Introduzione a: Le radici del male – Incontro di studio con la Dott.ssa Marisa Spinoglio

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Psicoterapia con l’ITPIvana Zanetti

Ivana Zanetti: psicologa e psicoterapeuta ITP, Presidente GITIM.

 

Introduzione a: Le radici del male – Incontro di studio con la Dott.ssa Marisa Spinoglio –

 

Il Seminario è un’iniziativa GITIM, associazione di psicologi, psicoterapeuti e medici, che diffonde la Tecnica Immaginativa di Analisi e Ristrutturazione del profondo (ITP) di Leopoldo Rigo.

La dott.ssa Spinoglio, analista junghiana, ci ha accompagnato in numerosi Seminari: “Creatività: tra neurobiologia e mistero” marzo 2018, la trilogia di Dante come percorso individuativo,  il mito di Amore e Psiche, il tema del Sacrificio, eccetera.

Bisogna dire che il tema del male è un tema con cui si confrontano tutte le tradizioni, le religioni e la filosofia.

L’uomo si è interrogato sull’esistenza, sull’ontologia del male, sulla sua origine. Quali siano le radici del male, è una domanda che emerge appena ci soffermiamo a riflettere sulla situazione del mondo e sulla realtà di ciascuno di noi.

I nostri telegiornali riportano stupri, violenze, assassinii spesso efferati. Assistiamo ad azioni, ad attacchi, atti di terrorismo che colpiscono persone inermi che appaiono e definiamo folli. Il terrorismo ci ha indotto a introdurre nella nostra vita sociale cautele impensabili tempo fa.

Non mancano i comportamenti insensati, gli acting-out che portano dei giovani all’uso di droghe e di alcool, a comportamenti  come la guida spericolata che, nati come atti di spavalderia e dettati dell’ebrezza, generano morte, per se stessi e per gli altri. E c’è il male che la persona rivolge a  se stessa: l’anoressia, il suicidio.

Ci sembra in questi nostri tempi di assistere a una nuova barbarie, simile a quella che l’uomo ha tante volte vissuto (pensiamo ai campi di concentramento), in cui viene meno il rispetto  minimo della vita umana. Ogni giorno i mezzi di informazione ci presentano episodi drammatici: una specie di inferno quotidiano. Quell’Inferno che veniva raffigurato, nelle chiese, nelle rappresentazioni del Giudizio Universale, e non solo, ora scomparso dalle nostre chiese, come ci fa notare il priore Enzo Bianchi.

Il male ci appare incomprensibile .

Di fronte a quanto succede intorno a noi, la coscienza morale ci dice che ciascuno di noi è chiamato in gioco. L’indifferenza che rischiamo è essa stessa un “male”, forse il “male”, ognuno di noi deve interrogarsi a livello personale e collettivo, come ci invita a fare Christopher Bollas [2] nel suo ultimo interessante libro “L’età dello smarrimento – senso e malinconia”, in cui ci sollecita a confrontare i meccanismi psicologici del singolo e delle società e delle culture.

Oggi affrontiamo questo tema, con l’apporto della dott.ssa Spinoglio, che sempre riesce a darci “uno sguardo ampio” facendo riferimento alla Vicenda Umana, non tralasciando però ciò che ci riguarda molto da vicino: come rapportarci , ciascuno di noi  al male, quale strada sia possibile per l’uomo.

 

IL male e l’uomo

La questione del “male“ e  la  natura dell’uomo è un interrogativo che riguarda non solo le religioni e la filosofia, ma anche la Psicologia del Profondo e le teorie psicologiche sull’essere umano e sul divenire delle persone. Spesso le teorie psicologiche hanno un loro fondamento e riferimento nelle  teorie filosofiche e la visione della natura umana  è alla base anche delle teorie psicologiche sull’individuo.

La Psicologia del Profondo, la  Psichiatria, la Psicoanalisi si sono interrogate e, da molto, hanno cercato di capire quanto, della violenza, dipenda dalla natura dell’uomo e quanto dalle sue esperienze, cercando così una integrazione fra teorie diverse;  è questa una questione  inesauribile.

