Ombra vuoi entrare? L’ITP e l’archetipo del distruttore

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Psicoterapia con l’ITPSilvano Secco

 

La psicoterapia con l’I.T.P.

 

 

Silvano Secco: psicologo clinico, psicoterapeuta ITP.

Ombra vuoi entrare? L’ITP e l’archetipo del distruttore.

Considerazioni psicodinamiche relative alla guerra.

La parola guerra deriva dal tedesco werra, mischia. I latini usavano un’altra parola bellum che secondo Festo, un grammatico romano del II sec d. C., deriverebbe da belua, bestia feroce.

Con il termine guerra intendo uno scontro armato tra gruppi sociali umani o masse di individui che hanno perso la loro soggettività, il cui obiettivo è distruggere l’altro per impadronirsi dei suoi beni. Il gruppo o banda armata si coalizza contro un altro gruppo ritenuto nemico. La guerra è l’esito di una follia di massa. Bion, che la guerra l’ha vissuta come soldato, sperimentata con e dentro la sua pancia, nella sua autobiografia[1] sostiene di essa non è possibile fare esperienza, perché come esperienza è così dirompente da non consentire una elaborazione delle ferite psicologiche. È una esperienza subita in maniera traumatica.

Vivere una esperienza significa che dentro di noi quello che abbiamo vissuto passa dalle sensazioni ed emozioni, alla formazione di immagini e poi è possibile fare esperienza quando si narra in maniera coerente ed infine si può trasformare in una forma di apprendimento. La guerra invece è un evento traumatico dove le persone vi sono costrette, imprigionate da un leader, attraverso forme di illusioni di massa simili a deliri persecutori che tendono così a normalizzare comportamenti perversi e violenti. Molte di queste illusioni son rappresentate da una sorta di eccesso delle immagini, ritornelli orecchiabili, rituali ripetuti come automatismi. La forza delle dittature passa attraverso e mediante un surplus di produzione di immagini, una forma particolare di pornografia.

Tuchman B. [2], grande storica specializzata in polemologia, ha sottolineato che è principalmente un difetto di immaginazione a provocare quella perseveranza nell’errore che conduce alle guerre. Ovvero, si tratta di un bloccaggio operato da spinte ideologiche del pensiero o illusioni di massa che passa attraverso la sovrapproduzione di immagini che immobilizzano la funzione biologica dell’Immaginario e la funzione di critica. Così il Segretario della Difesa degli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam suggeriva che Immedesimarsi nel nemico può essere di una certa utilità.

Pace.

La parola pace e la sua definizione concreta è molto difficile da descrivere, varia in base al momento storico, al modello culturale e religioso di riferimento. Immagino che la pace come il perdono siano entrambi un punto d’arrivo di un percorso. Sono punti estremi di un percorso, sia individuale e sia sociale, che presuppongono il superamento del conflitto. In altri termini il conflitto deve essere affrontato. La pace dentro di Sé e la pace fuori di Sé con l’altro (il nemico) si possono raggiungere a patto che si superino i conflitti e si riesca a gestire le illusioni di massa.

Il terreno dove vanno seminati i granelli della pace va preparato mediante percorsi pedagogici che stimolino l’Immaginario, gesti di mutuo soccorso, riconoscimento dell’archetipo dell’Ombra e del fascino del male.

È interessante, da un punto di vista antropologico, osservare come gli scimpanzé ed i bonobo gestiscano i conflitti e l’aggressività utilizzando la sessualità. I bonobo ci insegnano a come prevenire l’aggressività, insita nei conflitti, attraverso le due correnti della sessualità, le tenerezze e l’erotismo.

La guerra e l’antropologia.

La Rivista Le Scienze riporta questa interessante scoperta: A 30 chilometri dal lago Turkana, in Kenya, sono state trovate ossa fossili di un gruppo di cacciatori-raccoglitori preistorici uccisi in quella che rappresenta la prima testimonianza storica scientificamente datata di un conflitto definibile come guerra. La scoperta, frutto del lavoro di archeologi e antropologi dell’Università di Cambridge e del Turkana Basin Institute di Nairobi, è descritta in un articolo nella rivista Nature. Dagli scavi nel sito di Nataruk, scoperto nel 2012, sono emersi i resti di 27 individui, 21 adulti e 6 bambini, che furono vittime di un massacro perpetrato circa 10.000 anni fa. Dei dodici scheletri pressoché completi, dieci mostrano infatti chiari segni di morte violenta: traumi cranici e agli zigomi dovuti a una forte percussione con un corpo contundente, proiettili di pietra penetrati nella scatola cranica o nel torace, segni di lesioni da frecce al collo, e mani, ginocchia e costole spezzate. Molti degli scheletri sono stati trovati a faccia in giù, e quattro sono stati rinvenuti in una posizione che indica che molto probabilmente le mani erano state legate; fra questi vi era lo scheletro di una donna nelle ultime fasi della gravidanza, alla quale erano state anche spezzate le ginocchia.

Secondo Ferguson Richard Brian professore di antropologia Rutgers University la tendenza a fare la guerra non è innata nell’uomo. Aggiungo, non dovremmo sovrapporre la pulsione aggressiva con la tendenza a fare la guerra e considerare questa pulsione come l’unica causa. Questo antropologo ha trascorso più di 40 anni a studiare le origini della guerra, evidenziando le differenze tra guerra da un lato e violenza individuale o omicidio dall’altro. Secondo questo nuovo filone dell’antropologia la guerra non è innata nella natura umana, ma è invece frutto di uno sviluppo sociale e culturale che ha avuto inizio in alcune aree del mondo.

Nell’intervista rilasciata da Fergusson e riportata in Pressenza: Una volta che il fenomeno della guerra ha inizio, esso tende a diffondersi. La guerra implica un conflitto armato organizzato e delle uccisioni sancite dalla società e realizzate da membri di un gruppo a danno dei membri di un altro gruppo. Secondo Ferguson, le prove attuali suggeriscono che la guerra non esiste da sempre, ma ha avuto inizio come risultato di cambiamenti sociali, con prove delle origini della guerra che appaiono in tempi molto diversi in varie località del mondo. Egli stima che i primi cenni di guerra appaiono tra il 10.000 a.C., ossia 12.000 anni fa.

Nella sua intervista Fergusson sostiene che: non abbiamo una predisposizione né per la guerra, né per il suo contrario. Non siamo certamente predisposti ad uccidere. Non siamo predisposti a essere xenofobi. In un articolo che ho scritto nel 2006, intitolato Triballe, ethnic and global wars riassumo il mio approccio alle guerre in corso nel mondo, basato su ciò che so sulla guerra tribale. In esso, cerco di mostrare come sono avvenute le guerre, e la relazione tra l’interesse personale e i valori simbolici che le persone hanno in una società. Questo, per me, è il punto in cui ha inizio l’azione e spiega qual è la causa della guerra: è pratica ed è anche simbolica.

Hermann Goring al processo di Norimberga dichiara: Il popolo può sempre essere piegato al volere dei capi. È facile: basta dire alla gente che la nazione è sotto attacco e accusare i pacifisti di scarso patriottismo e di mettere in pericolo il Paese. Funziona nello stesso modo in tutte le nazioni.

I bambini ed il gioco della guerra.

Circa 20 anni di studio eseguiti da Freedman Jonathan[3] non hanno confermato l’esistenza di un nesso causale tra violenza propinata dai mass media e l’aggressività individuale. Le persone violente scelgono programmi e giochi violenti.

