue metamorfosi e dunque percezione di una produzione di realtà nuova: solo questo è creatore. Cito qui questa ammirabile sentenza di Baudelaire, dai suoi Journaux intimes: «bisogna sognare e saper sognare».

Imparare a sentire, imparare ad osservare per affinare 1′Immaginario aumentando la presenza dell’essere al mondo, significa anche imparare ad inscriversi in un divenire dove l’io ed il mondo sono coinvolti in uno stesso gioco – il gioco dei possibili -, in cui lo spazio ed il tempo si compensano 1′un 1′altro. Di questi giochi compensatori dello spazio e del tempo che mettono alla   luce i meccanismi fondamentali dell’Immaginario ma anche le diverse modalità della creazione, non dirò niente qui per non allungare il mio discorso. Mi accontenterò al massimo, per il momento, di far notare che il “da venire” che ci fa incontrare l’Immaginario volge risolutamente le spalle al “da venire” di cui ci parlano le diverse utopie. Mentre queste ci propongono delle costruzioni del pensiero, della ragione – risuonano sempre degli strani rumori razionalisti e pesantemente scientisti dietro le più sagge come dietro le più folli utopie -, 1′Immaginario invece investe sempre nel vivente (ho già segnalato prima 1′isomorfismo del cambiamento e del vivente ma anche 1′isomorfismo del vivente e dell’Immaginario); cioè esso include sempre nel “da venire”, che indica e prevede, il vissuto di colui che prolunga il presente nel futuro con 1′aiuto delle potenzialità inscritte nel presente e capaci di generare qualche nuova realtà. Così il buon apprendistato dell’Immaginario, secondo le sue logiche, richiederà un totale investimento dell’essere in ciò che fa, per quanto possibile, una totale immersione dell’individuo o del gruppo nell’azione intrapresa. Ecco l’Immaginario che chiede di cambiare le abitudini, i pregiudizi per compromettere cosi l’essere in ciò che fa.

Ma se è necessario, per immaginare bene ed in modo veramente fecondo, coinvolgersi in questo modo, è necessario anche, cosa  non contraddittoria a livello immaginale, imparare ad uscire in qualche modo da sé. Uscire da sé, non per mettersi a distanza da sé, per mettere a distanza l’io da1 mondo nella prospettiva dicotomica che la riflessione definisce, ma uscire da sé per prolungarsi in terra sconosciuta – vivere altri percorsi, provare altri saperi, rischiare altre reti di relazioni. Uscire da sé, nell’ordine dell’Immaginario, è imparare ad essere più lontano senza tuttavia lasciare il qui «sempre andremo più lontano senza mai avanzare», ci dice Appolinaire in un tardo poema, decisamente premonitore, « E di pianeta in pianeta Di nebulosa in nebulosa Il don Juan delle mille e tre comete anche senza muoversi da terra cerca le forze nuove E prende sul serio i fantasmi » (“Toujours”, Calligrammes). E potrebbe essere, a questo proposito, quando si tratti effettivamente di cercare le forze nuove, che la frequentazione dei creatori e, attraverso loro, la frequentazione delle loro opere, sia un aiuto inestimabile. Ma uscire da sé per essere al di là, e questo i creatori non finiscono mai di dircelo, è anche uscire da sé per essere di più: 1′esperienza di sé fuori dalle frontiere in cui ciascuno é inizialmente confinato porta all’evidenza che qui si incontrano anche il superamento di sé e la valorizzazione dell’essere.

