L’educazione come arma di pace. L’ITP incontra Maria Montessori

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Immaginario: studi e ricercheSilvia Biscaro

 

Immaginario: studi e ricerche

 

Silvia Biscaro: psicologa psicoterapeuta ITP.

L’educazione come arma di pace. L’ITP incontra Maria Montessori

L’importanza dei primi momenti di vita per la costruzione di un mondo di pace.

Nobili idee e alti sentimenti sono sempre esistiti e sono stati sempre trasmessi con l’insegnamento, ma le guerre non sono mai cessate. E se l’educazione dovesse venire sempre concepita secondo gli antichi schemi di trasmissione del sapere non vi sarebbe più nulla da sperare per l’avvenire del mondo. Che conta la trasmissione del sapere se la formazione generale stessa dell’uomo è trascurata?”  1

Maria Montessori scrisse queste parole tra le prime pagine del suo libro “La mente del bambino”, pubblicato per la prima volta nel 1949 in lingua inglese con il titolo “The absorment mind” e, successivamente, dalla Casa Editrice Garzanti nel 1952. E’ un messaggio ancora attuale per noi adulti, gli insegnanti, gli psicologi, medici, pediatri, educatori, pedagogisti ed altri professionisti che si occupano dell’età evolutiva, delle persone bisognose di aiuto, dell’uomo in divenire e della società nel suo complesso. Tutti noi dovremo essere promotori della pace e non solo a parole o limitandoci ai sentimentalismi.

Come ci ha insegnato Maria Montessori, dobbiamo attivare concretamente azioni di pace giorno dopo giorno a partire dalla nascita del bambino e dalle prime cure postnatali. L’autrice riteneva che il periodo post-natale “è un periodo di vita embrionale biologica costruttiva che rende il bambino un Embrione Spirituale”3 perché dotato di una vita psichica a cui il caregiver e l’intera società sono chiamati a corrispondere.

Il bambino trascurato o non curato rischierà di crescere provando repulsione verso il mondo circostante ed è probabile che da adulto maturi il desiderio di vendetta nei confronti della stessa società che avrebbe dovuto prendersi cura di lui.

Come sosteneva Francoise Dolto, la “completazione di tipo substanziale ovvero la soddisfazione dei bisogni primari atti alla sopravvivenza del bambino, dovrebbe essere affiancata da una “completazione sottile” data da quelle cure che trasmettono al bambino la sensazione di sentirsi amato. Per esempio, a livello di “completazione substanziale” la regolarità della poppata è un’esigenza nutritiva da soddisfare, ma è anche il modo in cui viene attuata che aiuterà il bambino a sentirsi come oggetto presente e ricordato dall’altro. La regolarità stessa permette di introiettare l’altro e di colmare il senso di vuoto dato dall’assenza della madre, della sua voce, del suo corpo e del suo odore. Inoltre, riuscirà a superare la temporizzazione della soddisfazione carnale perché si sta sviluppando un altro vaso comunicante oltre a quello corporeo, è “il vaso comunicante delle sensazioni emozionali” espresse mediante la mimica, i vocalizzi, le moine accompagnate dall’espressione del viso della madre.

Solo una “completazione substanziale” integrata con la “completazione sottile” farà sentire al bambino la certezza di essere amato e lo sviluppo di un sano narcisismo secondario. Il legame tra il bambino e la madre andrà oltre le cure corporee perché sarà un legame profondo tra la madre come “dono di presenza” e il bambino che potrà accedere all’amore.4