Per quanto riguarda l’infanzia fa riflettere il fatto che ci siano bambini che giocano alla guerra, quelli che subiscono la guerra diventando delle volte dei profughi ed infine ci sono i bambini soldato che fanno la guerra, imbracciando un’arma vera ed uccidendo. Quali sono le differenze?

I bambini nella prima e seconda infanzia giocando alla guerra si esercitano in questa forma di esperienza che conduce ad un apprendimento, tramite il gioco simbolico del: ti ho sparato … sei morto … ora puoi alzarti. Il bambino tramite il gioco sperimenta la guerra in termini simbolici e concreti.

Lo scontro come evento di gruppo lo troviamo quando, nella preadolescenza, l’individuo incontra la necessità biologica di stare nel gruppo di pari e quando il complesso della fratria viene amplificato. Se prendiamo come riferimento la baby gang troviamo forse il primo epifenomeno moderno di espressione della guerra come evento di massa, dove lo spirito di gruppo o effetto di massa si concretizza, modificando il funzionamento psicologico dell’individuo.

È nella fratria, come racconta la Bibbia, che è avvenuto il primo omicidio nella storia dell’umanità. Mentre sarà nella estensione della esperienza  del complesso della fratria che avviene l’esperienza dell’oppressione violenta. Caino praticava l’agricoltura ed Abele la pastorizia, entrambi offrirono a Dio in sacrificio i loro prodotti, ma solo le offerte di Abele furono accettate. Questa preferenza suscitò la gelosia e l’ira di Caino che condusse il fratello nei campi uccidendolo.

Fra le tante interpretazioni è suggestiva quella offerta dalla tradizione midrashica secondo la quale entrambi i fratelli avevano una sorella gemella che dovevano sposare. Caino non era d’accordo sul matrimonio del fratello con Aclima che era la più bella tra le due. Adamo allora propose di porre la domanda a Dio attraverso un sacrificio. Dio rifiutò il sacrificio di Caino come segno di disapprovazione del suo matrimonio con Aclima.

I bambini nella prima e seconda infanzia, in particolare i maschi, in ogni cultura giocano a fare la guerra con armi costruite da loro o con armi giocattolo. Molti genitori ed educatori sono dubbiosi circa la loro utilità,  mentre altri sono proprio contrari e pensano che questi giochi possano favorire comportamenti violenti nei bambini futuri adulti.

Vi sono poi bambini che non sperimentano armi giocattolo ma imitano  altri ruoli e altri strumenti che consentono il contatto simbolico con elementi distruttivi, quali il fuoco, i mostri, i ladri, l’acqua salvifica. In queste situazioni troviamo il bambino pompiere, il bambino poliziotto.

Bettelheim Bruno sottolineava come: C’è chi teme che la passione per le armi, da bambini, sia la causa della violenza degli adulti, o addirittura che, giocando a questi giochi, il loro figlio possa diventare da grande un assassino. Ma questi sono ragionamenti sbagliati e pericolosi“. Queste sono nostre paure che proiettiamo sui bambini.

Di fatto, consentire ai bambini di giocare alla guerra favorisce l’espressione della naturale pulsione aggressiva e la sperimentazione di forme di potenza che lo aiutano ad affrontare gli inevitabili fallimenti che determinano frustrazione, senso di impotenza. In altri termini l’Io deve trovare delle strategie per affrontare sia la pulsione aggressiva che germina nell’ombra e sia le frustrazioni e senso di impotenza che si determina dal confronto con il mondo esterno, con gli adulti.

Attraverso il gioco, che è un lavoro psicologico, vengono creati simboli e situazioni fantastiche che favoriscono la neutralizzazione dell’elemento distruttivo. Seguendo il pensiero di Klein Melanie, per neutralizzazione della pulsione aggressiva si deve intendere la trasformazione della sua forza e potenza, che diviene così utilizzabile e e perde la sua distruttività.

La guerra, come il male, porta in sé un grande fascino per l’essere umano che deve essere esorcizzato e trasformato nel e dal gioco.

Come dice ancora Bettelheim Bruno: giocare alla guerra e con le armi consente di scaricare le frustrazioni accumulate, e quindi tende a ridurne il livello distruttivo. Il gioco è un motore che trasforma, ovvero dà una forma e permette ai bambini di esprimere la pulsione aggressiva che abita ogni individuo. Il gioco simbolico garantisce che la pulsione aggressiva non venga soffocata, con il rischio di esplodere in fasi successive del ciclo di vita, come per esempio in adolescenza o in età adulta.

Anche D. W. Winnicott è dello stesso parere: “Tutti i bambini provano rabbia e, di conseguenza, aggressività. Questi sentimenti sono classificati come ‘cattivi’. Il bambino che si rende conto di avere in sé qualcosa di cattivo può sentirsi ‘sporco’, colpevole. Sapere che tali sentimenti possono essere espressi, a certe condizioni (ad esempio attraverso il gioco) senza provocare risentimento e violenza nei suoi confronti, è rassicurante per il bambino”. 

Il gioco della guerra e conseguente sperimentazione della potenza può assumere varie forme semplici o complesse:

  • Costruire una torre per poi distruggerla
  • Lanciare e colpire
  • Identificarsi con personaggi dei cartoni animati o film
  • Giocare alla guerra con armi giocattolo sperimentando drammaticamente la vita e la morte
  • Giocare a guardie e ladri
  • Giocare al vigile del fuoco

Sono giochi dove il bambino sperimenta gli opposti come il costruire e il distruggere, il bene ed il male, la vita e la morte, la guerra e la pace. Molti bambini adorano il gioco del pompiere e la figura del pompiere poiché come ha ben spiegato Klein Melanie il bambino si confronta sia con il fuoco come elemento distruttivo ed energetico, ma anche con la simbologia fallica della pompa e dell’acqua, che richiama in fantasia la potenza dei suoi prodotti corporei, come ad esempio l’urina che per i bambini ha sia valenza di liquido infiammabile e sia liquido che può spegnere.

Il bambino nel gioco enfatizza e ripropone, a modo suo, quello che viene raccontato nel mito della Fenice. Attraverso il gioco delle armi i bambini sperimentano la finzione della morte dell’amico, riconoscendo così la propria potenza. Dopodiché l’amico morto deve risuscitare velocemente per poter ripetere e scambiarsi i ruoli.

Il gioco simbolico è un ottimo strumento di autocura che il bambino spontaneamente utilizza anche per digerire le scene e le notizie che sente dagli adulti sulle guerre che lo circondano.

I bambini inglobati nelle guerre intrafamiliari.

Un altro tipo di guerra può manifestarsi all’interno dei nuclei famigliari, quando la coppia genitoriale si scioglie, quando si manifestano conflitti patologici tra generazioni oppure nella fratria.

Quando i bambini sono direttamente coinvolti nei conflitti della coppia genitoriale che si sta separando, nelle situazioni in cui uno o entrambi i genitori chiedono ai figli una alleanza, allora possono manifestarsi sintomi psicosomatici estremamente gravi che possono trasformarsi in malattie di organi. Ci possiamo trovare di fronte a forme di sindromi post traumatiche da stress simili a quelle vissute in un contesto di guerra. Chiariamo, essere direttamente coinvolti significa essere spettatori passivi di forme gravi di violenze verbali o fisiche, oppure venir vincolati da forme di alleanza contro uno dei due genitori e diventare così un prolungamento psicologico da utilizzare nei conflitti.