Ma il buon uso dell’Immaginario ci permette anche, cosa che non è di minore importanza quando se ne misurano le molteplici conseguenze, - di imparare a leggere 1′altro. Leggere 1′altro – intendo imparare cosi a decifrarlo, ad identificarlo, a distinguerlo, ad affrontarlo, a riconoscere sia la sua comune appartenenza sia la sua irreducibile differenza. Ecco qualcosa che non si improvvisa e che comunque dovrebbe singolarmente aiutarci ad uscire dai nostri limiti, a rinnovare il nostro modo di essere e di vedere, ad esplorare nuovi campi e scoprire, alla fine dei conti , dietro 1′infinita diversità delle modalità di attitudini e di approcci, se non delle finalità comuni almeno una certa comunanza di pensiero. Ora, dico che una tale lettura si apprende come ogni lettura, a condizione che la disponibilità di cui parlavo non venga meno. Porto come prova, tornerò per un attimo sul ruolo dell’Immaginario nella ricerca, il fatto che un comportamento possa ormai essere decifrato come una scrittura dell’immaginario; cosa che rimette fondamentalmente in questione le tesi comportamentiste e consente di instaurare una comunicazione anche con coloro che non possono più comunicare. Allo stesso modo, a fianco dell’esperienza del riempimento nel momento, dell’esperienza del divenire  e del vivente, dell’esperienza dell’uscita dai limiti del sé, bisogna fare posto all’esperienza dell’altro - sia come individuo che come gruppo. Un’esperienza che non è apprendimento della tolleranza o del diritto alla differenza, ma considerazione, attraverso 1′Immaginario stesso, del contributo che è proprio della produzione della nuova realtà.

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Incontrare ed abitare il presente, inscriversi nel «da venire», uscire da sé, leggere l’altro; ecco cosa  disegnano concretamente, a grandi linee e schematicamente, il programma d’azione dell’immaginario e le possibilità che offrono le logiche che gli sono proprie in più di un campo. Non saprei esaminare qui tutti questi campi d’applicazione, generali e particolari, ma sono sicuro che il confronto che seguirà - da1 momento che mi propongo qui soprattutto di porre dei problemi e di suggerire qualche risposta, permetterà di andare più avanti in questa direzione.

Per altro si è già rimarcato che, senza rinnegare in alcun modo l’eredità di un razionalismo che nutre essenzialmente il pensiero occidentale dall’antica greca, e che ha dato le sue prove in materia di conoscenza scientifica nell’esplorazione del dato, 1′Immaginario non solo travalica ampiamente questo dato e consente di estendere il campo del conosciuto aldilà dei suoi limiti, ma inaugura anche dei cambiamenti, rinnova dei modi di essere, propone di superare delle frontiere e di affrontare differentemente i problemi. Non potrei certo affermare che questa sia una panacea universale capace di superare tutte le difficoltà e di guarire tutti i mali. Ma posso affermare che è un eccellente investimento quello che si fa nell’immaginario. Investire nell’Immaginario significa prima di tutto, non cambiare gli obiettivi che ci si è dati ma darsi altri mezzi, sempre nuovi, per raggiungerli ed innanzitutto accettare altre logiche rispetto a quelle del pensiero razionale; questo significa rimettere in discussione le strategie di sviluppo non costruendo, attraverso una lunga serie di ragioni ben motivate, dei progetti con obiettivi che talvolta assomigliano molto a delle utopie tanto sono distanti, ma facendo partecipare con tutto il loro essere, vissuto compreso, coloro che li elaborano e li mettono in opera; questo vuol dire permettere a ciascuno di contribuire, alla sua maniera ed al suo livello, alla realizzazione di un Immaginario collettivo che andrà a nutrire e a dinamizzare questo grande corpo vivente sempre in mutamento che è il gruppo o la società; Questo significa far attenzione a non chiudere nessuno nella propria funzione, nel suo ruolo, nella  specialità in cui svolge al meglio i servizi che gli si chiedono, e dove trova un rifugio confortevole e rassicurante; questo significa infine consentire a ciascuno, per quanto si può, di trovare posto nel momento, di non assentarsi più dal presente, di incontrarsi così incontrando le cose e gli altri, e in questo modo, sui sentieri della creazione, essere più al mondo ed uscire dalla sua solitudine essenziale. Solo a questo prezzo ci sarà possibilità di cambiamento dei comportamenti, di cambiamento delle relazioni, di cambiamento delle prospettive e si potrà parlare forse infine, seriamente, di futurologia.