Vi sono personaggi che sembrano l’incarnazione del male (vedi il mostro di Milwaukee, Jeffrey Lionel Dahmer, con le sue 17 vittime). La freddezza di personaggi, come certi assassini agghiaccianti, ha fatto pensare a una “mancanza d’anima” o ad “un buco del carattere”, a “un cattivo seme”, per usare un’espressione cara a James Hillmann.

Può darsi, come dice lo psicoanalista André Green [1], che gli psicoanalisti non siano così in grado di parlare del male, visto che – come dice Green – “… dal momento in cui un soggetto accetta una situazione di analisi … egli non è più un buon materiale di studio per comprendere il male…” (André Green, “Perché il male”, in “Psicoanalisi degli stati limite”).

La Psicologia del Profondo vede il male come malattia: il male diventa “aggressività”, ”sadismo”.

Per Freud il male e la sua esemplificazione – il diavolo – è “la personificazione della vita pulsionale inconscia rimossa” (Sigmund Freud, “Carattere ed erotismo anale”). La teoria freudiana dell’istinto di morte afferma che il male è connaturato alla natura dell’uomo. Per Freud, sostenitore della teoria dei due istinti, istinto di vita e di morte, eros e thanatos, sono pulsioni ineludibili. Freud si colloca quindi in una prospettiva dualista.

Dall’altra parte, autori come  Heinz Kohut parlano  dell’aggressività e della rabbia non come elementi primari. Kohut preferisce non parlare di due pulsioni, ma vede l’aggressività e la rabbia come secondarie rispetto al danno portato al sé infantile come conseguenza delle ripetute ferite narcisistiche, alla mancanza di empatia, di rispecchiamento, di sintonizzazione, vissuta come attacco al sé nascente del bambino, che non viene aiutato ad evolvere da strutture narcisistiche primitive verso   strutture più evolute.

Gli studi sul maltrattamento, sulla storia di genitori maltrattanti, cercano sempre più di trovare le relazioni, i collegamenti tra chi ha avuto sofferenze nell’infanzia e certi comportamenti delinquenziali o che inducono sofferenza. Vedasi ad esempio il bel testo “Dal dolore alla violenza“ di Felicity de Zulueta [3].

Interessante potrebbe essere una visione intermedia: Stephen Mitchell considera l’aggressività come “risposta biologica a un rischio soggettivamente percepito”. La pulsione, dunque, è una reazione psicofisiologica in un contesto relazionale, più che una spinta somatica. Si parla di trauma che si può organizzare  e dar luogo all’uccisione del Sé in un contesto intersoggettivo in cui si è verificato un fallimento nella sintonizzazione affettiva, che è alla base della regolazione affettiva (la capacità fondamentale di regolare gli affetti). La regolazione degli affetti spiacevoli avviene nelle relazioni, primario bisogno del bambino. Questi autori considerano primario il “bisogno di relazione” piuttosto che “la pulsione che cerca soddisfazione”.

Christopher Bollas, psicoanalista, figura di spicco della psicoanalisi contemporanea, si è interrogato sul problema del male  e parla di condizioni per cui l’attività creativa dell’inconscio non ha potuto svilupparsi, per una sorta di “congelamento”. Egli parla di un “sé ucciso”: un attacco all’esperienza di fiducia che il bambino prova  e cerca nella relazione.

Bollas si occupa dei serial killer e delle esperienze sadomasochiste, e ci dice che il malvagio ripropone l’uccisione del Sé nell’altro: una momentanea liberazione del proprio “Sé ucciso”. Bollas si occupa della sopraffazione, che definisce “stato mentale fascista”: la sopraffazione come eliminazione dell’altro e di Sé. Si genera così  la crudeltà che elimina ogni forma di umanità. La sua riflessione si estende alla società, sviluppando il suo pensiero nel libro “L’età dello smarrimento – senso e malinconia”.

Leopoldo Rigo, alla base di comportamenti aggressivi (il male), pone una vita interna (delle relazioni interiorizzate) in cui si è incapsulata una relazione sentita come dominante, sopraffattrice, in cui l’aggressività non ha trovato una sana espressione  e si trova  per lo più proiettata. Si tratta di ciò che Rigo chiama “ del fantasma”, che informa la nostra vita affettiva e relazionale passando attraverso il corpo e le sue posture ad esempio.