Vi è poi una particolare situazione di violenza che il bambino cerca di affrontare con una specifica difesa psicologica denominata con il termine clinico di identificazione con l’aggressore. Questo avviene quando uno dei due genitori è violento fisicamente o verbalmente, o quando assumendo sostanze come ad esempio l’alcool perde il controllo e manifesta nel contesto famigliare comportamenti distruttivi, minacciosi.

I bambini soldato.

I bambini soldato sono ragazzi o ragazze di età inferiore ai diciotto anni che sono costretti a partecipare attivamente a gruppi armati regolari o irregolari. Nei vari conflitti a livello mondiale sono circa 250.000 i bambini costretti ad agire come combattenti, messaggeri, spie, facchini, cuochi, ovvero a prostituirsi in particolare le bambine.

L’ONU nel 2019 ha rilevato come a livello mondiale sarebbero circa 300.00 i bambini soldato attivi e sarebbero anche in aumento i nuovi reclutamenti. Sotto i 18 anni venivano arruolati in 63 Paesi compresa Gran Bretagna e Stati Uniti d’America.

Secondo il rapporto del Segretario Generale ONU, del 6.5.2021, Le sort des enfants en temps de conflit armé, relativo all’anno precedente, i Paesi più interessati sono: Afghanistan, Colombia, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Iraq, Mali, Sudan, Sudan del Sud, Somalia, Siria, Yemen, Myanmar, Nigeria, Filippine.

I bambini di fronte al pericolo sono più inconsapevoli e quindi possono affrontare situazioni rischiose come attraversare campi minati senza riflettere. In questi contesti sono costretti ad usare stupefacenti, marjuana, hashish, eroina, cocaina, perché li rendono maggiormente dipendenti dagli aguzzini.

Le conseguenze a livello psicologico sono gravissime, anche perché sono spinti a commettere atrocità concrete inimmaginabili. Sono bambini che hanno gravi disturbi del sonno con incubi e crisi di panico, difficoltà nel reinserimento sia in famiglia sia nella società, abbandono scolastico.

Lo psicologo Magne Raundalen, consulente dell’Unicef negli anni ’90, ha lavorato con questi bambini soldato a lungo e ha spiegato che, quando questi piccoli vengono costretti alla guerra, le loro emozioni sono soppresse. Il dato clinico più rilevante è la presenza del disturbo Post traumatico da stress, come del resto avviene anche negli adulti veterani delle guerre. Prendersi cura dei bambini soldato significa riconquistare la fiducia verso l’adulto, condividere il dolore, ridare un senso alla vita togliendo il velo della distruzione e dell’assassinio, trasformare le violenze e i tradimenti subiti dagli adulti in uno spazio di pace.

Esiti psicologici della guerra sui minori.

Nel 2019 Save Children scriveva come ad oggi, 142 milioni di bambini vivono in zone di conflitto ad alta intensità e ben 24 milioni di bambini soffrono delle gravi conseguenze delle guerre sulla loro salute mentale. Tra questi, 7 milioni sono a rischio di sviluppare disturbi mentali acuti, con sintomi di depressione, ansia, atti di autolesionismo, tendenze suicide. Una minima parte, solo lo 0,14% secondo alcune fonti, di tutta l’assistenza ufficiale allo sviluppo è destinata al supporto dei bambini con problemi di salute mentale.

Il tema della guerra e dei suoi effetti psicologici è trattato in vari testi anche antichi come l’Iliade, l’Epopea di Gilgamesh. Lo studio a carattere scientifico iniziò con la Prima guerra mondiale e con esso le prime ipotesi di parziale autonomia delle sindromi traumatiche. È come se durante la 1^ guerra mondiale la potenza distruttrice delle armi, la presenza di un numero elevato di soldati presenti nei conflitti, il coinvolgimento massiccio della popolazione civile, la presenza in particolare poi nella 2 guerra mondiale di cronisti che potevano scrivere con censure sempre più limitate, avessero smitizzato nel soldato i valori antichi di virilità, dell’eroe. Effettivamente i soldati manifestavano sintomi isterici analoghi all’isteria delle donne con tic, pianto disperato, instabilità emotiva e comportamentale, choc da combattimento con forme di paresi.

Nel DSM solo dopo la guerra in Vietnam, sulla spinta dei veterani, è stata inserita  nel 1980 nel DSM III la categoria PTSD (Post Traumatic Stress Disorder) che ha modificato la precedente Gross Stress Reaction.

La sindrome del sopravvissuto è uno dei principali sintomi di un quadro di PTSD che si ritrova negli esiti da esperienze di guerra o nei Survivor in situazioni di suicidio. Uno dei principali sentimenti che popolano questa sindrome è il senso di colpa perché, a differenza di altri parenti o amici, loro non sono morti, né sono stati gravemente feriti nel corpo. I bambini, come anche gli adulti, si percepiscono responsabili nel non aver aiutato gli altri, sono stati testimoni passivi. Nello stesso tempo assorbono e sono contagiati dal senso di distruzione insito nell’atto suicidario.

Il trauma nelle prime fasi della vita da evento catastrofico, quali le continue azioni di guerra, può provocare cambiamenti epigenetici duraturi[4] trasmissibili alle generazioni successive. Un esempio di trasmissione intergenerazionale è l’esperienza della shoah che diventa un incubo che non ha fine, i cui effetti sono registrati nella memoria genetica che viene trasmessa anche ai nipoti[5].

I sintomi più frequenti che compaiono in una Sindrome post traumatica da stress possono essere:

  • Ricordi ricorrenti, involontari e intrusivi
  • Sogni spiacevoli con contenuti e/o le emozioni sono collegati all’evento
  • Reazioni di tipo dissociativo, come ad esempio i flashback, in cui l’individuo sente o agisce come se l’evento traumatico si stesse ripresentando
  • Evitamento persistente degli stimoli associati all’evento traumatico
  • Alterazioni negative di pensieri ed emozioni associati all’evento traumatico;
  • Marcate alterazioni dell’arousal e della reattività
  • Irritabilità, comportamento spericolato, ipervigilanza, esagerate risposte di allarme, problemi di concentrazione o difficoltà riguardanti il sonno.

L’Ace Adverse Childhood Experiences Study (Felitti et al., 1998)[6] conferma che l’esposizione ad eventi sfavorevoli infantili aumenta in età adulta il rischio di alcolismo, abuso di droga, depressione, suicidio accresce inoltre in modo sostanziale il rischio di malattie fisiche (obesità, patologie epatiche, respiratorie, ischemiche) e riduce di molto l’aspettativa di vita.

Gli eventi traumatici nei primi anni d’infanzia non vengono persi, ma piuttosto conservati per tutta la vita, come le impronte di un bambino nel cemento fresco. Il tempo non cura le ferite che avvengono in quei primi anni: le nasconde solamente. Le ferite non vengono perse, diventano parte del corpo. Lanius, Vermetten, Pain[7].

Uno dei meriti dello studio ACE è stato quello di aver sottolineato l’importanza di esperienze traumatiche meno visibili rispetto a terremoti, tsunami o guerre, ma non per questo meno dirompenti sulla salute.

L’archetipo del Distruttore ed il mito della Fenice.

Quando nella nostra vita irrompe un evento vissuto come catastrofico quale ad esempio la morte di una persona significativa, un tradimento nella coppia, una grave malattia, una guerra, si determina un caos interiore che provoca grande sofferenza psicologica. Dall’Ombra dell’evento può far capolino l’archetipo del Distruttore che ha una propria funzione. La guerra è una situazione sociale gruppale estrema che ci costringe a confrontarci con questo archetipo.