Maria Montessori sosteneva che per un mondo di pace non è solo la famiglia ad avere il compito di accudire il bambino: “La vita deve essere protetta. Tutti sono chiamati a collaborare … ma quando la famiglia non abbia possibilità sufficienti, la società è tenuta non solo a impartire l’istruzione, ma anche a dare i mezzi necessari per allevare i bambini. Se l’educazione significa cura dell’individuo, se la società riconosce necessari allo sviluppo del bambino mezzi di cui la famiglia non è in grado di disporre, spetta alla società stessa provvedere, spetta allo Stato di non abbandonare il bambino.” 2 L’autrice muove tuttora le coscienze di ciascuno di noi e ci invita ad essere degli attivi collaboratori della costruzione del bambino, dell’uomo e della società intera per un futuro di pace. Secondo l’autrice, una società attenta ai bisogni dell’infanzia non fa altro che continuare il compito della natura. Quest’ultima ha fatto in modo che noi adulti proviamo amore, tenerezza e istinto protettivo verso una creatura appena venuta al mondo. Solo così facendo il neonato può sentirsi contenuto, amato, rassicurato, protetto e non rifiutato dall’ambiente in cui è venuto.

 

Castrazione anale e rispetto dei confini.

E’ altrettanto necessario che il bambino venga accompagnato gradualmente anche nei passaggi tra una tappa evolutiva e l’altra.  Per esempio, l’allattamento è un periodo di “illusione” in cui il bambino crede di rimanere per sempre nella culla e tra le braccia della madre, si crea la convinzione che il seno materno venga creato in quel luogo e in quel momento per soddisfare i suoi bisogni illudendosi che sia sotto il suo “controllo magico”. La “madre sufficientemente buona” concede al bambino la convinzione del controllo del seno materno ma gli dona anche la possibilità di diventare autonomo aprendo la strada verso lo svezzamento (Winnicott, 1997)5 e quindi verso una sana castrazione di tipo orale.

La castrazione successiva, quella anale, non è solo il raggiungimento del controllo degli sfinteri ma “riguarda la proibizione di nuocere, con tattiche motorie, di rifiuto, pericolose o incontrollate, a se stesso e a tutto quanto, inanimato e animato, circonda il triangolo iniziale padre-madre-bambino. Si tratta, di fatto, della proibizione di uccidere e di distruggere allo scopo di mantenere una sana armonia di gruppo. Contemporaneamente, riguarda l’iniziazione alla libertà del piacere motorio condiviso, in una comunicazione linguistica e gestuale nella quale ciascuno provi il piacere di andare d’accordo con gli altri.”

Quest’ultimo passaggio introduce l’importanza di trasmettere al bambino qual è il limite della propria libertà per non nuocere quella dell’altro, di capire il confine tra ciò che appartiene a me e all’altro, dove finisce il mio spazio che si prolunga attraverso gli oggetti che mi appartengono e dove comincia lo spazio degli altri. Gli educatori che si occupano dell’infanzia dovrebbero essere adeguatamente formati per accompagnare i bambini a rispettare i confini e a negoziare con gli altri attraverso il linguaggio, a sostenere le iniziative e le attività spontanee dei bambini fino a quando non recano danno all’altro6 .

La pace si costruisce solo ed esclusivamente attraverso un’interazione costruttiva con l’altro, non può che essere diversamente. A sostenere questo è anche l’etimologia, sarebbe riduttivo e negativo considerare la pace esclusivamente come assenza o cessazione della guerra; la parola pace deriva dal latino pax che significa fissare, pattuire, legare, unire, saldare. Infatti, solo una società unita e coesa, che ha come fine il benessere comune, arriverà a costruire un mondo di pace.

Riprendendo il pensiero di Francoise Dolto, se ciascuno di noi pensasse a soddisfare solo ed esclusivamente la propria libertà a costo di nuocere l’altro, di non rispettare i confini altrui, di non avere nessun interesse per la negoziazione e disinteresse per il bene comune, ci sarà un’involuzione della società e un probabile scenario di guerra. Ognuno penserebbe a sé e ad innalzare il proprio potere individualistico senza preoccuparsi troppo delle conseguenze inflitte alle altre persone.

 

Breve biografia di Maria Montessori (Chiaravalle, 1870 – Noordwijk, 1952).