Ma c’è una  speranza …

Melanie Klein, nonostante abbia l’idea di un male “fisiologicamente connaturato al soggetto” (in ciò sostiene la teoria delle due pulsioni), dice che “l’analisi dovrebbe esser in grado di modificare lo sviluppo criminale … io non credo che esistano bambini irrimediabilmente cattivi nei quali non si possa mobilitare la capacità di amare”. (per saperne di più: https://www.stateofmind.it/2018/06/litinerario-criminologico-di-melanie-klein-crimine-e-riparazione/ ).

Secondo Jung, per la liberazione dal male è necessario il confronto con l’ombra e l’integrazione. Naturalmente occorre passare attraverso la possibilità di riconoscere il male e di affrontarlo. La modalità di affrontare il male che propongono le Tecniche Immaginative è quella delle immagini. Anche Jung propone una tecnica Immaginativa: l’Immaginazione Attiva. Rigo propone la Tecnica Immaginativa ITP, con le sue affinità e divergenze.

 

Il male nell’immaginario.

Le narrazioni archetipiche descrivono le forme del male, i volti del male. Forme del male:

  • Il male viene associato alle tenebre, all’oscurità (uomo nero/Diabolik):  l’oscuramento della coscienza, il buio dell’inconscio.
  • Il male assume l’aspetto teriomorfo di animali selvaggi e pericolosi (il lupo, lo squalo), che ci mettono di fronte alla minaccia di precipitare in uno stato bestiale (la  belva umana).
  • Il male come mostro: l’uomo si abbruttisce quando abdica alle sue funzioni superiori .in particolare questo è visibile nei mostri in cui la superiorità è animalesca. È la contaminazione  fra la parte superiore umana e quella inferiore ancora animale. È l’orco. Spesso la parte superiore è umana, mentre quella inferiore è animale. Più inquietanti i mostri che hanno animalesca la parte superiore.
  • Il male come abbruttimento: la strega di Biancaneve e Frankenstein. Sono figure deformate, abbruttite. Questo ci rimanda alla cultura greca , così importante  per il mondo occidentale .Per il mondo greco il bello si associa con il buono (kalòs kagathòs).
  • Il male come degradazione/deterioramento: il ritratto di Dorian Gray.
  • Il male come qualcosa che viene da fuori: l’alieno (Alien).

 

Caratteristiche fondamentali.

Il male presenta mille volti. In genere viene da fuori, ed è alieno, mostruoso, brutto. Il male è distruttività.  anche nello stesso tempo affascinante e “magnetico”. Ha una forza di attrazione come dimostra ampiamente l’interesse suscitato da serial killer o assassini efferati (lettere di ammiratrici a famosi assassini). La distruttività, il dolore, l’erotizzazione del dolore.

Il male associato all’eccitazione e al piacere : è il sadismo. Ne è rappresentazione  intensa il film “Arancia Meccanica” di Kubrik.

Le immagini gettano un ponte  tra gli opposti. L’immaginazione congiunge i poli opposti della psiche: inconscio e coscienza, corpo e spirito.

Il nostro scopo, lo scopo del nostro lavoro è quello di soffermarsi sulle immagini poiché esse hanno importanza sia a livello personale che collettivo.

L’immagine del diavolo, tipica del pensiero dualistico, è presente nell’immaginario collettivo. Le immagini più inquietanti sono legate al mondo sotterraneo, ctonio, a cui associamo angoscia, inquietudine, morte.  Già Desoille, inventore del rêve éveillé (la tecnica immaginativa del “sogno da svegli”), aveva visto che ogni discesa è una discesa verso l’angoscia, verso quelle esperienze che sono alla base del disagio psichico, e che nella discesa appaiono immagini inquietanti (legate al materno o al paterno); esse sono dunque appartenenti alle nostre esperienze frustranti.