Prendendo da Jung come riferimento l’alchimia, il Distruttore è definito come l’archetipo che si attiva nel primo stadio della metamorfosi. Nell’alchimia si chiama nigredo ed avviene per l’intervento del fuoco. Nella Divina Commedia corrisponde al passaggio di Dante e Virgilio attraverso l’Inferno. In ambito junghiano è la metafora che indica la notte oscura, quando un individuo si confronta con l’Ombra che ha dentro di Sé. La nigredo lascia poi il passo all’improvvisa illuminazione dall’alto (albed). Ne è testimone anche Madre Teresa da Calcutta quando nelle sue biografie parla della notte oscura.

Il confronto con l’archetipo del Distruttore dovrebbe attivare una metamorfosi, ovvero l’individuo per sopravvivere ed accedere ai misteri dello spirito deve abbandonare gli attaccamenti, accogliendo la propria sofferenza e salvarsi dal vuoto interiore o nucleo abbandonico. In caso contrario vi è la caduta nel baratro del nucleo abbandonico e la conseguente sindrome depressiva.

L’archetipo del Distruttore come tutti gli archetipi esercita un proprio fascino che contagia e seduce le persone sottoposte al suo potere. Per riuscire a confrontarsi con questo archetipico, come con tutti gli altri archetipi, l’Io deve essere sufficientemente forte.  Nel lavoro con l’ITP questo significa che la persona deve aver ben superato la Fase ristrutturante e la fase Conflittuale ed avviarsi vero il confronto con gli archetipi. Alcune volte il lavoro psicoterapico deve ripetersi, in particolare quando la persona incontra alcuni incidenti di percorso. La ripresa della psicoterapia aiuta la persona a vivere la vita e continuare nella crescita psicologica e spirituale.

È in particolare il mito dell’Araba fenice che fa riflettere sull’aspetto della distruzione come necessità archetipica e quindi realmente inaccessibile. L’Araba fenice rinasce dalle proprie ceneri che si sono formate dalla sua esplosione e che contengono in sé l’uovo che la rigenera, analogo all’uovo di Pasqua.

Le lacrime curative della Fenice sono segnale, anche in una seduta ITP, della dissoluzione delle tensioni emotive, che vengono per così dire diluite da quest’acqua salata. È per tal motivo che durante la seduta psicoterapica ITP il terapeuta deve accogliere il pianto del paziente con molta disponibilità. Le lacrime che scendono durante il rilassamento in poltrona appartengono al momento emozionale, quando cioè il soggetto sperimenta le emozioni, sia positive che negative. Il paziente va rassicurato perché può spaventarsi, sentirsi disorientato dall’emergere delle emozioni o altre volte provare un senso di vergogna.

Nel mito della Fenice la sua morte, ovvero le sue ceneri significano lasciar andare, abbandonare i vecchi schemi, questo avviene quando la persona sente l’esigenza di crescere ed impulsivamente viene condotto ad affrontare frammentazioni che lo porteranno a nuova crescita. L’etimologia della parola crisi è appunto possibilità di cambiamento.

Le lacrime curative in casi estremi le ritroviamo in imagerie della ferita e del sangue, come del resto sono rintracciabili nella religione cristiana, nelle immagini sacre.

Archetipo dell’Orfano.

In un testo del 1940-41[8], Jung insieme allo studioso di storia delle religioni Kerenyi Karol nel testo  i Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, affrontano il tema dell’archetipo dell’Orfano individuandone l’azione come idee gemmanti che successivamente ritroviamo nei comportamenti e nei moti d’anima, sfondo dell’inconscio collettivo. Gli archetipi in altri termini sono immagini guida provenienti dalla Comunità stessa. Una immagine archetipica presa in esame è quella dell’orfano variante del bambino abbandonato, con però, in quanto archetipo, un alone di divino, sacro. Il racconto favoloso tipico o mitologema dell’archetipo dell’Orfano è quello di Zeus o fanciullo divino nato a Creta, subito esposto e abbandonato dai genitori per il pericolo di essere fagocitato dal padre Kronos.

Nel suo aspetto positivo l’archetipo dell’Orfano ci indica e ci sprona verso la via dello sviluppo delle autonomie e senso pratico, ricominciando tutto dall’inizio.

Entrare in contatto con la parte negativa dell’archetipo dell’Orfano comporta un rischio, ovvero quello di indurci alla abitudine della rinuncia, delle privazioni, manifestando così comportamenti aridi, freddi, cinici, diffidenti.

Per raggiungere la parte positiva la persona deve apprendere a rinunciare al desiderio infantile di unione con il padre e la madre, prendendo consapevolezza della loro mortalità. Dobbiamo però considerare che ogni forma di consapevolezza è sempre in parte dissacrante e può provocare delle reazioni di choc. Per tal motivo il lavoro con gli archetipi ed il loro avvicinamento deve essere graduale e a debita distanza psicologica.

La cooperazione, l’interdipendenza, la collaborazione del soggetto nella fratria sostituisce l’adorazione del Padre o della Madre. Il senso della vita viene ricercato non più all’esterno ma all’interno di se stessi e della fratria. Qui il complesso della fratria ha una funzione curativa e di crescita personale importante.

Il punto di resilienza a cui l’orfano deve mirare è l’assunzione della responsabilità delle proprie ferite ed accettazione delle proprie potenzialità ma anche con i propri limiti.

 

Caso clinico

.Quando il nemico è il nostro corpo perché malato cosa succede nella nostra psiche che, di fatto, è in costante contatto e comunicazione? Il caso clinico con le sue sedute ITP che troveremo scritte in questo lavoro possono svelare alcuni elementi relativi alla dinamica intrapsichica ed aiutarci a capire come intervenire in questa battaglia interiore tra il soma e la psiche.

Vi sono altre battaglie che l’individuo può essere costretto ad affrontare come ad esempio le situazioni di breakdown evolutivo nell’adolescente facilmente confuse con disturbi di tipo psicotico o i conflitti nella coppia che possono sfociare in gravi aggressioni.

Le ferite simboliche.

Il termine trauma deriva dal greco τραῦμα che significa ferita, rottura.

Le Imagerie sotto riportate sono state elaborate da una giovane donna con tumore al seno e cercano di dare una risposta a questa domanda: Qual è il ruolo delle ferite psicologiche da un punto di vista simbolico in un percorso psicoterapico? Lo psicoterapeuta ITP come dovrebbe intervenire?

Le ferite psicologiche le troviamo in ogni forma di conflitto umano, negli esiti da danno di guerra, incidenti gravi, malattia importante come i tumori dove la battaglia può essere cruenta.

B. era una giovane donna con tumore in guerra con il suo corpo. iniziò il suo viaggio interiore tramite la psicoterapia ITP esprimendo la patologia del suo Puer Aeternus mediante  le ferite immaginarie alla mano ed il sanguinamento.

Dopo un rilassamento prolungato, nella 6^ seduta, B. sente spontaneamente il battito cardiaco e lo percepisce anche sul palmo delle mani appoggiate sul proprio ventre. Vi è una successiva sensazione di coincidenza tra la percezione del  battito cardiaco e la respirazione.

Imagerie 6.

Suggerisco di immaginare lo sbocciare di un fiore o di una pianta tra le mani: “E’ una pannocchia, sento i chicchi tra le mani…mi taglio un dito con le foglie” – suggerisco di schiacciare un chicco e porre il succo sulla ferita: “Sì, si cicatrizza. I chicchi cadono per terra. Sì, li raccolgo ma cadono dalla mia mano”- è come se la ferita di B. fosse molto più estesa, tanto da non riuscire a contenere i chicchi.