Se considerassimo l’educazione come una vera e propria arma di pace, potremo davvero donare ai bambini una visione più collettiva e meno individualistica della società.  Sempre dal punto di vista etimologico, la parola arma deriva dal latino arma che significa respingere e i latini chiamavano armi anche gli strumenti per compiere un mestiere.  Maria Montessori fu colei che fece dell’educazione lo strumento perché i bambini potessero sperimentare quotidianamente la pace. La sua missione cominciò nel 1889, quando interruppe gli studi di ingegneria per dedicarsi alla medicina. Maturò tale decisione dopo aver visto una donna che chiedeva l’elemosina con il figlio accanto che giocava con una cartina rossa trovata per terra. In seguito a tale episodio, Maria sentì crescere in lei il forte desiderio di dedicare la propria vita al prossimo. All’Università fu colpita soprattutto dalle lezioni del dott. Celli, il quale sosteneva che per combattere “l’ignoranza, la povertà, la malnutrizione e i pregiudizi” si sarebbe dovuto iniziare dalla collaborazione con altri professionisti, tra cui gli insegnanti. Maria si appassionava sempre di più ai disturbi mentali, argomento poco conosciuto per l’epoca. Nel 1896 si laureò presentando la tesi dal titolo “Contributo clinico allo studio delle allucinazioni a contenuto antagonistico”. Presso la Clinica Psichiatrica dell’università di Roma Maria conobbe il medico Giuseppe Montesano ed entrambi non accettavano che presso la suddetta Clinica fossero relegati e confinati anche dei bambini orfani, considerati dalla società senza speranze. Secondo i due colleghi era necessario intervenire e dare almeno una possibilità a questi bambini diffondendo una pedagogia fortemente sostenuta da principi scientifici.

Fu nel 1897 che Maria presentò questo suo pensiero presso il Congresso Nazionale di Medicina tenutosi a Torino, esponendo le orribili e deplorevoli condizioni in cui gli orfani erano costretti a vivere.

Nel frattempo, intraprese una relazione con Giuseppe e rimase incinta. Partorì in gran segreto, avendo sempre vicina la madre Renilde. La famiglia Montesano si oppose all’unione del figlio con una dottoressa anticonformista e femminista, seppur moderata. Renilde spinse affinché non fosse la figlia a crescere il bambino: non voleva che rinunciasse alla carriera per la maternità. Il bambino, chiamato Mario, fu affidato ad una famiglia accuratamente scelta da Maria.

A soli sei mesi dal parto, Maria intervenne al Primo Congresso Pedagogico tenutosi a Torino nel 1898 e fu l’avvio di una pedagogia innovativa. Nel 1900 applicò la “pedagogia scientifica” presso l’Istituto Medico-Pedagogico; proponeva anche dei materiali che lei stessa ideava e produceva per stimolare l’apprendimento attraverso i cinque sensi. Davanti “ad alcuni membri onorevoli della Camera dei Deputati e del ministro della Pubblica Istruzione” alcuni bambini e allievi di Maria esplicarono ciò che avevano imparato davanti alle reazioni stupefatte dei presenti. Erano bambini che grazie a Lei avevano trovato un ambiente pulito, accogliente e sereno, predisposto all’apprendimento e alla crescita personale.

Maria sentì anche la necessità di approfondire anche la filosofia e l’antropologia e si iscrisse all’Università la Sapienza di Roma. In seguito tenne delle lezioni presso l’Istituto Femminile di Magistero, conosciuto per la formazione delle future insegnanti. Erano incontri formativi non solo per i contenuti ma anche per le capacità oratorie di Maria che  sapeva coinvolgere trasmettendo sapere, vita e amore. Di tali doti ne venne a conoscenza l’ingegnere Edoardo Talamo, colui che aveva avuto l’incarico di riqualificare il quartiere San Lorenzo di Roma. Da anni era abbandonato, dominato dalla delinquenza e dal degrado di cui erano i bambini a soffrirne e a pagarne le conseguenze. A Maria fu chiesto di occuparsi della scuola; oltre a ideare e costruire con le sue mani il materiale didattico, si prodigò affinché non mancasse il cibo nell’ambiente scolastico e che tutto fosse pensato per il bambino, comprese le misure dei mobili.  Fu così che la scuola venne chiamata Casa dei bambini. La presenza della scuola ebbe un effetto importante anche nel quartiere che, nel corso del tempo, venne maggiormente curato dagli abitanti stessi. La presenza della scuola aveva avuto un impatto importante nella riqualificazione del quartiere.