Le immagini nella psicologia del profondo vengono ricondotte non tanto a istanze malefiche, a spiriti, a diavoli tentatori, ma a situazioni che si sono determinate nel corso dello sviluppo. Le immagini si possono così riferire a fenomeni psichici. a passaggi psichici: le carenze, i fallimenti empatici, le disarmonie, le relazioni fallimentari della prima infanzia in primo luogo.

Molte immagini dell’immaginario collettivo e personale hanno trovato una loro lettura in campo psicodinamico: la strega è così l’imago materna frutto della scissione kleiniana (madre buona e madre cattiva). La strega della fiaba di Biancaneve è stata vista come la rappresentazione della cattiva madre di cui è rimasta un’esperienza interiore cristallizzata, e che continua ad agire in quel senso di sfiducia e inganno che può permeare le nostre relazioni anche adulte.

Vi è la madre assorbente-simbiotica, che impedisce la separazione oggettuale e la distinzione dell’Io, ben rappresentata dalle figure del ragno e della piovra.

Le tecniche e le scuole di psicoterapia immaginativa si fondano sulla capacità immaginativa dell’uomo e questa diventa anche lo strumento terapeutico. Le immagini simboliche agiscono con la forza del simbolo.

La terapia immaginativa è condotta in interazione dialogica con il terapeuta che interviene. Sono particolarmente significative, nelle Terapie Immaginative, le immagini prodotte in uno stato particolare di attenuazione della vigilanza, (di solito ottenuto con il rilassamento) che consentono una maggior comunicazione con l’inconscio. Vi è un “inserimento” del soggetto che è presente e si muove nello spazio immaginario con partecipazione sensoriale ed emotiva, in un “sogno da sveglio”.

Le Terapie Immaginative, tra cui si situa la tecnica ITP di Rigo, ma anche la tecnica di Jung denominata “Immaginazione Attiva”, sono un po’ vittime del pregiudizio per cui si considera l’immaginazione equivalente a una “fantasia evasiva”, che porta alla “fuga della realtà”.

Nella nostra cultura da un lato si enfatizza l’immagine, si parla di “civiltà dell’immagine”, dall’altro si tende a svilirla. L’immaginazione è ancora considerata la “pazza di casa” (Erasmo da Rotterdam).

La Tecnica Immaginativa propone di confrontarsi – a livello immaginario – con le immagini prodotte da ciascuno di noi. Tali immagini sono più vicine al nostro inconscio di quanto non lo sia il pensiero verbale.

Jung stesso, partendo dall’esperienza personale, formulò una pratica che denominò “Immaginazione Attiva”, condotta però in solitudine e successivamente narrata con il terapeuta.

Quello che si verifica è un confronto con immagini rappresentative di Sé e delle proprie relazioni, proiettate sullo scenario immaginario.

C’è spesso una tentazione allo svilimento dell’immagine dato da quegli aspetti tentatori difensivi. Lasciar accadere, lasciar apparire, non giudicare, sono invece le parole d’ordine della situazione immaginativa ITP, che lascia apparire sotto forma di immagine l’inconscio. Nel dare forma alle immagini, un fenomeno psichico viene oggettivato. L’attività immaginativa, in Rigo come per Jung, è una funzione di crescita e di sintesi fra le diverse esigenze della personalità che emergono dalle immagini.

È fondamentale confrontarsi con le immagini. Per Jung si tratta di confrontarsi con le immagini anche “dialogando con loro”. Per Rigo è  importante la vicenda, la relazione del soggetto che interviene attivamente come “Io Corporeo Immaginario”, che vive, sente, ha sensazioni ed emozioni. L’Io diventa attivo nello Scenario immaginativo. La partecipazione deve essere reale, dinamica. Importante è la partecipazione sensoriale ed emotiva: immagine ed emozione infatti si influenzano e si modificano. A volte le immagini vengono anche disegnate, dipinte.

Nel momento in cui vengono comunicate, le immagini assumono una forma verbale: si mantiene così un rapporto tra l’Io e le immagini inconsce.

 

Immagini  legate al Male – Immagini prodotte da bambini in terapia. Fronteggiare le immagini.

Il diavolo, la minaccia della distruzione (l’orca), la minaccia dell’aggressività, la malattia … da San Giorgio alla cattura della piovra …  momento fondamentale è quello di confrontarsi con le immagini legate al male, siano esse concepite come “ombra”  o come immagini riferite alle carenze e ai conflitti.