Suggerisco di prenderne uno e piantarlo: “Sì, lo pianto, però cresce una pianta brutta”. Le chiedo di guardarsi attorno e cercare dell’acqua: “Sì, c’è, la prendo con le mani da una pozzanghera. La piantina cresce però ha una parte nera. Tolgo un pezzo ricresce la parte nera.” 

Suggerisco di immaginare le mie mani: “Sì,  le sue mani strappano la pianta verde. Però ha le foglie pungenti. Mi ferisco un dito.

Suggerisco di rivolgere la mano verso il sole: “Sì, rivolgo il dito verso il sole. Sento che diventa giallo, ora è come avvolto in una garza.” Ora l’effetto curativo del simbolo con caratteristiche paterne positive ha avuto efficacia.

- Imagerie 7.

Suggerisco, dopo il rilassamento,  una semplice visualizzazione di partenza, ovvero sentirsi seduta con la sedia a sdraio su un prato: “Mi vedo più che sentirmi”. Le chiedo di prestare attenzione ai piedi e sentire la sua posizione, questo perché quando in una imagerie prevalgono il senso della vista e non vi è integrazione con gli altri canali sensoriali si può determinare uno choc da Super Io, oppure la formazione di fantasticherie ma non di una vera e propria Imagerie: “Sono distesa sull’erba…la sento…è tagliente”.

Suggerisco di spostarsi e camminare sulla spiaggia adiacente al prato: “Ci sono dei vetri, ho paura di tagliarmi…ho messo degli stivali neri, ho paura di tagliarmi, calpesto con rabbia”.

Suggerisco di ripulire la spiaggia: “Sì, ho pulito…sono sull’acqua con gli stivali…ci sono dei vetri…tocco l’acqua…sento gli spruzzi freschi…ci sono dei vetri”.

Suggerisco ancora di pulire: “Sì, ho pulito…c’è un moscone con delle persone nere che vengono verso di me. Sì, l’ho rovesciato…ma viene verso di me…sì, si allontana diventa piccolo…ma ora si avvicina…lo brucio  con gli occhi…c’è fumo…ora si forma…come una pianta…è un fiore rosso, ma sotto c’è il moscone”.

Suggerisco di portare solo la pianta sulla spiaggia: “Sì, la prendo con le mani, la porto sulla spiaggia…la pianto…punge…viene verso di me anche se mi allontano…è positiva e negativa”.

Suggerisco di tracciare una linea: “Sì, si muove ma non l’oltrepassa…ha sete…le do acqua di mare…la sento viva”.

Le sedute di B. progredivano in modo positivo e ristrutturante. Dopo alcune settimane dall’ultima seduta, B. si presentò stanca e depressa. Diceva di non sentire le mani come proprie. Durante il colloquio mi raccontò che era stata da un medico il quale le aveva detto che effettivamente aveva avuto un miglioramento molto positivo, però il tumore c’era ancora e quindi doveva continuare la cura. Un altro medico poi aveva affermato che sì il tumore era regredito però non stava scomparendo.

Imagerie.

“Vedo il solito paesello…c’è l’asinello che sta camminando per una stradina…sì, ora mi sento vicina all’asinello…ha due ceste…mi taglio le mani”.

Suggerisco di lasciar cadere delle gocce di sangue: “Sì, si trasforma in due fiori…fiori bianche…mi sento come sollevata da terra”. Questo suggerimento estremamente incisivo e il suo esito confermano la potenza delle immagini a valenza simbolica nei processi di cura e di autocura che il lavoro immaginativo imprime nella paziente.

Suggerisco di sentirsi in groppa all’asinello: “Sì, però mi sento stanca…l’asinello cammina…la stradina sembra rompersi…sembra inghiottirmi…non voglio essere inghiottita”.

Suggerisco di trovare la casetta: “Sì, la vedo da lontano…quando l’asinello si avvicina la terra si sgretola…ci sediamo sul bordo della strada…la stradina a volte sembra sgretolarsi ed inghiottirmi…altre volte la vedo normale…vorrei volare…volo…mi sento più sicura…volo con l’asinello…l’asinello sembra perdere forza”. Il volare che compare nei sogni come nelle Imagerie è il prodotto direttamente collegato alla forza positiva del Narcisismo di vita.

Suggerisco mongolfiera: “Sì, voliamo sopra il paese, la stradina, la casa…però neanche la mongolfiera sembra volare tanto…si avvicina alla casa e ruota attorno…sempre più forte…mi gira la testa”. Compare ora uno choc da Super Io, sempre presente nello Scenario della paziente. Si tratta allora di intervenire imprimendo una sorta di gradualità nella soddisfazione del desiderio narcisistico.

Suggerisco di aggrapparsi e di rallentare: “Sì, ora va piano, è sopra la casa…la cesta si rompe…cado sul tetto…il tetto si rompe”.

Suggerisco di riparare il tetto e poi sedersi sulla soglia della casa: “Sì, lo riparo…sono seduta…il terreno mi inghiotte…sono arrivata giù…è tutto buio…Sì, accendo la luce…ci sono animaletti brutti…qualcuno mi getta una corda”. Compare ancora una volta uno choc da Super Io che come un’ombra è sempre in agguato.

Suggerisco che l’asinello le getti una cesta: “Sì, mi metto dentro…sono in cielo…tra le nuvole che sembrano panna…sì, mi avvicino…c’è una lama, mi taglia…sì, lascio cadere delle gocce, tanto sangue, sbocciano fiori bianchi (=devitalizzazione)…mi rannicchio dentro la cesta, sono stanca…c’è una lama, ogni tanto sembra che entri”

Da questa seduta in poi le lame saranno un elemento sempre presente, quasi persecutorio, la concretizzazione dei suoi pensieri negativi e del messaggio di non speranza ricevuto.

Quando nei soggetti tumorali prevale la passività allora l’Immaginario si devitalizza  e sembra schiacciato da figure interne simili a statue marmoree o fiori che perdono il colore.

Quando nei soggetti tumorali prevale l’attività che la persona definisce come inquietudine, allora l’Immaginario è popolato da automatismi ed automi.

Per chiarire questi aspetti e descrivere delle soluzioni da suggerire durante l’Imagerie leggiamo alcuni pezzi significativi di Imagerie di B.

Imagerie.

“C’è un albero di natale…è bello…ha molte palline…io sono di fronte…mi taglio con una pallina…mi metto i guanti ma mi taglio…è più forte di me…è come se qualcosa mi spingesse a tagliarmi…Distruggo l’albero e le palline…ora l’albero ritorna su…ci sono poche palline…c’è una lama mi taglio…è un coltello grande”

Suggerisco di prendere il coltello per il manico e avvicinare la lama alla ferita immaginando una energia che cicatrizzi le ferite: “Sì, sento come un raggio, le ferite si cicatrizzano”.

Imagerie:

“Sono di fronte all’asinello ma non mi sento…sì ora sono in groppa…mi sono fatta male con la cesta…c’è una lama, mi faccio male ad una mano…c’è una lama…mi faccio male ad un piede…ci sono tante lame”.

Suggerisco che queste lame si trasformino  in una figura: “Sì, è un mostro, simile alla Bestia”.

Suggerisco di tracciare un cerchio: “Sì, ora il cerchio è di fuoco…il mostro sembra inghiottito ma ritorna fuori…ha un aspetto diverso sembra un orso”. Il suggerimento del cerchio è un tipico aiuto dell’ITP finalizzato a creare delle difese simboliche in situazioni di pericolo.

Imagerie.