Nonostante i successi raggiunti, l’ingegnere Talamo non condivideva appieno i principi pedagogici montessoriani perché credeva maggiormente in una didattica basata essenzialmente su premi e punizioni. A causa di questa sostanziale differenza nel considerare la pedagogia, a Maria fu impedito l’accesso alla scuola da un giorno all’altro del 1909.

La baronessa Alice Franchetti Hallgarten ebbe l’occasione di visitare la “Casa dei bambini” ai tempi in cui Maria insegnava; ne rimase esterrefatta a tal punto da proporre a Maria di documentare il suo lavoro. Non potendo più occuparsi della “Casa dei bambini”, Maria accettò e presso l’abitazione della baronessa completò la stesura de “Il metodo della pedagogia scientifica applicato all’educazione infantile nelle Case dei Bambini”. La divulgazione giunse ad una serie di testate giornalistiche americane che dedicarono degli articoli al metodo montessoriano e nel 1911 venne inaugurata a New York la scuola montessoriana Scarborough.

Maria tenne i suoi primi corsi di formazione per gli insegnanti presso la sua stessa abitazione. I partecipanti provenivano anche da lontano, come per esempio dal Panama o dal Canada. Oramai Maria era maggiormente riconosciuta all’estero; in Italia era considerata troppo innovativa per le idee conservatrici che predominavano.

Nel 1913 morì Renilde e Maria Montessori decise di rilevare a suo figlio chi fosse, di cominciare a vivere con lui e portarlo con sé nei viaggi successivi. L’anno seguente fu invitata negli Stati Uniti per una conferenza che fu aperta da John Dewey. Poco dopo, si diffuse il suo metodo anche in Gran Bretagna e in Irlanda.

A causa della Prima Guerra Mondiale, il suo lavoro di formazione si interruppe e riprese nel 1918 presso le principali capitali europee. Nel 1923 scrisse una lettera a Benito Mussolini, chiedendo il suo appoggio per aprire le scuole montessoriane anche in Italia e ci fu un incontro tra i due nell’anno successivo. Maria ottenne l’inaugurazione delle scuole ma ben presto capì che il Duce l’aveva appoggiata esclusivamente per educare i bambini secondo i dettami fascisti. Maria decise di interrompere l’attività in Italia sciogliendo questa collaborazione, in quanto lei credeva nella libera espressione dell’uomo. Mussolini reagì ordinando di distruggere ogni traccia della presenza di Maria e chiudere tutte le scuole montessoriane.

Nel 1936 a Barcellona scoppiò il golpe e Maria fu costretta a lasciare la città. Ada Pierson, sua allieva, invitò Maria con il figlio e i quattro nipoti a trasferirsi presso la sua famiglia, residente nei Paesi Bassi. Nell’anno seguente molti bambini appartenenti a famiglie repubblicane della Spagna, furono accolti in Danimarca. In onore di questo evento così triste, Maria tenne un discorso intitolato “Education for peace” al Congresso Internazionale Montessori. Nel 1950 all’Università di Amsterdam ricevette la laurea Honoris Causa. Morì nel 1952 e fu sepolta a Noordwijk7.

 

Maria Montessori e il Mahatma Ghandi

Maria Montessori conobbe Gandhi nel 1931 in onore di una conferenza che lui stesso tenne a Londra. In seguito a tale incontro, il Mahatma scrisse rivolgendosi a Maria: “Hai sottolineato con correttezza che se intendiamo raggiungere la vera Pace in questo mondo e se vogliamo davvero portare in terra una sostanziosa pace, dobbiamo cominciare dai bambini. Poiché, se essi cresceranno nella loro naturale innocenza non avremo lotte, crisi vane e stolte, ma procederemo d’amore in amore, di Pace in Pace, finché tutto il mondo non sarà penetrato di quell’amore e di quella Pace ai quali, consciamente o inconsciamente, il mondo anela.”8