Già da questo si vede che 1′apprendistato dell’Immaginario, intendo 1′esercizio dei mezzi per stimolarlo alfine di utilizzarlo al meglio e raccogliere da esso qualche vero beneficio, non si improvvisa. Dal momento in cui si riconosce la sua importanza, il ruolo che può giocare a diversi livelli, diviene indispensabile accordargli il posto che gli spetta di diritto, o che dovrebbe spettargli, e cessare di accontentarsi di azioni puntuali e disordinate che saprebbero solo disconoscerlo, o mancare lo scopo ricercato. L’ho detto prima: sembra indispensabile, per scoprire e far scoprire 1′esistenza ed i poteri delle logiche dell’Immaginario, coltivare prima di lutto ciò che consente un incontro diretto, immediato, totale, con la realtà prima, senza il passaggio del pensiero. E’ alla scoperta ed all’affinamento delle sensazioni che bisogna domandare 1′impressione decisiva di appartenenza a questa realtà - cosa che si chiama  simpatia – questa impressione genererà presto la scoperta della sua trasformazione come della trasformazione progressiva della realtà prima. Poichè la sensazione rivela di colpo potenzialità, possibilità dell’emergere di realtà nuove, è proprio da essa che deve iniziare ogni formazione. Ma 1′Immaginario ci dice anche, 1′esercizio della sensazione ci avvisa già a questo proposito, che non potrebbe esserci vera formazione che faccia astrazione dal vissuto. E’ 1′essere intero che dovrebbe avviare 1′acquisizione di ogni sapere, ed in tutti i casi è l’essere tutto intero a mobilitare ogni transfert capace di conoscenze, di competenze; tanto è vero, e sarà senza dubbio merito del nostro ventesimo secolo avercelo dimostrato, che 1′essere non si dissocia dal mondo, né il Tempo dallo spazio, ma anche che 1′essere stesso non si dissocia in funzioni indipendenti le une dalle altre  che possano ignorarsi. La considerazione del vivente, del vissuto, nella formazione, ma anche la partecipazione di questo vissuto alla formazione, sfociano ormai in quello che bisogna chiamare una pedagogia dell’Immaginario. Una pedagogia di cui cominciamo qui a parlare e che precisamente si rifiuta di opporre le nozioni di oggettività e di soggettività come si vuole in una prospettiva razionale.

Mi accontenterò qui di segnalare che una tale pedagogia implica il cessare di opporre 1′approccio ironico e 1′approccio simpatico dell’oggetto o del soggetto da conoscere per svelare al contrario la loro necessaria complementarietà. Darò come solo esempio quello dell’approccio all’opera di creazione che si è convenuto chiamare artistica, tipo il poema o il quadro. Sono pronto a mostrarvi, prove alla mano se volessi, quello che può portare, che solo può portare una lettura dell’immaginario. Una lettura capace non di interpretare e quindi di tradurre, di ridurre e di fissare, ma di individuare tutti gli elementi in opera in questo poema o in questo quadro ed il modo in cui si organizzano gli uni in rapporto agli altri, in un modo quasi scientifico non lasciando niente al caso; ma una lettura capace anche, in un secondo tempo, di ridare senso a questo quadro riscaldando 1′Immaginario raffreddato della sua scrittura con una lettura che richiede al lettore la sua piena partecipazione, il confronto con il suo proprio immaginario con 1′immaginario dell’opera, ed infine la rimessa in vita di questa, la sua rimessa in condizione di funzionare e quindi di far convergere tutte le forze che contiene secondo una coerenza che detta il suo senso. Avessimo il tempo di fare la prova, vi mostrerei allora che questo senso – unico, qualunque siano i molteplici significati che ogni opera propone a ciascuno, in funzione del modo in cui si opera ogni confronto di Immaginari – questo senso si impone così bene da definire non solo la specificità ma anche 1′autenticità della creazione in questione.