“Mi sento sospesa c’è un cagnolino bianco di fronte a me. Sì, prendo le sue zampette…mi ferisco…il cagnolino bianco ora è come nel nero…mi metto dei guanti…ora si sovrappone al cagnolino l’immagine di un leopardo”.

Suggerisco di scindere, cioè di separare i due animali: “Sì, ora sono separati…il leopardo è in un viottolo di campagna…è buono”.

Suggerisco di lanciare dall’alto una gabbia: “Sì, è dentro la gabbia, è robusto ma piccolo…non riesce a muoversi, poverino…E’ strano…c’è come una doppia immagine…io sono in un quadro ed il resto, quello che ho detto, in un altro…Io mi sento sospesa…vado verso le casetta…c’è la nonnina che dà da mangiare alle gallinelle…però non mi bada…sono vicina al pozzo…c’è una lama che esce dal pozzo”.

Suggerisco che lei e la nonnina guardino intensamente la lama in un solo punto: “Sì, ora la lama si trasforma in fuoco che emana luce e calore…sento questa luce e questo calore sul viso…la lama si disintegra…assorbe questa luce e questo calore”.

Dietro il negativo si nasconde il positivo e viceversa. È una doppiezza dal carattere schizoide simile a quello che succede nella posizione schizoparanoide individuata e descritta da Klein M..

Per trovare un riscontro a questa affermazione è sufficiente pensare al significato del termine farmaco o alla mitologia dei Puer, dalle cui ferite nascevano dei fiori bellissimi. Nel mito di Adone allorché l’eroe veniva colpito mortalmente dal cinghiale, il suo sangue spandendosi a terra faceva nascere un fiore[9].

La stessa duplicità ed ambivalenza la troviamo nelle punte e nelle lame, ad esempio presso i greci  si riteneva che la lancia di Achille guarisse le ferite che causava.

Tutti gli elementi che B. riportava spontaneamente nelle sue sedute ITP e nei sogni,  in modo compulsivo e apparentemente slegati, si ritrovano nei miti, nel misticismo ed in modo sintetico nella leggenda del Santo Graal.

Nell’adattamento cristiano la lancia del centurione Longino aprì la ferita nel fianco di Cristo ed il sangue e l’acqua che sgorgarono furono raccolti da Giuseppe d’Arimatea nella coppa della Cena. Graal appunto significa vaso.

La ferita ha in sé una sua duplicità e una sua forza. Per un verso richiama l’immagine, cara a Platone (“Gorgia”), dell’anima, dell’essere sciocco non iniziato simile ad un vaso bucato, come le mani di B. nell’Imagerie dei chicchi di grano.

In altri termini, il vaso bucato, è la rappresentazione di un corpo non strutturato, non contenitivo. Per un altro verso la ferita può essere associata al sanguinare e, nella mitologia, la natura fiorisce grazie al sangue dei figli (Baldur, Attis, Osiride, Dioniso, Gesù) della Grande Madre.

La dodicesima seduta con B. è estremamente interessante perché riproduce alcuni elementi di questa mitologia.

Imagerie 12.

Dopo un rilassamento prolungato non avendo immagini di partenza suggerisco di sentirsi seduta in un prato sulla sedia a sdraio: “Sono distesa sull’erba, è verde, ci sono dei fili d’erba taglienti, ho paura di tagliarmi”.

Suggerisco che il vento ammorbidisca i fili d’erba: “Sì, ora l’erba è rasa, però ci sono dei fili d’erba che spuntano”.

Le chiedo se ha delle ferite alle mani, mi risponde di sì, le suggerisco allora di lasciar cadere una goccia di sangue e di immaginare che dalla goccia di sangue si formi un fiore. B è meravigliata perché c’è stata una sincronia tra il suggerimento e la formazione contemporanea e spontanea nel Suo scenario del fiore rosso: “Sembra che il fiore si chini verso di me, come per accarezzarmi, sembra sorridermi”.

Suggerisco di farsi raccogliere dal fiore e scendere al suo interno:  “Tocco le pareti, però hanno una doppia faccia,  una vellutata l’altra ruvida come cartavetrata…Ho trovato una piccola superficie blu, è velluto, l’accarezzo, dall’esterno c’è la punta di una lancia…la buca…la riparo con la colla, con del nastro adesivo…c’è una finestrella piccola, si vede fuori”.

Suggerisco di chiudere la finestrella e stare all’interno in una posizione comoda, rilassata, tranquilla: “Ora c’è una luce verde…io sono fatta su…ho le mani e le braccia attorno alle gambe e mi sento bene “. Per associazione ed assonanza rammento la luce verde e la mela verde della paziente schizofrenica della Sechehaye[10] entrambi simboli della fase fetale e oggetto orale.

Al termine della seduta mi dirà che mentre stava uscendo dal rilassamento aveva immaginato dei pezzi neri che cadevano verso il basso, dentro un cunicolo nero sottostante, uscivano dal fiore e da lei, indica su di sé il fondo schiena.

Lo scacco dell’Immaginario.

Jung considera le immagini inconsce collettive o archetipi come dinamiche e in continuo cambiamento. Così che è possibile comprendere il significato di una fantasia, di un sogno, di un simbolo, di un archetipo solo in questo suo divenire e non solo in un’ottica retrospettiva, filogeneticamente ereditato. Il materiale onirico fantastico possiede anche una prospettiva futura ed è collegato con l’ambiente sociale o inconscio collettivo. Egli interpretò le sue fantasie catastrofiche del 1913 come una esondazione nella sua coscienza onirica di un delirio psicopatologico collettivo oramai alle porte, una corrispondenza o contagio tra fantasie individuali ed imminenti eventi collettivi che saranno la guerra.

Durante il fascismo ed il nazismo la coscienza individuale è stata invasa, ipnotizzata dall’effetto numinoso dei simboli e dagli archetipi utilizzati dalla propaganda, immobilizzando o incanalando l’Immaginario, sia individuale e sia collettivo.

Rammento come esemplificazione, lo Scenario delle bandiere rosse con la svastica nera che sventolano nella notte, mentre i soldati marciano con passo dell’oca. Anche il passo dell’oca utilizzato nelle parate militari richiama i meccanismi sublimali ben studiati da Janet P. di automatismo psicologico che si instaurano e guidano in maniera ripetitiva e seriale la psiche, che viene così attratta dal fascino del male.

La svastica con i bracci rivolti a destra, antioraria, indicano la  trasformazione, ovvero la via verso il futuro e la creazione, è associata al maschile, al dio Vishnu benevolo e rassicurante, il conservatore dell’universo. Quella con i bracci volti a sinistra è associata al femminile,  a Kali, la dea del tempo, fluisce distruggendo ogni cosa. Quello della svastica nazista da destra verso sinistra indica la distruzione e la dissoluzione. Se integrate l’una all’altra, rappresentano il perfetto equilibrio cosmico di tipo spirituale, che ciclicamente si espande e si dissolve. La svastica più diffusa in India è quella destrorsa, emblema del dio Vishnu, i cui tratti grafici evocano la rotazione antioraria, e di conseguenza il benefico corso del sole da est a ovest. Non sempre comunque l’iconografia ha distinto le due rotazioni e per tal motivo compare il cerchio che rimane aperto ovvero i quattro segmenti non chiusi.

Tutte queste immagini e molto altro hanno fatto pronunciare, a chi ha trucidato i propri simili, come assunzione di un impersonale collettivo, la frase: l’ho fatto perché dovevo. Ma questo avviene purtroppo in tutti i regimi dittatoriali e le ideologie di tipo totalitario.