Nel 1939, la Società Teosofica invitò Maria Montessori in India per formare le future insegnanti. All’inizio della prima lezione, cominciò a parlare delle Seconda Guerra Mondiale e di come stava devastando l’Europa. Ribadì alle allieve che l’unico modo per ricostruire il mondo è ricominciare dall’educazione ma prima di insegnare era necessario che investissero nella loro formazione. Le allieve non volevano solo “imparare ad insegnare” ma servirsi dell’educazione per porre fine alla divisione della società in caste e riuscire a giungere alla libertà dell’India dal colonialismo britannico. Già ai corsi che teneva Maria Montessori i partecipanti appartenevano a varie caste e questo significava che nelle scuole montessoriane non c’era spazio per la discriminazione di nessun tipo. Ogni bambino, insegnante o persona in generale era rispettato e considerato al pari degli altri. Esisteva solamente un lavoro sinergico per il bene comune.

Nel 1940 le truppe naziste occuparono i Paesi Bassi, Nazione dove Maria Montessori viveva da qualche anno. Essendo una cittadina italiana, fu considerata una nemica dal Regno Unito e per questo fu esiliata presso la Società Teosofica per sette anni. Maria si sentì tradita perché proprio nel Regno Unito aveva tenuto molti corsi per formare le future insegnanti ed era una promulgatrice della pace. Come si poteva pensare che lei fosse una nemica della Nazione?

Mentre la guerra continuava in Europa, Maria continuava ad approfondire la sua spiritualità e comprese che insegnare significava aiutare i bambini a partire da loro stessi, per poi costruire un cammino per costruire il bene comune. Fu qui in India che Maria sviluppo il concetto di “educazione cosmica”: significava accompagnare i bambini a conoscere se stessi per poi aprirsi all’apprendimento. La trasmissione del sapere non avviene mediante il nozionismo mnemonico, ma in modo tale che il bambino giunga ad amare ciò che sta apprendendo. Solo in tal modo i bambini possono sviluppare amore verso il mondo circostante.

 

La pedagogia scientifica di Maria Montessori

Come è stato spiegato fin qui, nella vita di Maria Montessori ci sono stati eventi, guerre ed episodi che l’hanno spinta a fare dell’educazione un vero e proprio strumento di pace. Ma perché la pedagogia che stava mettendo a punto fosse efficace era necessario costruirla su basi solide. Maria, essendo laureata in medicina, sapeva molto bene che nella scienza sono fondamentali la ricerca, il metodo e l’osservazione scientifica. Durante i Convegni o le formazioni trasmise alle insegnanti l’importanza dell’osservazione dei bambini e del modo in cui interagivano tra di loro. Lei stessa, in base alle sue osservazioni, costruiva i giochi didattici, predisponeva l’architettura ideale perché l’ambiente fosse funzionale alla massima espressione del bambino. Tutto doveva essere predisposto al rigore scientifico e nulla veniva lasciato al caso; per questo si prodigò a girare il mondo per formare personalmente le insegnanti. Ciò che trasmise alle sue allieve fu l’importanza dell’osservazione dei bambini e di come interagivano tra di loro. Infatti, la centralità del metodo montessoriano era orientato all’educazione per la pace.

Maria ebbe l’intuizione di ridurre al minimo gli stessi oggetti affinché i bambini sperimentassero la condivisione: se un bambino desiderava qualcosa utilizzato da un compagno, non avrebbe potuto averlo subito finché l’altro non avesse concluso il suo lavoro. Ogni momento della giornata era organizzato affinché il bambino potesse sentire dentro di sé la pace come un’esigenza interiore.