Nelle Tecniche Immaginative possono emergere (o essere fatte emergere) figure minacciose, e ci si confronta con l’aggressività che può essere configurata nell’animale aggressivo (il lupo, lo squalo, il grande ragno, la grande piovra, il serpente, …  fino al drago) o in qualsivoglia figura nell’umano minaccioso (la strega, lo stregone, l’uomo cattivo, il mostro, il diavolo stesso). Si invita talora il paziente a far emergere immagini che evocano chiaramente il rapporto con l’aggressività, chiedono di immaginare ad esempio un leone e sarà interessante vedere come evolverà l’immagine nella vicenda. Si  tratta dell’emergere di immagini che l’immaginario collettivo ha sempre collegato al male e che sono anche proprie dell’immaginario personale.

Secondo la visione di Rigo, tali immagini, essendo innanzitutto espressioni dell’inconscio, non essendo altro che una parte di Sé o una relazione interiorizzata frutto delle prime relazioni, che hanno avuto la dimensione del trauma o del microtrauma, devono essere “trattate” e, come anticipato, “trasformate” o “eliminate”. In queste immagini l’aggressività viene soprattutto proiettata nello Scenario. La strega per esempio è l’immagine di un cattivo rapporto interiorizzato e costituitosi nel tempo. Nella terapia immaginativa vengono così trattate e liquidate immagini materne e paterne portatrici di frustrazioni o conflitti,  la loro trasformazione aiuta il soggetto a conquistare la liberazione.

Le tecniche immaginative hanno varie modalità di rapportarsi con queste immagini paurose o terrificanti. Talvolta si realizza una specie di dominio psichico. Il soggetto ingaggia una lotta e il paziente diventa il vincitore, l’eroe vincitore. Nella lotta si scaricano tensioni aggressive.

Il valore simbolico dell’immagine  (lotta con la piovra = imago materna negativa) dove il soggetto si sente minacciato, intrappolato in una relazione che non lascia evolvere, si liberano tensioni aggressive legate alla figura materna. Dopo la lotta, da cui il soggetto esce vincitore si ha una liberazione di energie (talora la conquista di qualcosa, magari un tesoro).

È qualcosa simile a quello che accade nel mito. Teseo quando uccide il Minotauro libera le giovani prigioniere, o forze a servizio dell’Io intrappolate; come conseguenza della uccisione del drago vi è la conversione della città. Questi passaggi portano ad una abreazione[1] delle cariche aggressive e all’integrazione del contenuto ostile

È l’aspetto simbolico,  la sua natura energetica e la sua possibilità di contattare l’inconscio (aspetti psichici inaccessibili) che  costituisce il punto di forza delle Terapie Immaginative. Ecco così che nelle Tecniche Immaginative non si cerca di evitare la rabbia, il dolore, il male, ma si cerca di entrarci dentro, di riconoscere, di trasformare e di dominare, così come si cerca di governare l’impulso e di orientare l’aggressività. Come? Con un processo di trasformazione e di evoluzione.

Fondamentale è l’interazione con l’oggetto della visualizzazione, l’entrare in contatto, l’interagire con l’immagine come qualcosa che può contribuire all’evolvere del Sé. Tale interazione è fondamentale anche nell’Immaginazione Attiva, tecnica specifica di Jung.

 

Bibliografia

[1] André Green, “Perché il male”, in “Psicoanalisi degli stati limite”, Raffaello Cortina Editore, 1991.

[2] Christopher  Bollas, “L’età dello smarrimento”, Raffaello Cortina Editore, 2018.

[3] Felicity de Zulueta, “Dal dolore alla violenza”, Raffaello Cortina Editore, 2009.

 


 



[1] Abreazione: [Treccani] termine coniato da J. Breuer e S. Freud (1895), che indica un processo, spontaneo o indotto, di scarica di emozioni legate a un evento traumatico rievocato dal soggetto – [Wikipedia] la scarica emozionale attraverso la quale un soggetto si libera di un trauma antico i cui termini essenziali sono rimasti inconsci)