La guerra si può considerare un epifenomeno o ombra proiettata di un oggetto psichico in oscillazione vorticosa che fa impazzire l’Immaginario per il tramite di continue, ripetute immagini a carattere simbolico ed archetipico che vengono fissate al fascino del male, alla potenza dell’archetipo del Distruttore.

Note e osservazioni in merito a vari pensatori.

Nella corrispondenza del 1931-32 dal titolo Perché la guerra, Einstein e Freud S. con una certa fatica cercano di fornire delle risposte sul perché la guerra e come prevenirla. Mi sembra che concordino su un aspetto, ovvero che l’unico modo per prevenire la guerra sia la civilizzazione o in altri termini l’educazione delle generazioni alla pace.

I tentativi di Freud S. di definizione della guerra ruotano attorno ai concetti di complesso di Edipo e della coalizione della fratria contro il padre, la pulsione aggressiva. Sembra poi esservi delle coincidenze tra l’aspetto distruttivo presente nella pulsione aggressiva e l’archetipo del distruttore di Jung C.G..

Jung C.G. dal suo punto di vista, direi purtroppo privilegiato poiché ha partecipato direttamente agli orrori della guerra, elabora ed affronta in maniera diversa, rispetto a Freud S., il fenomeno della guerra. Jung distinse l’Ombra personale da quella impersonale o appartenente al sociale. Lombra personale è collegata alle nostre piccole frustrazioni, paure, egoismi e dinamiche negative più quotidiane. L’ombra impersonale che emerge dal contatto con il gruppo di umani contiene l’essenza del male, di natura più archetipica, che accompagna le guerre, i genocidi, gli assassini di massa più efferati.

Nel suo articolo intitolato Dopo la catastrofe riflettendo sugli orrori dell’Olocausto, Jung scrive: Devo confessare che nessun articolo mi ha mai dato così tanti problemi, dal punto di vista morale oltre che dal punto di vista umano. Non mi ero reso conto di quanto io … fossi stato colpito. Questa stessa difficoltà a mentalizzare una esperienza la troviamo anche, onestamente ammessa, in Bion. Ipotizzo che questa difficoltà a mentalizzare la guerra sia determinata proprio dall’aver internamente la guerra, entrando per così dire dentro l’archetipo del Distruttore.

Nel 1917-1918 Jung era ufficiale medico a Chateau-d’Oex, in un campo di internamento inglese. Nell’ottobre del 1913, mentre stava andando in treno a Sciaffusa, ebbe la visione dell’Europa devastata da una spaventosa inondazione. Il mese successivo, durante lo stesso tragitto, la visione riapparve[11]. Altri incubi lo perseguitarono con immagini di morte, cadaveri, sangue e devastazioni. Inizialmente attribuì queste immagini oniriche ai suoi tormenti interiori dovuti alla rottura con Freud S. e alla separazione da Sabina Spielrein, temette di impazzire.

Di fatto, inizia proprio da uno di questi sogni un processo di autoanalisi e confronto con la propria Ombra, che condurrà alla scrittura di quel diario pubblicato postumo con il titolo Il libro rosso.

Per Jung, poco interessato agli aspetti storici, sono le immagini archetipiche che emergono dall’inconscio collettivo a muovere le energie fisiche e psichiche degli individui. Sia gli individui che i popoli e nazioni sono influenzati da mitologie antichissime.

Il lavoro di Neumann E. La psicologia del profondo e la nuova etica ipotizza che la guerra sia spesso guidata dalla proiezione paranoica del proprio male sugli altri.

Fornari Franco nel suo libro Psicanalisi della guerra ipotizza che l’origine della guerra risieda nella patologia da lutto irrisolto presente sia nel leader, che convince un popolo alla guerra. Lutto che può appartenere anche alla Nazione che abbia subito l’effrazione di una parte, colpendo così il senso di unità.

Freud S., probabilmente sulla spinta di capacità di sublimazione del dolore per la perdita del nipotino scrive, pur con uno spirito di pessimismo, dei saggi fondamentali per la teoria e la ricerca psicanalitica come Mosè e il monoteismo, Il futuro di un’illusione, Il disagio della civiltà, e alla fine Analisi terminabile e interminabile.

Considerazioni cliniche inerenti il trauma complesso.

L’esposizione diretta o indiretta ad episodi ripetuti di guerra provoca una particolare sindrome denominata trauma complesso o PTSD-C che ha degli effetti sia nei bambini e sia negli adulti.

È interessante osservare come il concetto di nevrosi traumatica coniato da Hermann Oppenheim (1858-1919) avesse posto i sintomi nervosi post-traumatici tra l’isteria e la nevrastenia, considerandoli una conseguenza delle reazioni corporee allo spavento che provoca alterazioni dei tessuti molecolari. Già nel 1890, il suo concetto fu criticato in un congresso internazionale a Berlino. Questo schema interpretativo venne sconfermato all’incontro di guerra dei neuropsichiatri tedeschi nel settembre 1916 a Monaco. Di fatto, oltre a quelle evidenti ferite fisiche, ci sono quelle psicologiche invisibili ad occhio nudo che sono riportate dai soldati, esposti alle terribili esplosioni in guerra e sui campi di battaglia.

Finora, i problemi di memoria, depressione, insonnia degli ex-combattenti e reduci di guerra erano state considerate traumi di natura psicologica. Ora uno studio pubblicato su Lancet Neurology ipotizza che all’origine possano esserci lesioni fisiche al cervello provocate dagli effetti dell’onda d’urto delle esplosioni. Questa costellazione di disturbi apparentemente legati ai combattimenti era nota fin dalla Prima guerra mondiale: gli inglesi avevano coniato il termine shellshock, mentre in Italia la malattia che colpiva i soldati nelle trincee era chiamata vento degli obici, con un preciso riferimento alla deflagrazione delle bombe.

Sindrome da trauma complesso.

Il Disturbo da Stress Post-Traumatico Complesso (C-PTSD) ha fatto il suo ingresso nell’ICD-11 nel 2022 e non appare ancora riconosciuto dal DSM anche se molte sono le ricerche a tal riguardo. Anche durante la pandemia da Covid 19 noi come gruppo GITIM avevamo parlato di Trauma complesso (Rivista di psicoterapia Immaginativa ITP, Dicembre 2020).

Gli eventi a cui ci riferiamo, quando parliamo di C-PTSD, sono contesti di guerra, forme ripetute di maltrattamento quali la trascuratezza grave, le violenze fisiche e psicologiche. Tutte quelle situazioni che fanno temere alla persona di perdere la propria integrità ed identità psicofisica.

Secondo l’ICD-11, per porre diagnosi di PTSD Complesso sono necessarie tre tipologie di sintomi principali del PTSD semplice:

  1. Risperimentazione, attraverso memorie vivide e intrusive, flashback o incubi.
  2. Evitamento, sia di pensieri e ricordi, sia di stimoli esterni associati al trauma.
  3. Iperattivazione, cioè ipervigilanza ed esagerata risposta d’allarme.

In aggiunta il PTSD-C è caratterizzato da compromissioni gravi e durature in queste tre aree:

  1. Regolazione delle emozioni e controllo degli impulsi: i sopravvissuti, quando iniziano a percepire come intollerabili e opprimenti anche minimi fattori di stress, non riescono a gestire emozioni intense e improvvise, come la rabbia, mettendo in atto condotte auto-distruttive quali autolesionismo, abuso di sostanze. Si riscontra inoltre una tendenza a entrare in stati dissociativi.
  2. Percezione di Sé: sviluppano una visione di se stessi come indesiderati, deboli, impotenti, danneggiati. Provano senso di colpa e vergogna cronici perché, in molti casi, si ritengono responsabili dell’abuso che hanno subìto.
  3. Rapporti interpersonali: incapacità di fidarsi o di entrare in intimità con gli altri, elevata sospettosità e isolamento sociale.