Già dai tre anni, i bambini in una scuola montessoriana sono impegnati in attività liberamente scelte da loro ma richiamati al pieno rispetto altrui, sono accompagnati a tenere in ordine l’ambiente e preparare i tavoli per la mensa. In una scuola olandese montessoriana, ogni giorno due bambini aiutano a preparare il pranzo per i quaranta studenti prestando attenzione alle allergie o intolleranze dei compagni. In altre scuole montessoriane per adolescenti, i ragazzi sono impegnati a coltivare la terra con cura e dedizione per far acquisire loro una profonda conoscenza e apprezzamento della natura. Inoltre, gli studenti sono invitati anche a studiare la storia non solo in un’ottica nozionistica; l’insegnante deve trasmette l’amore del patrimonio culturale, dell’ambiente e di tutta la meraviglia che ci circonda. Sono esperienze che ci portano a comprendere che siamo tutti interconnessi tra di noi e con tutti gli esseri viventi della Terra.

Le classi dell’infanzia sono perlopiù eterogenee per incentivare l’aiuto reciproco. Infatti, la compresenza di bambini con età differenti i più piccoli hanno la possibilità di osservare ciò che fanno i più grandi, chiedendo delle spiegazioni e ricevendo aiuto. I più grandi incentivano l’efficacia e la gratificazione ad aiutare. In queste dinamiche di gruppo, l’insegnante deve essere un chiaro e concreto esempio anche per guidare il bambino a litigare bene. A tal proposito, in una recente collana redatta da Grazia Honegger Fresco, allieva e insegnante montessoriana, scrisse che il litigio si trasforma in aggressività quando entrano in campo delle reazioni che fatichiamo a controllare. L’autrice mette a punto una serie di interventi sempre basati sul pensiero montessoriano e attualmente attuabili, uno di questi viene intitolato “passi avanti”. Durante un litigio si pongono i bambini uno davanti all’altro e distanziati da alcuni metri. In mezzo a loro si pone un divisorio che può essere un bastone, un segno o una linea. Ogni bambino, a turno, esprimerà la propria opinione o una soluzione. L’altro, che è rimasto in ascolto, potrà fare un passo in avanti se è d’accordo e proporrà anche lui una soluzione. Il litigio sarà risolto quando si troveranno alla metà dello spazio.10

La pedagogia scientifica montessoriana è stata messa a punto proprio perché i bambini siano spinti a costruire il bene comune in una società per coesione in cui la non violenza non è solo assenza di violenza ma “significa aver compreso l’interconnessione di tutte le cose, aver interiorizzato l’idea che siamo una parte di società per coesione dove ognuno di noi ha un suo ruolo, non è un essere indipendente ma al contrario dipende dall’universo intero”. Tale scopo può essere raggiunto ponendo le basi della società non sulle preferenze individuali ma su “una combinazione di attività che devono armonizzarsi”.11

In una classe montessoriana “se avviene un incidente, se per es. si rompe un vaso, il bimbo che l’ha lasciato cadere è spesso disperato perché egli non ama la distruzione e si sente in uno stato di inferiorità per non aver saputo trasportare l’oggetto … che cosa fanno invece i nostri bambini? Corrono tutti per aiutare e, con un tono incoraggiante, nelle loro vocine, dicono: <<Non importa! Troveremo un altro vaso>>. E alcuni raccoglieranno i cocci, altri asciugheranno l’acqua che è sparsa sul pavimento. Vi è un istinto che li chiama ad assistere i deboli, incoraggiandoli: e questo è un istinto di progresso sociale. Un gran passo verso la nostra evoluzione fu fatto quando la società cominciò ad aiutare i deboli e i poveri invece di opprimerli e schiacciarli. Tutta la nostra scienza medica si regge su questo principio e da questo istinto è nata la volontà d’aiutare non solo quelli che destano compassione, ma l’umanità intera. Non è un errore incoraggiare i deboli e gli inferiori, ma è un contributo al progresso di tutta la società.”12

Perché gli insegnanti possano attivare questo tipo di interventi, devono essere loro stessi a formarsi personalmente e professionalmente perché possano far sperimentare concretamente la pace ai bambini.

 

La pedagogia dell’immaginario di Jean Burgos e l’ITP.