Non potrei qui avventurarmi  per queste vie tanto appassionanti e nuove. Vorrei solamente, per terminare, evocare con qualche parola, facendo un po’ la sintesi di tutto ciò che ho accennato fino a qui, la parte dell’Immaginario – una parte che nella ricerca non si potrà più ignorare -. Ciò che l’Immaginario propone in questo campo sono innanzitutto altre logiche – logica dei possibili, legata a ciò che è in divenire, o logica paradossale che mette in discussione i dogmi della ragione; ma comunque logica poiché, in ogni caso, le potenzialità che ogni azione libera non si ordinano a caso ma si articolano, si attirano e si deformano, si legano e si trasformano secondo certe necessità imperative di un altro ordine che non e razionale. Sono altre modalità di stimolazione e di messa alla prova della creatività quelle che  l’Immaginario propone, altri esercizi sulle potenzialità, altri passaggi ad una realtà nuova, altre terre nuove da esplorare. E si vede cosi che si scoprono nuovi campi di applicazione, quando è messa in causa anche 1′iniziazione alla ricerca, la formazione all’innovazione, 1′apertura a nuove prassi, 1′apprendimento delle strade stesse della creazione. Non deve essere senza interesse, per chiunque abbia  compito di ricerca - certi managers 1′hanno già compreso, IBM, UBS…. – il confrontarsi con quello che ho chiamato la logica dell’Immaginario: le connessioni del reale e del possibile, le fratture creatrici, le compatibilità ed incompatibilità dei possibili, la convergenza di schemi genetici o forze dell’Immaginario, la loro coerenza portatrice di senso – tanti i problemi che fanno della creazione una cosa diversa dal caso e lasciano pensare che anche creare si possa imparare.

Ma vorrei fermarmi un istante, per concludere con qualcosa di  pratico, sul campo insieme psicologico e terapeutico della comunicazione non verbale che I’Immaginario è forse il solo ad esplorare. Dal momento in cui colui che emette o vorrebbe emettere un messaggio, ed è privato della parola, al punto che non può o non riesce a governare il contenuto di informazioni da far passare, dal momento che non può usare alcun codice esistente né appoggiarsi a dei referenti identificabili, forse la decifrazione di un’occupazione dello spazio da parte di una gestualità che diventa autentica scrittura dell’Immaginario potrebbe essere il solo modo di stabilire un legame con chi e murato nel suo psichismo o il suo silenzio. Mettendo 1′accento sulle potenzialità inscritte in questo linguaggio di gesti – per quanto infimi o disordinati essi siano – contemporanei alla propria enunciazione, più che sui materiali usati da questo linguaggio, e considerando trascurabili le risposte che questi gesti potrebbero apportare ad alcuni riflessi di base, la decifrazione paziente delle potenzialità inscritte nella situazione presente permette di considerare la gestualità non più come un insieme di movimenti che si sforzano di tradurre nello spazio un messaggio già costruito e che non potrebbe dirsi in altro modo, ma come una vera costruzione che trova confusamente il proprio dire ed il proprio senso in una certa occupazione dello spazio, avvicinandosi cosi ad una scrittura dell’Immaginario. Dei lavori che si fanno oggi in questo senso in alcuni servizi ospedalieri che accolgono afasici – in seguito a traumatismi cranici o accidenti vascolari, e soprattutto in un istituto specializzato che si occupa di bambini autistici, lasciano intendere, tramite le vie che aprono e più ancora tramite i primi risultati ottenuti, che 1′Immaginario può effettivamente e concretamente venire in soccorso ad una realtà che esso sa esplorare e decifrare più di  quanto  si possa sperare.

E’ su questo messaggio consolante e che lascia intendere che 1′Immaginario attraverso le sue logiche non ha finito di interrogarci e di sorprenderci, che mi fermerei non senza avervi invitato, come si deve, a voler ed a saper sognare, poiché è tutto qua.