Tutti questi sintomi sono persistenti e causano difficoltà sul piano personale, lavorativo, scolastico, amicale o familiare.

La ricerca e la clinica sul PTSD-C hanno evidenziato ulteriori alterazioni che possono riguardare:

  • Sistemi psicologici di significazione: gli individui iniziano a percepire la perdita di senso della vita, cominciano a pensare che non potranno più apportare cambiamenti positivi, cosicché tutto diventa di colore nero.
  • Somatizzazioni: compaiono sintomi somatici cronici come dolori addominali, nausea, vomito, mal di testa, ecc. non riconducibili ad alterazioni degli organo, bensì sono l’esito di alterazioni neuro-biologiche come l’iper-attivazione del Sistema Nervoso Centrale, l’eccessiva produzione delle catecolamine, bassi livelli di serotonina. Possono rappresentare una modalità inconsapevole di comunicazione del dolore emotivo che i sopravvissuti a eventi traumatici non riescono ad esprimere con le parole, né a se stessi né agli altri. Il corpo parla.
  • Alterazione dell’attenzione e della consapevolezza: sono presenti episodi dissociativi, amnesia, incapacità di focalizzare l’attenzione su uno stimolo rilevante. Sono risposte difensive messe in atto per sottrarsi ai pensieri, ai ricordi, alle sensazioni fisiche e alle emozioni legate alle esperienze traumatiche.
  • Ideazione suicidaria: la perdita del senso della vita e la mancanza di speranza per il futuro si accompagnano ad una tendenza a vedere il suicidio come una possibile via di fuga dalle sofferenze provate.
  • Disturbo dell’Immagine del corpo: l’Immagine corporea può essere distorta e i tentativi di conquistare un certo livello di controllo possono includere restrizioni alimentari. Le difficoltà nel controllo degli impulsi si manifestano anche sotto forma di comportamenti bulimici con abbuffate seguite da vomito od uso di lassativi.
  • Il corpo vissuto come nemico: la persona non si sente al sicuro nel proprio corpo e lo può percepire come un nemico da combattere e distruggere.

Da un punto di vista psicodinamico una differenza sostanziale tra PTSD e C-PTSD è che i traumi ripetuti, cumulativi, continuativi in particolare in età evolutiva intaccano la costruzione dell’identità. Gli eventi traumatici sono dirompenti e plasmano le strutture cerebrali in un processo di non sviluppo, in una non integrazione delle tre strutture fondamentali del sistema nervoso centrale, cervello rettiliano, cervello limbico, neocorteccia.

Vi è una alterazione delle memorie a vari livelli, distribuite sia nel corpo sia nelle strutture cerebrali centrali sottocorticali e corticali. Questa alterazione richiede specifici interventi psicoterapici.

La persona si sente in balia di emozioni e di un corpo che non controlla, i contesti  relazionali inoltre sono percepiti come mancanti di quel senso di fiducia e di una base sicura necessari alla costruzione di una adeguata struttura di personalità.

Trattamento psicoterapico del PTSD-C

Nelle persone con PTSD-C è il corpo che parla e le memorie traumatiche sono incistate nelle faglie del corpo e nell’Immagine del Corpo. Le memorie tenderanno ad esprimersi nella quotidianità in maniera implicita, attraverso sintomi corporei ed immagini, per tal motivi le tradizionali terapie basate sulla parola non sono adeguate, bensì si devono aggiungere altri due ingredienti, ovvero l’ascolto del corpo e la trasformazione delle sensazioni in immagini.

Seguendo una classificazione delineata Judith Herman[12] e da Van der Hart, Nijenhuis e Steele[13], nella cura dei traumi dovremmo seguire tre fasi principali delineate da

  1. Fase di stabilizzazione, tesa a ridurre i sintomi come l’iperattivazione e l’intrusione di flashback, il depotenziamento dei sensi di colpa che causano dolore ostacolando la quotidianità ed il lavoro terapeutico. La cura di questa fase aiuta a sviluppare il senso di fiducia e forme adeguate di compliance. Nell’ITP questa fase di tipo ristrutturante si raggiunge mediante il rilassamento in primis, che stabilizzando il felt sense aiuta il paziente a creare lo scudo sensoriale protettivo, utile per affrontare successivamente i traumi con le sue memorie, la sua attrazione dove compare il male.
  2. Fase di elaborazione delle memorie traumatiche e successiva loro reintegrazione o rimodulazione. In questa fase il lavoro si rivolge ai ricordi traumatici, alle emozioni. Nell’ITP la persona, tramite l’Io corporeo immaginario, entra nello Scenario del trauma, affronta le figure, l’evento nelle sue deformazioni immaginative ed i suoi Fantasmi.
  3. Fase di integrazione e riabilitazione. Le parti dissociate della struttura di personalità tendono ad essere integrate e trovare forme di dialogo. Vi saranno degli effetti positivi anche sul piano relazionale, sessuale, lavorativo e ricreativo. È utile accompagnare il lavoro psicoterapico ITP anche con forme di pedagogia che prenda ispirazione dall’Immaginario e dai significati simbolici sottesi.

 

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[1] Bion W. R., La lunga attesa, autobiografia 1897-1919, Astrolabio, 1982, Roma.

[2] Tuchman B., La marcia della follia. Dalla guerra di Troia al Vietnam, Mondadori, 1985.

[3] FreedmanJ. L., Media Violence and Its Effect on Aggression, University of Toronto Press, 2002.

[4] Da studi recenti è stato dimostrato che la metilazione del DNA e l’acetilazione dell’istone sono coinvolti in ogni fase della memoria della paura, dal consolidamento iniziale all’estinzione e al potenziamento a lungo termine, processi che hanno dimostrato di essere alterati nei pazienti con PTSD (Zannas, A. S., Provençal, N., & Binder, E. B. (2015). Epigenetics of posttraumatic stress disorder: current evidence, challenges, and future directions. Biological psychiatry, 78(5), 327-335).

[5] Pembrey, M. E., Bygren, L. O., Kaati, G., Edvinsson, S., Northstone, K., Sjöström, M., & Golding, J. (2006). Sex-specific, male-line transgenerational

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[6] ACE – Adverse Childhood Experiences (Esperienze Infantili Avverse), ideato dal medico Vincent Felitti e Robert Anda del Dipartimento permanente di medicina preventiva Kaiser di San Diego

[7]Lanius, Vermetten, Paain L’ impatto del trauma infantile sulla salute e sulla malattia. L’ epidemia nascosta, Fioriti, 2012.

 

[8] Kerenyi K.,  Jung C. G., Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, Boringhieri

[9] Guénon R., Simboli della scienza sacra, Adelphi, Milano, 1992, p. 73.

[10] Sechehaye M., Diario di una schizofrenica, Giunti, 2006.

[11] Vedi l’introduzione di Sonu Shamdasani a Il libro rosso.

[12] Herman, J. L. (1997). Guarire dal trauma – affrontare le conseguenze della violenza, dall’abuso domestico al terrorismo. Tr. it. Magi, Roma 2005.

 

[13] Van der Hart, O., Nijenhuis, E. R., & Steele, K. (2006). Fantasmi del sé. Trauma e trattamento della dissociazione strutturale. Trad. it. Raffaello Cortina, Milano 2011.