Jean Burgos è stato Rettore dell’Università di Chambery, letterato, emerito cultore dell’Immaginario ed esperto dei processi di creatività. In primis il professor Burgos ha proposto una pedagogia dell’Immaginario che attivi i processi sensoriali che conducono alla creatività.

Secondo Burgos è possibile osservare e sperimentare l’Immaginario, non solo, egli parla di una pedagogia dell’Immaginario. Quando Burgos si riferisce alla creazione, egli intende usare questo termine in un senso ampio, ovvero come l’emergere di nuova realtà. Il passaggio fondamentale è anche la posizione che deve assumere il creatore (poeta, pittore, matematico, architetto), che è quella di accogliere una novità, non la novità, ma una novità qualsiasi essa sia, senza preconcetti o pregiudizi (= pensiero razionale). Questa posizione di disponibilità implica, almeno per un breve periodo di tempo, accettare l’eventuale sconvolgimento della nostra logica, significa abbandonare i principi normativi.

greci chiamavano “poien” il fare creatore. Burgos usa volentieri questo termine “poietica” per indicare i processi in azione, in movimento continuo in un luogo, in uno spazio ed in un tempo, che egli chiama istante, determinati, capaci di sfociare nell’emergere di una realtà nuova. Le caratteristiche di questo spazio e tempo sono quindi: l’istantaneità, la determinazione, la puntualità.

Egli però su questo emergere della realtà nuova afferma che l’accento non deve essere posto su ciò che è, ma su quello che potrebbe essere, nel senso che vi è cioè una probabilità di esistenza. Ne deriva che la poietica avrà per oggetto di studio le potenzialità inscritte in ogni situazione presente.

In un certo qual senso allora effettivamente si può parlare anche di pedagogia dell’Immaginario, nel senso che noi dovremmo attrezzarci, preparaci per poter cogliere questi eventi, che avvengono sempre in tutti, poeti e non poeti. Burgos afferma che, di fatto, noi conosciamo male i poteri e l’uso dell’Immaginario.

Per tutte le professioni d’aiuto, lo studio dei contenuti dovrebbe essere completato con una preparazione personale. Nello specifico, per diventare psicoterapeuta ITP è necessario seguire una specializzazione quadriennale e una psicoterapia personale. Inoltre, Leopoldo Rigo, sosteneva anche l’importanza di far interagire i futuri terapeuti ITP in una psicoterapia di gruppo che viene condotta da un terapeuta esperto ITP.  La seduta ITP comincia inducendo nei partecipanti uno stato di rilassamento, condizione necessaria perché ognuno possa ascoltare le proprie emozioni e sensazioni. Il terapeuta che conduce la psicoterapia di gruppo può introdurre un’immagine iniziale che attivi sul piano immaginario la collaborazione reciproca per giungere ad un fine comune. Per esempio, può invitare i partecipanti ad immaginare di stare seduti attorno ad un fuoco, immaginare di fare una passeggiata assieme oppure scalando una montagna contando sull’aiuto reciproco. E’ come se i componenti del gruppo stessero costruendo una società per coesione al livello del profondo. Infatti, si tratta di “fantasmizzare insieme “ovvero “produrre immagini simboliche alle quali i soggetti possono partecipare, anche se le stesse immagini possono avere significati diversi per ciascun individuo.” La psicoterapia di gruppo è la sperimentazione nell’hic et nunc di un sano contagio tra Immaginari che, di fatto, favorisce la comunicazione ad un livello più profondo; “permette un contatto stretto con l’inconscio degli altri, sviluppa le doti di intuizioni ed empatia, fa viere delle dinamiche di gruppo a livello immaginario.”13 La partecipazione emotiva dei partecipanti è data anche dal coinvolgimento della sensorialità in generale ma soprattutto quella propriocettiva. Nella psicoterapia di gruppo, i partecipanti si conoscono l’un l’altro attraverso l’attivazione dell’Io Corporeo Immaginario (I.C.I.) ovvero “l’immagine autorappresentativa del Soggetto.”

Le immagini permettono ai partecipanti di entrare in contatto con i termini pattuire, legare, fissare, unire e saldare derivanti dal significato etimologico della parola pace ma in un modo differente in cui sono soliti ad interagire. I futuri terapeuti ITP si preparano ed essere pronti a conoscere l’altro su un piano insolito: sono sospinti a lasciare il conosciuto e il solito per abbracciare il nuovo. Secondo Jean Burgos, si tratta di rompere con la realtà conosciuta e lasciare che dalle emozioni e percezioni emerga l’immediatezza dell’immagine; accogliere una nuova realtà per andare oltre i confini conosciuti e avventurarci nello sconosciuto. In questo senso, anche la pedagogia dell’immaginario può essere una strada percorribile che ci conduce alla pace. Accogliere un nuovo modo di conoscere noi stessi e gli altri ci fa sentire parte di un tutto, coesi con l’Universo intero e scoprendo nuovi legami tra le varie conoscenze e le discipline.14

La pedagogia dell’immaginario non è riservata solo agli adulti o ai futuri terapeuti. La psicoterapia ITP prevede le “tecniche derivate” per l’età evolutiva. I bambini e i ragazzi sono guidati dal terapeuta affinché possano ascoltare le proprie emozioni e/ sensazioni per metterle in scena sul piano simbolico attraverso il gioco, il disegno o il fumetto. E’ essenziale che il terapeuta si ponga in una posizione non giudicante ma accogliente verso i contenuti che i bambini e i ragazzi si sentono pronti a mettere in scena. Attraverso la tecnica ITP, i bambini potranno mantenere vivido il contatto con il proprio immaginario ed essere pronti ad approcciarsi al nuovo e al non conosciuto, anche verso l’altro con il supporto dell’Io ausiliario quale è il terapeuta. Se il bambino modella dei personaggi con la plastilina o li sceglie tra i giochi, è indispensabile capire se e con quale di essi si identifica e vive il suo I.C.I. L’Io ausiliario del terapeuta conduce il personaggio in questione a vivere delle situazioni ristrutturanti o delle realizzazioni simboliche. Per esempio, far in modo che sia la mamma del personaggio a preparare da mangiare o imboccare le coperte. L’importante è che siano azioni mirate a colmare le carenze emerse e a rinforzare l’Io.

Concludendo, è necessaria non solo una pedagogia rivolta ai bambini o ai ragazzi, ma la messa a punto di una pedagogia dell’Immaginario per la formazione di coloro che hanno a che fare con l’età evolutiva e che abbia come tema centrale la promozione della pace in tutte le sue forme.

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Montessori M., La mente del bambino, Garzanti, Milano, 1999, pagg. 1 e 2
  2. Ibidem, pag.12
  3. Ibidem, pag. 60
  4. Dolto F., Personologia e immagine del corpo, 1967
  5. Winnicott D., Playng and Reality, Tavistock Publication, London, 1971 [trad.it. Gioco e Realtà, Armando Editore, 1997]
  6. Dolto F., L’immagine inconscia del corpo, Red!, Cornaredo, Milano, 1996, pagg. 88 e 89.
  7. Castellarnau A. & Castro M., Maria Montessori. La donna che rivoluzionò per sempre il mondo dell’educazione, RBA, Milano, 2019
  8. Educazione e pace, pag. 57
  9. Castellarnau A. & Castro M., Maria Montessori. La donna che rivoluzionò per sempre il mondo dell’educazione, RBA, Milano, 2019
  10. Honegger Fresco G., Gioca e impara con il metodo Montessori vol.31, RCS MediaGroup S.p.A. pag.82
  11. Morelli R. et al., Maria Montessori: educazione e pace – Convegno internazionale 3 ottobre 2015, Il Leone Verde, Torino, 2016, pag.26
  12. Montessori M., La mente del bambino, Garzanti, Milano, 1999, pagg. 224-225
  13. Rigo R., Analisi del profondo e psicoterapia, Il Fuoco, Roma, 1980, pag. 56
  14. Secco S., Lo psicoterapeuta poietico – Breve studio sull’Immaginario, Cavinato Editore International, Brescia, 2017, pag. 56